La leggenda dei monti naviganti
Questa è la storia di un viaggio estivo compiuto in due tempi, tra il 2003 e il 2006, a bordo di una Topolino del ’53. Il protagonista è Paolo Rumiz, tra le penne più prestigiose e premiate del giornalismo italiano, che, da diversi anni a questa parte, ci ha abituati a leggere sulle pagine di Repubblica il diario del suo consueto viaggio d’agosto.
La scoperta delle Alpi prima, e degli Appennini poi, si rivela un percorso intimo e pieno di sorprese, punteggiato di incontri inaspettati e folgoranti, descrizioni intrise di poesia e riflessioni profonde sull’identità della nostra Penisola, che è retta da una spina dorsale rocciosa a bagno tra le onde. Una narrazione di luoghi, segreti e verità che è possibile cogliere appieno solo percorrendo “strade secondarie”.
Un viaggio di ottomila chilometri, a partire dall’Alta Dalmazia, dove l’Isonzo gorgoglia storie della Prima Guerra Mondiale, fino all’estrema punta della Calabria, immersi nei silenzi della Certosa di Serra San Bruno. Lungo il percorso, valli ancora prive di elettricità, ferrovie in disuso abitate solo dai mufloni, vecchie case cantoniere, bivacchi d’alta quota e caverne in cui riecheggiano i grandi nomi di Bonatti e Rigoni Stern, ghiacciai che virano improvvisamente dal rosa al bianco, santuari pagani, rifugi nascosti e mulattiere inondate di luce.
E poi ancora, scendendo in groppa all’Appennino, incontriamo villaggi spopolati e dimenticati, benché custodi dell’identità più autentica di questa Nazione. Dall’Abetone ai Monti Sibillini, facendo sosta nell’antico Monastero di Fonte Avellana (Marche), si giunge infine al Pollino e ancora più giù, dove la montagna si scioglie nel mare e conclude in bellezza il suo lungo e leggendario racconto.
“Luci, profumi, praterie e torrenti hanno segnato le tappe di questo viaggio ai confini della notte, ma soprattutto gli alberi hanno punteggiato il nostro procedere verso sud. Prima le betulle, poi i tigli, poi le querce, quindi le vigne, i platani e i fichi.”
(“La leggenda dei monti naviganti”, 2007)
Eliana Iorfida