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San Mauro Castelverde

Luogo: San Mauro Castelverde (Palermo)
San Mauro Castelverde (Santu Mauru in siciliano) è un comune italiano di 1.820 abitanti della provincia di Palermo in Sicilia. Cenni di Storia San Mauro Castelverde si erge sull'omonimo monte a 1050 metri sul livello del mare. Esso è abbracciato tra il massiccio delle Madonie ad ovest, quello dei Nebrodi ad est e, di rimpetto, il visibile Mar Tirreno che spazia incontrastato, interrotto soltanto da rilievi su cui sorgono delle campagne locali e con attenta vista di ben visibili paesi limitrofi come Pollina, Castelbuono e, dalla parte opposta, Gangi e Geraci Siculo. È uno degli 81 comuni che costituiscono la provincia di Palermo e dista dal suo capoluogo circa 114 km. Unico comune d'Italia ad avere nel medesimo territorio un litorale proprio nonostante gli oltre 1000 metri di quota, da punti sparsi del suo vasto territorio (quali, ad esempio, il Pizzo Vutùru, vale a dire “avvoltoio”, con oltre 1200 m di quota) si possono scorgere alquanti paesi dei territori delle Madonie, dei Nebrodi e di altre province, senza escludere lo scenario dell'Etna. Porta il nome di San Mauro Castelverde dal 16 dicembre 1862 quando, in seguito all'unificazione del regno d'Italia, per distinguerlo da altri 22 paesi che portano lo stesso nome, la circoscrizione di Palermo chiese di aggiungere un secondo denominativo e il consiglio comunale di allora deliberò di associarvi “Castelverde”. Sotto il titolo “Santo Mauro” il paese esisteva sicuramente fin dai tempi dei Normanni, iscritto tra i manieri della contea di Geraci nella diocesi di Messina. Questo nome non avrebbe potuto prenderlo prima del 15 gennaio 584, data della morte di San Mauro Abate, ma il paese, seppur sotto forma di agglomerato di costruzioni, forse in posizione diversa, esisteva già. Il nome San Mauro, invece, pare che sia stato attribuito al luogo in seguito alla donazione di una reliquia del suddetto santo da parte dei monaci benedettini di un convento esistente in loco. La storia di un paese antichissimo quale questo si perde sin dalla “notte dei tempi”, si intreccia tra racconti probabili e narrazioni semimitiche, raccontate di volta in volta alle generazioni successive con tocchi tali da raggiungere, spesso, l'inverosimile; per cui, sebbene si abbiano anche delle testimonianze concrete ma, forse, inattendibili, non sempre risulta facile distinguere una storia propriamente detta da millenarie e incerte leggende. Tuttavia, si può rimandare al La Rocca ed al Leonarda (autori locali) per ulteriori brillanti ed efficaci cenni illustrativi. Si dice che i primi conquistatori o dimoranti, se non altro di passaggio, siano stati i Greci. A dimostrazione del fatto sussistono un antico bevaio e una via omonima tuttora vigenti che lasciano pensare ad un insediamento in quel periodo. Ma, non avendo fatti concreti e prove a sufficienza, occorre stare prudenti dalle certezze. Per maggiori sicurezze, invece, si rispedisce ad alcuni secoli dopo i Greci. Infatti, caduto l'Impero Romano d'Occidente (476 d.C.), la Sicilia fu conquistata dagli Ostrogoti di Teodorico e, nel VI secolo, dai Bizantini. Per cui, avendo questi ultimi creato delle fortificazioni in Sicilia in difesa dagli attacchi Saraceni, costruirono imponenti roccaforti volte soprattutto a scopo di osservazione nemica. Pertanto, può essere attribuito a tale periodo la realizzazione del suo unico castello, del quale oggi non si conservano altro che poche rovine parietali. Sulla sua vera origine, a parte la tesi insufficientemente documentabile del La Rocca, secondo cui il castello esisteva al tempo della conquista di Siracusa da parte dei Romani (III secolo a.C.), la posizione più probabile è stata messa in luce dalla Paruta (con analoga risoluzione del dott. Gioachino Drago Calascibetta) che lo farebbe risalire, invece, al 1196 con fondazione avvenuta da parte della contessa Guerrera Creon. Sicuramente esistevano già da tempo degli agglomerati sul monte e ciò è provato dal fatto che nelle murature laterali del castello si sono ritrovati rottami di tegole o mattoni, tutti materiali derivati da fabbricati. Da antichissime tradizioni locali (a cui si rifà anche il Leonarda) si hanno notizie di Calàndra (o Calàtta), antica cittadina presente sull'omonimo monte a sud-est, poco distante dal paese, secondo cui fosse in realtà l'antica San Mauro poi andata distrutta e rimpiazzata, con sito diverso, dall'odierno centro. Si diceva che fosse esistita sin dai tempi di Cicerone (I secolo a.C.) e che avesse dato al mondo illustri figli quali un certo Demetrio e Cecilio, la cui discendenza, comunque, non ci appare essere stata tràdita in nessun elaborato. Oggi, invece, si è accertato che i suoi ruderi siano da riconoscere nei pressi o, addirittura, nelle stessa Caronia. Probabilmente Calatta era, assieme ad Alèsa (corrente Tusa), una colonia di Hèrbita (l'odierna Nicosia). In un manoscritto pergamenaceo apocrifo, trovato allora nel Castello Maurino (ma la notizia è assai dubbia), si narra inoltre della storia, affibbiata ma poco attendibile, di un nobile francese feudale carolingio, Pietro Verde, che, caduto in disgrazia e profugo, rifugiatosi in Sicilia e sbarcato alla foce del fiume Pollina, si diresse verso Calandra dominata dagli Ateniesi. In seguito, dopo aver comperato un vasto appezzamento nei paraggi, costruì un castello in posizione strategica che affacciava sul mare e, portato a compimento nel 788, venne chiamato “Castello Verde” (da ciò si giustifica anche il secondo nome dato al paese nel 1862). Dopo essersi unito in matrimonio con un'altra nobile castellana di Calandra, Maria Coco, iniziarono i primi discendenti tra cui il primogenito Diacinto (forse Giacinto) e, in seguito, l'intera sua stirpe. Anche questo racconto, seppur spurio, conferma l'omonimo secolo di attribuzione per il castello (VIII sec). Del periodo bizantino a San Mauro restano la chiesa di Santa Sofia o del Monte, giacché in essa si era dediti ai culti della santa. Importante da segnalare è che oltre al mitico castello, in sua difesa vennero istituite delle torri laterali (forse più di due), quali quella del Colle della Maddalena e quella del Colle San Marco, collegate al fortilizio per mezzo di cunicoli sotterranei; di quest’ultima, in particolare, oggi solo un resto murale. Il Castello fu forse distrutto nel IX secolo durante l'occupazione Saracena. Tale periodo, meglio conosciuto come “dominazione araba”, fu quello più importante riguardo ai cambiamenti universali della cultura, delle tradizioni e del territorio: infatti, gran parte del luogo venne suddiviso in zone diverse con nomi differenti e la parte nord-orientale venne chiamata “Val Dèmani” (oggi Valdèmone), nella quale fu inserita anche San Mauro. Nel paese, come tracce di tale periodo, rimangono varie contrade (Xinni; Karsa, il cui significato probabilmente sarebbe “giardino” ) e cognomi (Xialabba, Zillì), di certo propri dei conquistatori orientali. Poi, in circa trent'anni, per la precisione dal 1060 al 1091, si attuò la sconfitta degli Arabi e l'ascesa dei Normanni del Conte Ruggero. Restaurata la religione Cristiana, San Mauro passò alla diocesi nuova di Messina ed il re in persona ne portò il totalitario potere fino all'avvento borbonico. Dopo essere bruscamente passato alla Diocesi di Nicosia, il paese pervenne definitivamente nel 1844 a quella di Cefalù, in funzione dell’ordinamento di Papa Gregorio XVI. Dopo diverse lotte e molteplici movimenti di contee, che non si enumerano per ragioni semplicistiche, si arriva alla famosa battaglia di Benevento (1266) in cui soccombe Manfredi di Svevia e subentra in Sicilia Carlo d'Angiò. Nel 1282, con la rivoluzione dei Vespri, la vecchia Trinacria si liberò dal giogo angioino e passò alla casata d'Aragona perché non riuscì a mantenere una indipendenza forte e fu, come si dice, “offerta” loro dal popolo stesso. Dal 1282 al 1410 l'isola, anche se fu dominata da otto re d'Aragona in avvicendamento, fu regno indipendente. Del periodo angioino sappiamo che San Mauro si inaridì economicamente e solo dopo i Vespri la Sicilia crebbe nuovamente, poiché Federico II concesse al conte Francesco Ventimiglia le terre di diversi paesi attigui tra cui San Mauro stesso. Assieme a Geraci Siculo, Castelbuono e Pollina fu sempre legato alla loro casata e non fu mai oggetto di cessioni o elargizioni. Nel 1492 i cittadini si ribellarono ai Ventimiglia ed ottennero che nei giorni di mercato non si pagasse alcun gravame o dazio e, a testimonianza di ciò, esiste una targa con scritta “Fera franca e luoghi franchi” nella cammino discendente a corso Umberto. Il paese venne sballottato, dopo la sconfitta del regno d'Aragona, tra Spagnoli e Borboni sotto cui, come sappiamo, vennero fatte numerose stragi, facendo vivere al paese un orrendo e cruento periodo. Si dovrà indugiare prima all'Unità d'Italia con intervento garibaldino (1861) e poi all'avvento della Repubblica per i ristabilimenti di pace e la fine di molti liberatori che non avevano fatto altro che scarcerare il paese da altrettanti emancipatori. Infine, terminato il feudalesimo, essendo divenuto un paese della provincia di Palermo, grazie ad un mandato fu elevato a circondario e ottenne la pretura. Dopo averla tenuta per breve tempo, dovendo distaccarsene non troppo volubilmente, dovette accontentarsi di una sede disgiunta come quella di Castelbuono ma, in prosieguo, è passato alla potestà giudiziale di Cefalù dalla quale tutt'oggi dipende. Stemma La blasonatura dello stemma comunale è: Monumenti e luoghi d'interesse All'ingresso del paese, di fronte al corso principale (Via Umberto I), si trova un modesto ma bel monumento innalzato agli eroi della Grande Guerra del 1915-18. L'opera è dello scultore Francesco Sorge di Palermo, che raffigura un soldato di bronzo (dicesi il primo soldato a cadere di San Mauro, un tal Madonia) che guarda verso la ferrovia, simbolo di libertà, e ogni anno, solitamente il quattro del mese di novembre, si commemorano i caduti presso tale monumento con la presenza di combattenti e reduci, delle autorità religiose, civili e militari. Eretto nel 1929 dopo immani vicissitudini, durante i lavori di scavo per la base delle fondamenta, furono rinvenute delle monetine d'età romano-imperiale e, più precisamente, secondo gli studiosi e numismatici del tempo, appartenenti all'età di Antonino Pio (138-161 d.C.) Nello stesso piano, con prospetto principale ed entrate rivolte in via Umberto I, si trova la Chiesa del Patrono, San Mauro Abate, col suo particolare campanile a sfere semi-sovrapposte in laterizi smaltati e variopinti. Fu più volte distrutto da terremoti o da lampi, ma pur sempre dediziosamente ricostruito dai cittadini. Ritornando alla Chiesa, essa ha circa quattro secoli. Ha incorporato quelle allora esistenti di San Giovanni Evangelista e San Vito e, sempre a discrezione del Leonarda sopraccitato, una chiesa li esisteva prima del Mille. La costruzione della chiesa pare che abbia avuto inizio verso l'anno 1620. L'interno è a tre navate; in fondo a sinistra si può ammirare la splendida "Vara" del Santo, ad otto colonne elicoidali con in cima angeli e chiusi da una madonnina. Tra i dipinti troviamo quello di San Benedetto da Norcia che riceve il giovine Mauro, ed è del 1779 di autore sconosciuto. Poi, una grande croce in legno con un quadro al centro dell'Addolorata con pregiata cornice. Infine, i quadri di Sant'Eligio, San Vito, l'organo, il pulpito e, ancor più importante, il simulacro aureo del patrono contenente una reliquia del cranio del santo. Limitrofe alla chiesa di San Mauro la Chiesa ed il monastero della Badìa, dedicati alla Madonna della Catena ed in custodia, almeno recentemente, delle suore domenicane missionarie di San Sisto. Ad unica navata centrale, al suo interno si possono apprezzare una statuetta di San Sebastiano (portato da Roma da Don Vincenzo Greco, prete locale, nel 1674), un'altra di Gesù, un reliquiario della Santa Croce (esposto per le benedizioni dei venerdì di marzo) con vari dipinti raffiguranti angeli; inoltre, un ostensorio aureo del 1779 di circa sei kg. Come Chiese di maggior entità, quella di Santa Maria De' Francis e quella di San Giorgio Martire, "secondo protettore" del paese. La prima è la più centrale del paese e, pertanto, la più frequentata. Essa fu costruita o dai franchi durante il dominio angioino, dopo il 1266, o dalla famiglia nobiliare dei Franchi che soggiornava allora in paese. Ampliata e modificata, oggi è composta di tre navate e, nel portone principale in pietra arenaria, evvi la data del 1634. Da menzionare certamente l'abside dietro l'altare maggiore contenente un'icona marmorea con, al centro, la Madonna. La navata di sinistra (detta del "Sacramento") offre un antico quadro di Santa Lucia (che prima era in una chiesa omonima); altrove, il quadro di San Gaetano che divide denaro ai poveri e quello di San Francesco da Paola che opera il miracolo della resurrezione. Sempre sull'altare a sinistra troviamo, di rimpetto, il mezzo busto marmoreo del SS. Salvatore con una mano sul mondo e l'altra benedicente. Quest'ultima, scolpita da Ercole Ferrata, fu portata da Roma in paese per il benemerito Don Vincenzo Greco. Degno di nota, oltre all'antico fonte battesimale, il campanile, che porta due date sulle pareti (1726 a sud e, ad ovest, 1765) anche se, a distanza di due secoli d'incompiutezza, fu terminato nel 1960 per volontà del sacerdote Domenico Leonarda, al quale, oltretutto, si deve pure la pavimentazione in marmo della chiesa. Il culto per San Giorgio (III secolo d.C.) fu forse introdotto dai Normanni che lo fecero compatrono del paese. Secondo il La Rocca, invece, esisteva sin dai tempi più remoti: tant'è che la chiesa in questione, a lui dedicata, fu fondata molto in antiquo poiché il santo fu ritenuto primo protettore del paese. Tale chiesa è ancora oggi la Chiesa Madre di San Mauro. L'attuale chiesa fu, in primis, in stile arabo-normanno; ma, ampliata e modificata, di tal stile rimane (a causa dell'erosione) il portale in pietra arenaria che immette nella navata centrale del paese (ed è un monumento nazionale) e qualche altro elemento. Essa è a tre navate, in cui si trovano, tra gli altri, una statua ed altare alla Madonna del Carmelo, un'altra di San Giuseppe col bambino e, simbolicamente, un quadro di San Giorgio (oggi nella sagrestia) che uccide il mostro. Ancora: un'icona marmorea dell'altare Maggiore di Andrea De Marta (1514), nonché una statua di San Giorgio stesso assieme ad un quadro di San Lorenzo, l'altare del crocifisso, un quadro dell'angelo custode, l'altare di Santa Vittoria e un quadro sulla deposizione del Cristo. Nella sagrestia già prima menzionata, si posseggono i quadri di tutti i Sacerdoti del paese. Il campanile, o meglio, la vecchia torre si ritiene che sia stato costruito nel 400 a causa delle quattro "C" rinvenuti sulle sue pareti: ma è ipotesi improbabile. Tra le altre chiese, a parte quelle sparse per tutto il territorio, si hanno: Collegio di Maria, San Giacomo, l'ex Chiesa del santissimo Salvatore, Santa Sofia, Porto Salvo, San Pietro, l'ex Convento dei Cappuccini, San Giuseppe, Annunziata (o Santa Maria dei Tracchi), San Nicolò ed altre ancora. I ruderi del Castello sono ben visibili e si trovano nella parte alta del paese. Utilizzato forse come regno di controllo, il Castello aveva due o forse più torri: di esse, è nota la Torre San Marco. Piccole uscite escursionistiche Tra le campagne, nella rocca di San Gregorio, vi è anche una grata piccola edicolare con una impronta di genuflessione su pietra lasciata, secondo la tradizione, da San Gregorio Magno in preghiera. Delle chiese delle contrade omonime si hanno quelle di Borrello, Karsa e Botindari. Località turistiche esse stesse, sono borgate (o frazioni, come Borrello Alto e Basso, appunto) in cui, soprattutto durante il periodo invernale, la gente "migra" per poi tornare in paese in primavera. Oltre ad esse, le "Gole del Tiberio" (chiamate anche "Mirìcu"), nella contrada omonima, costituiscono zona di grande radura naturale e pace incontrastata del quieto vivere. Scendendo verso la ss. 113, girando al bivio di Borrello, infatti, dopo un paio di chilometri si arriva in fonda ad una valle di rocce a picco che creano strettoie riducendo il corso del fiume e si racconta, tra l'altro, che esisteva un enorme masso tra le due pareti che ne univa le sponde consentendo il passaggio naturale sul fiume. Visto il continuo flusso d'acqua, sempre secondo la credenza popolare, si credeva che il fiume fosse legato al mare per vie sotterranee. Qualunque sia la verità, esso oggi costituisce uno dei più ameni luoghi di questo paese e, grazie all'area attrezzata, vi si può permettere di concedersi un momento di pace incontrastata unita ad una saggia scampagnata rustica in compagnia. Uscendo di paese, dopo il Colle della Maddalena ed il Colle San Marco (luogo dell'attuale cimitero), si piazza il Colle della Calàndra (già prima menzionato). Può darsi che il nome provenga da un'etimologia locale (calànnara) stante ad indicare un uccello passeriforme, l'allodola. Su quel colle, tuttavia, resta un vago ricordo di una città precedente al paese andata in rovina e che lasciava presupporre un luogo incantevole. Di essa è nota la leggenda della "truvatùra" che non può mancare dato che si tratta di una città ormai da tempo scomparsa: la fantasia popolare, sicuramente, ve ne ha sotterrato miti e ricchezze d'ogni sorta. Il termine "truvatùra" indica propriamente un tesoro da anni nascosto che si può trovare dando compimento a delle specifiche condizioni. Infatti, come si narra, ogni sette anni, il sei gennaio a mezzanotte, vi si potrebbe trovare una gran quantità d'oggetti d'oro prendendosi tutto ciò che si può. Siccome si disconosce l'ultimo anno in cui la truvatùra si è aperta, occorre fare una grossa fatica: riempire un bicchiere fino al colmo al bevaio del cosiddetto "Pìscio" e portarlo, senza farne cadere nemmeno una goccia, sino alla vetta del nostro colle; il che significa percorrere un impervio cammino, in pieno inverno, di notte e, soprattutto, non facendo cadere dell'acqua. Alcuni che si sono prodigati nell'adempimento dell'impresa non vi hanno trovato nulla: o non era l'anno giusto o, forse, è un mito oramai sfatato. Scendendo per la contrada "Malìa" e salendo ai margini della strada, ci si imbatte nella rocca della Dragonia, luogo certamente asperrimo di condizioni e, secondo l'antico costume mitico, abitato dai draghi. Vi si può ammirare un antico bevaio i cui i blocchi sono stati scavati a mano da uno scultore allora famoso di Castel di Lucio. Per le rocche dei Saraceni, si sale un'altra zona scoscesa a partire da Gàllina. Qui si trova ancora una piccola fontana circondata da pietra, anche se doveva esistervi una grotta non più esistente. Forse qui si sono fermati gli Arabi in preparazione dell'assalto del castello tenuto dai Greci. Scendendo, infine, per la sp 52 si incontra una piccola borgata denominata "San Giuseppe", con annessa chiesina di cui già si è dato cenno. In essa vi si può ammirare una statuetta del Santo Padre e del Bambin Gesù. Ogni anno, in particolare, il primo maggio, si celebra una festa in onore di San Giuseppe Artigiano con una Messa solenne e con una piccola processione che ritorna nella suddetta chiesa. Come momento di lucro della festa, vi è la tradizionale rottura delle "pignàti", ovvero un gioco consistente nella rottura di pentole di terracotta, preparate e colme di premi, da parte di un concorrente che, a turno, bendato, cerca di squassarle con un bastone per poi riceverne l'intero contenuto. Scendendo per la strada di San Giuseppe troviamo il "piano Triàri" (delle tre aie) da cui, a sinistra, si accede alla contrada "Santa Rosalia", un tempo florida di vigneti. Inoltre, quella del "Vuscìgliu" (quercia) e, scendendo ancora, "Xinni" e "Karsa" (giardino), nomi di contrade arabe floridissime per legname ed agrumeti. Società Evoluzione demografica Abitanti censiti Festività tra tradizioni religiose e folclore etnico Il primo (e forse più importante) momento di commemorazione collettiva è costituito dal festeggiamento, molto sentito, della Pasqua. Costituendo anche un momento di sacra rappresentazione, la festa religiosa della Pasqua è entrata a far parte della cultura di un popolo che, da diverse generazioni, soprattutto attraverso il rito, permette oggi di far conoscere costumi, modelli culturali e sociali di gente che ha vissuto antecedentemente su questi monti. La festività pasquale, nello specifico, si dirama in momenti particolarmente significativi: La Domenica delle Palme; La Cena del giovedì Santo; ‘A Visària (rappresentazione della Via Crucis) del venerdì Santo; ’A scinnùta da’ cruci (rappresentazione della scesa del corpo di Gesù Cristo dalla croce). La processione della domenica delle Palme, che si snoda lungo un antico percorso urbano fatto di antiche maioliche murali rappresentanti le stazioni della Via Crucis, parte, ad anni alterni, dalla chiesa madre di San Giorgio e dalla parrocchia di S.ta Maria de’Francis per concludersi in ciascuna di queste due chiese, alternamente. Le palme portate in processione sono abbellite da “panarietri” e “cori di parma”, semplici oggetti ricavati dal ramo di palma opportunamente intrecciati. La Cena (‘a czèna), funzione religiosa che si svolge la sera del giovedì Santo solitamente nella Chiesa di San Giorgio, nella parte più antica del paese, è la sacra rappresentazione più suggestiva dell’intera manifestazione pasquale. Nella tavola imbandita, oltre alla presenza dei confrati del SS.Sacramento (confraternita nata già nel 1629) che fungono da apostoli, sono immessi delle cibarie che simboleggiano non soltanto la morte e la resurrezione di Cristo ma che hanno, purtuttavia, una doppia valenza simbolica, strettamente legata al mito di Cerere e del risveglio della natura. Pane, lattuga, finocchio, agnello pasquale, 'minnulicchi': ciascuno di questi elementi simboleggia un qualcosa di specifico e possiede forma particolare. All’interno della “czèna”, inoltre, si svolge il rituale della lavanda dei piedi (con un unguento particolare) e poi i cibi della tavola vengono divisi, con suggestivo silenzio intervallato da gestualità essenziali, dal sacerdote ai dodici apostoli (ovvero i confrati predetti) che hanno il compito di suddividere in piccole porzioni gli alimenti ricevuti, successivamente, ai vicini di casa, ai conoscenti od ai bisognosi. Dalla sera del giovedì fino alla mezzanotte del sabato Santo faceva la sua comparsa ‘a truèccula (la bàttola o tabella) che sostituisce il suono delle campane, messe momentaneamente da parte per far intendere una collettività in lutto durante tutto il predetto periodo. Un tempo anche gli altari venivano coperti da enormi teli dipinti a mano ma oggi entrati in disuso. ‘A Visaria (Via Sacra-Via Crucis) consiste nella rappresentazione della Via Crucis. La mattina del venerdì Santo dalla Chiesa di S.ta Maria de’ Francis parte una processione, spesso sacra-rappresentazione della Crocifissione, per poi giungere, dopo aver percorso alcune vie del paese (ove si trovano incastonate nei muri le stazioni della via Crucis, in maiolica) alla matrice San Giorgio. Ad ogni stazione naturalmente ci si ferma e talvolta viene improvvisata una piccola predica morale dagli stessi partecipanti. C'è da dire che attualmente essa viene praticata il venerdì antecedente la settimana pasquale, come dettato dalle nuove norme della Chiesa, per lasciar più spazio alla preghiera ed all'adorazione della Passione di Gesù. Il venerdì Santo prosegue con la processione del pomeriggio. Il Cristo morto e la Madre Addolorata vengono portati in processione dai confrati del SS.Sacramento, della Madonna del Rosario e di San Mauro Abate. Durante la processione, giunti nella chiesa di San Giorgio, dopo la lettura della passione di Cristo, avviene il rituale della pirdunanza: qui i confrati, che indossano una corona di spine, ed i fedeli che vogliono partecipare, percorrono, percuotendosi il corpo con un flagello, il corridoio della navata centrale della chiesa, inginocchiandosi di tanto in tanto. Sono pure caratteristici i cosiddetti lavurietri(piatti e ciotole opportunamente preparati a metà quaresima con stoppa o canapa, chicchi di grano, lenticchie, scagliola e acqua, tenuti al buio e fatti germogliare fino al giorno del venerdì). I germogli dei semi, di colore giallo e verde, vengono talvolta abbelliti con nastri colorati e portati ai fianchi delle statue del Cristo morto e della Madonna. Questi “lavurietri” simboleggiano il campo di grano appena in erba e sono di indubbia derivazione precristiana: si ricordino a tal proposito i “giardini di Adone”, piatti di orzo, lattuga e finocchio fatti germogliare al buio in onore del dio Adone, amato da Afrodite. ‘A scinnùta da’ Cruci (la discesa dalla Croce) costituisce una funzione che si svolge la sera del venerdì nella Chiesa di S.ta Maria de’Francis. Il Cristo è deposto dalla croce e portato nel sepolcro. Il rituale della settimana santa continua con la benedizione del fuoco, del cero pasquale, del fonte battesimale e con l'adorazione del Cristo risorto: il tutto avviene la notte del sabato. La festa del Patrono San Mauro Abate (‘A fèra ) San Mauro Castelverde detiene il primato della festa patronale più lunga delle Madonie. Questo fatto deriva da due diversi fattori: uno climatico-ambientale, cui il clima rigido ha suggerito nei secoli passati lo slittamento dei festeggiamenti dal 15 gennaio alla data attuale, ovvero il primo martedì di luglio, la domenica e il lunedì che lo precedono e la domenica successiva, detta dell’ottava; l’altro di natura logistica: il fercolo del Santo, infatti, ha subito nei secoli diverse trasformazioni: si è passati da una Vara a quattro colonne, tutte dorate con in cima la statuetta della Resurrezione, esistente prima del 1600, all’attuale fercolo ad otto colonne, commissionato nel 1650 ad opera dei carbonai, con dodici puttini e con la statuetta dell’Immacolata Concezione alla sommità di esse. Al centro del c’è, naturalmente, la statua di San Mauro Abate intronizzato. La grandezza assolutamente ragguardevole della vara, portata in processione da circa 40 persone oltre che le guide, obbliga a compiere sempre lo stesso percorso processionale per alcune vie del paese, dovendosi la vara spostare dalla propria chiesa a quella della matrice San Giorgio, ove era custodita la reliquia di San Mauro Abate. Dunque, data l'ingente mole del fercolo dovuta soprattutto alla sua imponenza, dovendosi oltretutto adempiere a queste pratiche religiose, la festa dura quattro giorni in estate e solo uno nella reale ricorrenza (15 gennaio). Anticamente i confrati erano soliti distribuire, in questo giorno, la cuccìa (grano bollito) ai poveri, ma da quando la festa solenne ha iniziato ad essere commemorata a giugno, accadeva che essa era concomitante alla fiera del bestiame del 30 maggio. Per cui, probabilmente a causa di tale fiera, il nome tradizionale dei festeggiamenti ('a Fera) deriva proprio da essa. Ancora oggi il primo martedì di luglio è il giorno solenne dell’intera festa, ma è assai caratteristica la processione dell’ottava, con la benedizione dei campi che si svolge al Piano San Mauro per i quattro punti cardinali; benedizione che, in epoca passata, era propiziatrice di un buon raccolto di grano, sostegno e cibo preferenziale della classe contadina. Le spighe che adornano il fercolo nei quattro giorni della festa testimoniano proprio questo fatto. Tutte le quattro giornate sono sottolineate da processioni solenni, alle quali partecipano le confraternite, con antichi costumi, la banda musicale, i portatori della vara (a testimonianza della sua pesantezza), le autorità civili e militari nonché tanti fedeli, anche se emigrati o trasferiti, che ritornano in paese per non dimenticare il proprio passato. ‘Acchianata ‘a Madonna (15 agosto – Assunzione della B. V. Maria) La suddetta funzione si svolge la sera del 15 agosto nella Chiesa Parrocchiale di S.ta Maria de’ Francis, rappresentante l’Assunzione di Maria Vergine al cielo. Un apposito meccanismo di argani e corde, opportunamente collegati con una statua della Madonna, permettono di scenografare l’ascesa al cielo della beata Vergine. La rappresentazione si svolge al culmine della navata centrale della chiesa ormai da decenni: questa sua suggestività contribuisce a rendere tale funzione, accompagnata da antichi canti religiosi e dal suono dell’organo settecentesco, veramente peculiare. Subito dopo la messa, si apre il sipario di un antico apparato scenografico (oggi rifatto, per via dell’usura) e le nuvole si diradano pian piano per dare spazio ad una coppia di angeli che reggono una corona di stelle, la quale, scendendo dal cielo, determinerà l’apertura del sepolcro della Madonna. Da questo momento la Beata Vergine e gli angeli che la contornano comincerà l’ascesa al cielo, al termine della quale gli apostoli compariranno dai lati del sepolcro e lo scopriranno vuoto. Il marchingegno che permette alla statua, abbastanza pesante, della Madonna, di salire, è costituito da corde, carrucole, organi motori ed altro, essendo assai antico. Degustazioni tipiche Di volta in volta assumono, seppur di varia natura, denominazioni differenti (Sagra del caciocavallo -Tradizioni e memorie- festa della capra- Sapori e tradizione ecc.) e costituiscono una sorta di sagra paesana che, all’insegna dell’artigianato, della cucina casereccia, della degustazione di cibi cotti secondo antiche ricette, di sapori ormai scomparsi nel tempo, cercano di far conoscere ed apprezzare alla gente i costumi di un popolo, quello maurino, che ha saputo conservare antiche tradizioni e usanze quali “il senso dell’ospitalità”. L’ospite è sacro, si diceva una volta: così la pensavano gli avi, come d’altra parte avveniva nella Grecia antica. Si svolgono a S.Mauro C.de, in alcuni quartieri o nelle contrade tipiche, e sono manifestazioni che non hanno una data fissa o certa; tuttavia, accanto agli antichi sapori delle fave, del pane fatto in casa, della deliziosa salsiccia, dei fiorelli e di quant'altro, le degustazioni riescono a trasmettere storie di costumi e tradizioni proprie del luogo -così si parla- anche attraverso le foto dei mestieri di una volta, di’ mastri, di’ viddrani, della raccolta dell’olio, della mietitura, della vendemmia, della vita di relazione degli abitanti di un piccolo centro madonita che, nel 1881, contava circa 6.200 abitanti. Altra festa tradizionale, istituitasi recentemente, è l'oramai celebre sagra della capra, degustazione della capra bollita e cucinata con ortaggi ed aromi locali, fonte indiscussa di turismo nonché meta preferita per la gola del mangiar sano e particolare. Si devono aggiungere ad essa la sagra delle fave bollite e del cutruruni, ovvero pastella fritta, accompagnate dal buon vino locale nonché, come si diceva, dall'ospitalità della gente in loco. Esse solitamente si svolgono tutte nel periodo compreso tra agosto ed i primi giorni di settembre. Persone legate a San Mauro Castelverde Paolo Prestigiacomo (San Mauro Castelverde, 1947 – Roma, 1992), poeta a cui è intitolato un premio letterario cittadino. Santa Biondo (San Mauro Castelverde, 1892 – Stamford, Connecticut, 1989), star dell'opera americana il cui apice della carriera si attesta tra il 1927 e il 1938. Amministrazione Elenco dei sindaci del XXI secolo Gemellaggi San Mauro Castelverde è gemellato con: Quilmes sede di un'antica comunità di emigranti maurini; Rush con cui condivide lo stesso santo patrono (San Mauro). Altre informazioni amministrative Fa parte del Parco delle Madonie. Note ^ a b ISTAT: Popolazione residente al 31/12/2012. ^ AA. VV., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Milano, Garzanti, 1996, p. 585. ^ Arc. Dr. Don Francesco La Rocca, “Tradizioni e Memorie della terra di S. Mauro”. 1976. U.S.E.C, Palermo. ^ Mauro Leonarda, “Ricerca ed esame delle notizie tradizionali e storiche di Santo Mauro Castelverde”. ^ Enza Paruta, “Geraci Siculo”. 1973, Palermo. Sicilia Nuova Editrice. ^ Esploratore del passato Maurino e attento giornalista dell’allora “Corriere delle Madonie”. ^ D.P.R. 17 gennaio 2000. ^ S.Mauro, 1597-Roma, 1687, beneficiale di Santa Maria Maggiore presso Santa Caterina a Roma. ^ Statistiche I.Stat - ISTAT; URL consultato in data 28-12-2012. ^ Storia amministrativa del comune di San Mauro Castelverde (PA). ^ Rieletto il 15 maggio 2005. Bibliografia Francesco La Rocca, Tradizioni e Memorie della terra di S. Mauro, manoscritto del Settecento ritrattato e pubblicato da Gioacchino Drago Calascibetta, Palermo, U.S.E.C., 1976. Mauro Leonarda, Ricerca ed esame delle notizie tradizionali e storiche di Santo Mauro Castelverde, ristampa anastatica dell'edizione del 1894, San Mauro Castelverde, Amministrazione comunale, 1987. Mario Ragonese, San Mauro Castelverde, Palermo, Arti Grafiche Siciliane, 1976. Mario Ragonese, Sulle origini di San Mauro Castelverde tra storia e leggenda, Palermo, Arti Grafiche Siciliane, 1986. Pola Giallombardo, Proverbi e modi di dire dell'area madonita, Palermo, Gaefra Editore, 2001. Paolo Polizzotto, Malìa, Palermo, Pitti Edizioni, 2004. ISBN 88-901364-1-3. Giovanni Nicolosi, U cuntu. Siamo il nostro passato. Un museo immaginario di mutevoli forme, Palermo, Anteprima, 2006. G. Rampulla, La Valle del Fiume Tusa nella Contea di Geraci: Pettineo, Migaido e Castel di Lucio, voce S. Mauro, Patti, Kimerik, 2007. ISBN 978-88-6096-157-0. Giovanni Nicolosi, Ninghili Ninghili. La tradizione orale di San Mauro, Palermo, Fotograf, 2008. G. Antista (a cura di), Alla corte dei Ventimiglia. Storia e committenza artistica, atti del convegno di studi (Geraci Siculo, Gangi, 27-28 giugno 2009), Geraci Siculo, 2009. Giovanni Nicolosi, La Sicilia dell'Ottocento prigioniera dei briganti maurini, Palermo, Pietro Vittorietti Edizioni, 2012. ISBN 978-88-7231-150-9. Voci correlate Parco delle Madonie Provola delle Madonie Altri progetti Commons contiene immagini o altri file su San Mauro Castelverde
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