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Albidona

Luogo: Albidona (Cosenza)
Albidona (IPA: [ˌal.bi.'doː.na] Albedòne in dialetto albidonese, Leutàrnia in latino e Λευτάρνια in greco antico) è un comune italiano di 1.423 abitanti della provincia di Cosenza. Si trova nell'Alto Ionio Cosentino e fa parte della Comunità Montana Alto Ionio, della quale è il 3º comune sia per estensione territoriale che per popolazione. Secondo fonti antiche, Albidona sorge nei pressi delle rovine dell'antica città magno-greca Leutarnia, fondata dall'indovino Calcante, esule della guerra di Troia. È ritenuta, inoltre, patria di Elia Astorini, carmelitano poliedrico del XVII secolo. Il comune è centro di notevole interesse geologico, legato principalmente agli studi sulla formazione del Flysch di Albidona, una conformazione che si estende lungo tutto il territorio di confine tra Calabria e Basilicata. Inoltre, gode di modesta rilevanza gastronomica, legata soprattutto al Salame crudo di Albidona, inserito nella lista dei Prodotti agroalimentari tradizionali calabresi. Il comune ospita il primo monumento ai caduti eretto in Calabria (1966). Geografia fisica Albidona è un piccolo ed antico centro montano posto tra l'Alto Ionio Cosentino e il massiccio del Pollino, quasi ai confini della Lucania, posto a 810 m s.l.m.. L'altitudine del centro abitato varia tra 700 (località Cutùra o Pietà) e 817 m s.l.m. (Timpone Castello). L'altitudine convenzionale del centro abitato è 810 m s.l.m., riferita alla posizione della vecchia Casa comunale, mentre l'altitudine del Municipio è di circa 760 m s.l.m.. Il centro abitato sorge su tre monti (timpòni) attigui, il Timpone Castello, il T.ne Fronte e il T.ne Guardiano. Questa posizione gli consente di avere una singolare forma a mezza luna, con il centro storico rivolto verso sud-est e il quartiere nuovo (Piano Giumenta) rivolto verso sud-ovest. Territorio Il territorio (63,71 km²) si estende dal mare, comprendendo un breve tratto di pineta con spiaggia fra Amendolara e Trebisacce, in corrispondenza della Piana della Torre di Albidona, all'alta montagna (Timpone della Foresta - 1124 m), da dove si possono raggiungere percorrendo per pochi chilometri la strada provinciale Albidona-Alessandria del Carretto, il Monte Sparviere (1713 m) e i confini orientali del Parco nazionale del Pollino. Infatti, tra i comuni dell'Alto Ionio che hanno una porzione di costa nel loro territorio, Albidona ha il territorio con maggiore escursione altimetrica (1124 m). Il territorio albidonese confina con i comuni di Alessandria del Carretto (nord-ovest), Oriolo, Castroregio (nord), Amendolara (nord-est), Trebisacce (sud-est) e Plataci (sud-ovest). Classificazione sismica: zona 2 (sismicità medio-alta) Storia geologica del territorio Flysch di Albidona La struttura geologica del territorio albidonese è stata da sempre oggetto di interesse per numerosi studiosi, soprattutto per quanto riguarda la successione sedimentaria del Flysch di Albidona, una formazione geologica molto vasta, che si diparte dalla faglia di Trebisacce sul mar Ionio, fino a raggiungere l'area nord-occidentale del massiccio del Pollino, nei pressi di Moliterno (alta valle dell'Agri) e del Monte Centaurino, affiorando in modo nettamente più cospicuo nel territorio di Albidona. Si tratta di un'alternanza di colore grigio-oliva di peliti spesso siltose e di psammiti a composizione di subgrovacche, che raggiunge anche i 2.200-2.300 m di spessore. Orografia Il territorio di Albidona presenta per la sua vastità svariati ambienti naturali (pianura, collina e montagna) e quindi un variegato numero di specie faunistiche e floreali. Il territorio è principalmente collinare nella parte che va dai confini con Trebisacce (dal monte Mostarico) a pochi chilometri dal centro abitato, dove si riscontrano i primi ambienti di bassa montagna, mentre la parte che va dal centro abitato ai confini con Alessandria del Carretto è completamente montano, ad eccezione dei pendii posti lungo il letto della fiumara Avena e della fiumara Saraceno. Le principali cime montuose, dette in dialetto albidonese "timponi", sono: Timpone della Foresta (1108 m) Serra del Manganile o Timpone del Manganillo (1100 m) Timpone del Cerro (985 m) Timpone Piede della Scala (923 m) Timpone Tolla (904 m) Timpone Turrisi (880 m) Timpone Nardone (859 m) Timpone di S. Ranura (839 m) Monte Mostarico (774 m) Timpone S. Elia (739 m) Idrografia Il territorio di Albidona è molto ricco di corsi d'acqua; questo è testimoniato anche dalla presenza di diversi pozzi e fontane, usate una volta anche a scopo irriguo, e ruderi di antichi mulini ad acqua, in particolare nell'area montana del territorio (Piano Senise e Serre di Tagliamano). Si riscontrano tre principali torrenti: Fiumara Saraceno ("a jumàr'u Saracìne"): è il corso d'acqua più lungo del territorio albidonese (25 km); la sua sorgente si trova tra i monti del Gruppo dello Sparviere, mentre il letto della fiumara si estende per una parte del territorio di Alessandria del Carretto, continua delimitando il confine tra Albidona e Plataci e sbocca tra Villapiana e Trebisacce con una foce a delta larga circa 3 km, coperta da una ricca vegetazione di macchia mediterranea e Pini d'Aleppo. È alimentato da vari canali: Canale del Forno, Filliroso, Frangiardi, Gioro. Torrente Avena ("a jumàra Avena"): nasce nel Bosco Mezzàna, nei pressi della Contrada degli Alvani ("gl'Aguene"), continua lungo il versante orientale del territorio con un corso di circa 15 km, fino a raggiungere la foce tra Amendolara e la Torre di Albidona. Il nome Avena è probabilmente legato alla "vena", il nome dialettale, con il quale si indicava la "sorgente", ma anche la "biada", poiché i terreni posti lungo il letto del torrente sono alquanto ricchi di cereali, come la biada. È alimentato da questi canali: Alvani, Mararosa, Santappico, Timpicella. Fiumara Pagliara ("a Jumarella"): è un corso d'acqua abbastanza breve (circa 11 km), che nasce nei pressi dell'abitato e scorre lungo la valle delimitata dal Monte S. Elia, il Monte Mostarico e i bassorilievi di Rosaneto, Puzzoianni e il pianoro in territorio di Trebisacce, dove il corso d'acqua sfocia. Negli ultimi anni è sorta in prossimità della foce, un'area urbana, che ha preso il nome di Rione Pagliara, appartenente ai confini urbani di Trebisacce. Si susseguono lungo il suo corso, sfociando in essa, i canali: Pinciute, Cipillino, Marletta, Paisinino. Clima A 12 km dal mare e a 18 km dall'alta montagna, la sua posizione geografica permette di avere un clima mite. Data la considerevole escursione altimetrica del territorio (da 0 a 1.108 m s.l.m.), le differenze di temperatura si registrano intorno ai 6-8 gradi. Nella Piana di Albidona (0-200 m s.l.m.) il clima è fresco in inverno e caldo moderato in estate; nelle aree collinari al confine con i territori di Trebisacce e Amendolara (Puzzoianni, Destra, Marraco, Maristella, Manca dell'Occhio, Pian dell'Avena) il clima è molto fresco in inverno e caldo moderato in estate; nelle località di bassa montagna (Trodio, Rosaneto, Mostarico), nell'area in cui sorge il centro abitato e in altre località al di sotto dei 900 m s.l.m. (Recolla, Timpone Nardone, Timpone Cavour) il clima è freddo in inverno e caldo moderato in estate; nelle aree di alta montagna -oltre i 900 m- (Corice, Serra del Manganile, T.ne della Foresta, Fraizzo, Calcinaro) il clima è molto freddo in inverno e mite-caldo moderato in estate. Nel territorio albidonese, in particolare dalla località Recolla verso il Timpone della Foresta e, in misura più attenuata, dalla località Rosaneto al centro abitato, si registrano diverse e consistenti nevicate in inverno, sebbene esse siano diminuite durante gli anni in modo alquanto considerevole. Classificazione climatica: zona E, 2418 GG Storia Albidona tra storia e leggenda La storia di Albidona è avvolta nella leggenda. Il paese sarebbe stato fondato da un gruppo di profughi guidati dall'indovino Calcante che, ritornando dalla guerra di Troia, approdò sulle coste della Calabria citeriore, dove morì. Le origini di Albidona sono legate all'antica città magno-greca Leutarnia, di cui parlarono Licofrone e Strabone, ma la convergenza topografica tra i due centri non è attestata da alcuna fonte storica. Saranno poi alcuni storici calabresi del XVII e XVIII secolo, il Barrio e il Fiore, a ipotizzare che Albidona sorgesse sulle rovine della mitica Leutarnia. In tempi più recenti ne parlano Giuseppe Antonini, l'abate Romanelli, l'autore inglese Cramer, il Coscia e Gustavo Valente, rifacendosi alle fonti sopra menzionate. Origini Storicamente, l'esistenza del paese in epoca mediolatina è testimoniata da un documento (forse un atto notarile) risalente al 1106, dove si asserisce il baratto tra alcuni monaci del monastero di S. Angelo di Battipede (nel territorio di Albidona) e un tale Andrea Spezzanite, che abitava nel territorio di Cerchiara. Durante i restauri della Chiesa di Sant'Antonio da Padova del 1957 fu ritrovata una tavola in legno, risalente al 1070, che riporta il finanziamento del restauro della Chiesa da parte di un devoto, tale Massenzio de Rago ("Hoc tectum Massentius de Rago fecit pro sua devotione. 1070"). Ma questo non costituisce una prova certa che attesti l'esistenza di Albidona nell'anno 1000, poiché non è possibile accertare che la data riportata sia esatta o che la tavola lignea non sia una falso di periodi successivi, e inoltre perché il documento asserisce l'esistenza della chiesa, ma non del paese, perché non è certo che le origini del devoto de Rago siano albidonesi. Periodo feudale Nel periodo feudale Albidona appartenne prima a Corrado D'Amico (1291); questi lo trasmesse in dote alla nipote Avenia, la quale andò in sposa a Giacomo d'Oppido. Poi il feudo passò ai della Marra, ai Sanfelice, ai Castrocucco e infine ai Sanseverino. Con il dominio angioino nelle due Sicilie, il paese passò ai Mormile, duchi di Campochiaro, che lo detennero sino ai primi anni dell'Ottocento. I Chidichimo dall'inizio del 1800 fino al periodo fascista Nel 1809 si insediarono nel territorio i Chidichimo, famiglia di origine albanese, che, dal duca di Campochiaro, acquisirono le loro proprietà e un certo potere nel territorio albidonese per tutto l'Ottocento e gli anni della dittatura fascista. Durante la loro permanenza napoletana, certamente i numerosi fratelli Chidichimo, dopo il principe di Alessandria Pignone del Carretto, avevano conosciuto e ben frequentato Ottavio Mormile, Duca di Campochiaro e Marchese di Albidona, il cui discendente divenne Ministro degli Esteri di Gioacchino Murat nel corso del 1800. Il Mormile aveva ereditato i feudi di Albidona dal primo duca Ottavio, che a sua volta li aveva ottenuti grazie il matrimonio con Caterina Castracane, baronessa di Albidona dal 1742. Evidentemente, la buona riuscita dei fratelli Chidichimo nell'amministrare i beni del Pignone, indusse il Campochiaro a dare agli stessi fratelli, o ad alcuni di essi, il compito di gestire i suoi patrimoni, ricadenti nei territori di Trebisacce ed Albidona. La permanenza ad Albidona dei Chidichimo fu utile alla Famiglia, che cominciò ad acquistare terreni, acquisendo presto la proprietà di quasi tutti i beni del Campochiaro. La piena acquisizione risale ai primi anni del 1800 e fu pagata impegnando i cespiti di Napoli e accendendo un mutuo di 50.000 ducati. Due grandi riforme legislative mutarono il panorama politico dell'epoca: le leggi sulla eversione del feudalesimo e sulla secolarizzazione dei grandi beni ecclesiastici. Tutto ciò si ripercosse ovviamente anche nello sperduto paese di Albidona, dove già la voce del popolo aveva coniato il detto “la terra appartiene alle tre “C”: Comune, Campochiaro e Chidichimo". Queste due grandi riforme portano l'avvio dello sviluppo della proprietà borghese e l'aspirazione alla nobiltà per i nuovi ricchi che, nonostante l'eco dei valori della rivoluzione francese, mantenevano come modello sociale la gerarchia aristocratica meridionale. Si vanno formando gli stati nazionali, inizia lo sviluppo dell'economia e, in assenza di strumenti finanziari e specializzati, diffusamente si ricorre ai prestiti privati ipotecari. Si affaccia la politica senza ancora i partiti e si incominciano a delineare una destra e una sinistra. Dopo l'unità d'Italia, si organizzano le prime elezioni per collegi uninominali, riservate non solo ai nobili, ma anche a uomini appartenenti ad un certo livello di censo. La politica viene così vista dalla nuova borghesia come la strada per raggiungere lo status nobiliare, tenuto conto che almeno i titoli nobiliari erano sopravvissuti e davano ancora lustro a chi poteva fregiarsene. L'assenza di partiti e le elezioni per collegi uninominali finirono per determinare una politica di alleanze finalizzata a conquistare quanti più voti possibili nei territori contermini. Così, in ogni famiglia che intendeva dare la scalata al miglioramento sociale, si affermarono due necessità: mantenere ed accrescere il patrimonio, predisporre matrimoni allo scopo di aumentare l'influenza politica nel collegio. Per questo, era una sola figlia destinata a nozze di convenienza politica, per concentrare in tale tentativo di successo tutte le risorse dedicate alla costosa dote. Le altre femmine di Famiglia finivano con rimanere in casa, ovvero, quando non costasse troppo e potendoselo permettere, messe in Monastero. Alcuni documenti che trattano del viaggio di Ferdinando II a Castrovillari nel 1852, attestano nel convento delle Clarisse la presenza di alcune monache Chidichimo tra cui la badessa. L'affermazione della nuova borghesia ha come conseguenza un maggiore impegno e un più attento controllo dei fattori di produzione del reddito, con particolare riguardo alle attività delle classi sociali inferiori e asservite. Le masse contadine, pur globalmente meno arretrate rispetto al periodo feudale, ne traggono impoverimento, cambiando sostanzialmente il rapporto con il padrone e soprattutto avendo il padrone così vicino, vigile e bisognoso di mezzi per permettersi “a somiglianza di quanto introdotto alla Corte di Francia, di fare vita alla Reggia con grande impiego di mezzi finanziari”. Tale impoverimento delle classi contadine, aggravato dalla politica doganale delle derrate e delle merci, come introdotta dai piemontesi, spingerà allora numerosi meridionali a cercare fortuna emigrando verso le Americhe. Fu durante il 1800 che i Chidichimo subentrarono in larga parte al Campochiaro, ai monaci basiliani (di cui la Chiesa aveva deciso la secolarizzazione dei beni) e al Marchese Andreassi nella proprietà delle terre nelle zone di Alessandria, Albidona e Trebisacce. Ad avvantaggiare questa crescita patrimoniale e sociale servirono certamente l'aiuto e l'intelligenza di uno dei fratelli della seconda generazione: Luigi Rinaldo, monaco “Cantore” basiliano detto frate Barbaro. È del 1855 il rogito notarile con cui la Famiglia Chidichimo (rappresentata da Nicolantonio) acquista dl Marchese Andreassi una serie di beni in zona di Trebisacce ed Albidona. Negli stessi anni centrali del secolo diciannovesimo, c'è un impegno forte della Famiglia a dare la scalata alla politica, in vista dei traguardi nobiliari. Si annoverano così nella Famiglia prima alcuni esponenti con il titolo di Guardia d'Onore, poi diversi sindaci, consiglieri provinciali e due deputati. Il primo deputato è Luigi Chidichimo (1835-1904), avvocato e politico. Sindaco di Albidona nel 1871, ancora dal 1874 al 1877 e dal 1878 al 1883, consigliere provinciale, presidente della Provincia di Cosenza nel 1881 e deputato al Parlamento nazionale nelle legislature Legislatura X e Legislatura XIV. Paolino (1860-1918), invece, del ramo di Cassano allo Jonio, dove fu Sindaco, diventa deputato agli inizi del Novecento. Tra i due vi è una profonda differenza di posizione politica, essendo Luigi parlamentare della Sinistra, tra i pochi che ascoltò a Stradella il discorso di Depretis, e Paolino seguace della Destra e, soprattutto, espressione del mondo cattolico. Si è detto che la politica ed i matrimoni erano l'occasione per alimentare la propria influenza politica nei Comuni in cui si voleva aumentare la propria affermazione e popolarità. Spesso i matrimoni univano nel tempo esponenti delle stesse famiglie come si racconterà delle famiglie Chidichimo e Rovitti, legate da vincoli matrimoniali e d‘affari per quasi un secolo. Ma l'acquisita ricchezza non generava solo ascese politiche e nobiliari, spesso era lo spunto di grandi guai e problemi, come quando un rappresentante della famiglia veniva rapito a scopo di riscatto, come accadde con Pasquale Chidichimo, rapito dal brigante Franco. Era più che logico in questo contesto come la crescita sociale, anche in senso nobiliare, fosse un elemento importante. Il gradino minimo dell'affermazione politico-sociale era la carica di Sindaco. Si contano così in Famiglia numerosi sindaci nei comuni di influenza dei Chidichimo, a cominciare da Alessandria del Carretto. In questa scalata, il traguardo importante da raggiungere era il Baronato e alle condizioni per raggiungerlo si mescolavano il censo (e cioè la ricchezza), il grado già raggiunto, l'influenza politica. L'agognato baronato fu raggiunto a coronamento della carriera politica di Luigi, già Consigliere Provinciale e Presidente della Provincia: nell'annuario dei deputati della XIV legislatura, l'On. Luigi è indicato anche come Barone. Tuttavia, la nomina giunse in concomitanza con la grande crisi economica della Famiglia. Le spese ”politiche” del deputato avevano coinvolto praticamente tutta la famiglia, sicché non si fu più in grado di pagare i diritti relativi al brevetto di barone e questo riconoscimento, pur rimanendo agli atti, non fu trascritto nel registro della nobiltà. In questo lungo periodo si alternarono come sindaci di Albidona altri esponenti della famiglia Chidichimo e di altre famiglie locali egemoni (e abbienti), quali gli Scillone, i Mele, i Dramisino, i Prinsi. I "moti comunisti" del 1848 Negli anni in cui nelle città italiane ed europee maggiori scoppiarono i moti rivoluzionari, anche Albidona fu interessata dall'ondata di rivolta, che causò il ferimento (e la morte) di alcune persone e l'arresto di molte altre. Il sentimento ribelle fu incentivato anche dalle prime scintille rivoluzionarie scoppiate nel comprensorio di Albidona: ad Amendolara era stato istituito un circolo religioso affiliato alla ""Giovane Italia", guidati dal sacerdote don Vincenzo Mussuto; a Plataci si trovava il prete Angelo Basile, principale promotore dei movimenti. Anche nel piccolo comune di Albidona fu costituito un circolo di sentimento politico "liberale", chiamato dai Borboni "Setta dei rivoltosi", allo scopo di tutelare le famiglie povere e restituire loro le terre confiscate dalle famiglie nobili. Nel 1848 i rivoltosi iniziarono la sommossa, ma il movimento fu soffocato ed essi furono arrestati, processati e condannati dalla polizia borbonica. I "comunisti, nella Settimana Santa del 1848, iniziarono in alcune aree del territorio albidonese il disboscamento, che non gli era stato concesso dal Comune, al fine di rendere i terreni disboscati coltivabili e assegnarli alle famiglie più povere. Ma le famiglie nobili albidonesi comunicarono, intanto, a Cosenza il "misfatto" dei rivoltosi. Essi, così, organizzarono una manifestazione popolare nel giorno di Pasqua del 1848, con l'appoggio di due liberali facenti parte della famiglia Scillone (altra famiglia abbiente di Albidona) e del notaio Dramisino. I ribelli protestarono in piazza Risorgimento davanti al palazzo Chidichimo, accusandoli di aver detratto il demanio agricolo alle famiglie meno abbienti; con i Chidichimo si schierarono i filo-borbonici. Ad avere la meglio furono i Chidichimo che, con l'appoggio della polizia borbonica, riuscirono a far arrestare e condannare i rivoltosi comunisti; nello scontro morirono addirittura due persone. Alcuni rivoltosi, come il notaio Dramisino, Francesco Rizzo, Marzio Palermo, il Minucci e Giovanbattista Scillone furono condotti nell'isola di Procida, per scontare la prigionia, e qui morirono dopo qualche anno. Padre Luigi d'Albidona Tra i protagonisti dei moti rivoluzionari nel contesto regionale ci fu un frate cappuccino, il noto Padre Luigi d'Albidona, al secolo Luigi Cataldi, nato ad Albidona nel 1818. Il religioso, assegnato al convento di Torano Castello, entrò a far parte della "banda toranese" (composta da 27 uomini), stringendo amicizia con l'anarchico Giuseppe Petrassi e i fratelli Baviera. Partecipò, quindi, agli attacchi alle milizie del "Real governo" a Paola e alla "disfatta" di Castrovillari, dove incontrò anche i 17 albidonesi, che presero parte alla sommossa (tra questi si trovava anche Benedetto Cataldi, fratello del cappuccino, uno dei maggiori promotori della rivolta comunista ad Albidona). Fu arrestato nel 1850, processato nel febbraio del 1852 e condotto dopo un lungo periodo di latitanza nel carcere di Cosenza. Dopodiché fu portato nel carcere dell'isola di Nisida, nei pressi dell'isola di Procida. Il padre si dichiarò sempre e comunque "prigioniero politico", ma fu condannato prima alla pena di 18 anni di prigionia, ridotti in seguito a 13 anni; il cappuccino non li scontò mai tutti, perché morì dopo quattro anni, solo, malato e distrutto dalla terribile prigionia. Il ventennio fascista e il periodo repubblicano (DC) Nel ventennio fascista si distinsero ancora i Chidichimo (che governarono nel comune a periodi alternati e con i diversi esponenti della famiglia per ben 27 anni) e i Dramisino. Nel primo periodo repubblicano si alternarono ancora i Chidichimo e i Ferraro, ai quali si insediò poi Salvatore Dramisino (già commissario prefettizio durante la dittatura fascista), di ideale degasperiano (DC). Dall'avvento socialista al 2014 Nel 1964, dopo un'amministrazione di 19 anni, fu superato da Antonio Mundo (poi consigliere provinciale, assessore regionale e deputato al Parlamento con il PSI). La campagna elettorale del 1964 fu molto accesa: la lotta politica tra l'esordiente Mundo e l'ormai veterano Dramisino sfociò in duri scontri non solo diplomatici, ma anche fisici, come la cosiddetta "Guerra degli asini" (A guerr d'i ciucc), la quale portò al ferimento di alcuni esponenti e sostenitori dei due partiti. Ma il malcontento popolare causato da un'amministrazione di Dramisino radicata ancora ai vecchi ideali autoritaristi del ventennio Fascista, favorì la vittoria di Mundo. Nei primi anni della sua amministrazione Albidona mutò la sua situazione, con la doverosa costruzione di servizi primari allora non ancora presenti (1964), quali, ad esempio, il sistema fognario, la luce elettrica e la viabilità rurale, della cui attuazione Mundo risentiva l'onere in quanto simbolo di un nuovo sistema politico ormai radicato ad Albidona dopo un periodo non troppo positivo. L'opposizione degli esponenti della Democrazia Cristiana, che si rifacevano a Dramisino, si affievolì sempre più con il tempo, fino a quando non comparì nel 1970 sulla scena politica locale Michele Viceconte (capogruppo della Democrazia Cristiana), che oppose una strenua ma vana resistenza all'egemonia socialista fino al 1975. Dal 1990 lo stesso Viceconte, diventato capogruppo del P.P.I., ristabilì una nuova opposizione con l'alleanza di altri esponenti locali e non (Lizzano, Salandria, Napoli), sfiorando la vittoria nel 1995 per soli 51 voti. Dopo il ritiro dalla scena politica locale del Viceconte, alcuni degli esponenti già suoi alleati nel 1995 (Lizzano, Napoli, Salandria, Adduci), insieme ambirono invano alla costituzione di una nuova alleanza politica, che potesse sradicare l'ormai egemone sistema socialista dal potere. L'ex deputato detiene ancora le redini dell'amministrazione albidonese (dopo più di 45 anni), con l'avvicendamento di sindaci di ideale politico comune. Monumenti e luoghi d'interesse Torre di Albidona La Torre di Albidona, posta su una collinetta rivolta verso il mare, fu costruita contro i Saraceni nel XVI secolo dal viceré spagnolo don Pedro di Toledo e usata come vedetta contro possibili attacchi dal mare. Questo le porta ad avere una splendida e suggestiva veduta. Nel corso del tempo ha assunto varie denominazioni: nel 1568 era chiamata Torre dei Monaci, in quanto appartenuta a lungo ai Monaci Basiliani, che si erano stabiliti nella località "Cafaro"; nel 1792 chiamata Torre di Alvidonia, quando fu adoperata per l'ordinamento doganale, ed era in possesso del Duca di Campochiaro, che deteneva anche il potere del paese, nel 1938 divenne la Torre Marina e si passò alla famiglia che ancora ne è proprietaria. Nel corso del tempo la torre è stata custodita da molti torrieri (Francesco Naso, Francesco d'Aurelio); nella seconda metà del Settecento la torre era custodita da due cavallari invalidi, retribuiti dal popolo albidonese di ben 35 carlini al mese, una spesa molto gravosa per l'economia di Albidona a quel tempo. La torre ha una forma cilindrica nella parte alta, mentre la base ha forma tronco-conica, con un diametro di circa 9 metri ed un'altezza di circa 12 metri; è costruita con pietre locali e le pareti sono spesse circa 2 metri. Gli interni sono stati arredati dalla famiglia proprietaria, che ne consente la visita a richiesta. La comunicazioni tra i piani interni è favorita dalla presenza di una scala a chiocciola e una botola molto suggestive. Nel 1981 è stata restaurata da artigiani locali, che hanno ripristinato la scala e il ponte levatoio ormai distrutti. Nonostante appartenga a privati, la Torre di Albidona, per il suo grande apporto storico, culturale e turistico, è uno degli emblemi più grandi della piccola comunità albidonese. Monte Mostarico Il Monte Mostarico (774 m) è uno dei punti più suggestivi del territorio di Albidona, soprattutto per il suo grande contributo paesaggistico e panoramico. Dalla sua vetta, sebbene di modesta altezza, si può scorgere un panorama mozzafiato, offrendo la possibilità di spaziare l'occhio su tutto il golfo di Corigliano e la piana di Sibari. Da qui si intravedono, in condizioni climatiche ottimali, anche i monti della Sila e il Massiccio del Pollino, con il Monte Sparviere, il monte Sellaro e la Serra Dolcedorme e naturalmente i centri abitati di Albidona, Trebisacce (con cui Albidona condivide il versante sud-orientale del rilievo), Villapiana, Plataci e Sibari vicinissimi alla vista. Il rilievo è alquanto scosceso e argilloso, povero di terreni coltivati, ma ricco di boschi, molti dei quali sono stati distrutti negli ultimi anni da numerosi incendi dolosi. Chiese Chiesa Madre di San Michele Arcangelo ("a chiesij i Sin Micheg") La chiesa è probabilmente di origine seicentesca. Essa ha una pianta a croce latina, dotata di un'unica navata e di un transetto: la copertura del soffitto è a capriate, mentre nella parte absidale si trova una cupola decorata. La facciata non è dotata di alcuna decorazione scultorea, ad eccezione di una piccola nicchia, nella quale si trova un crocifisso e delle finestre con vetrate, decorate con immagini del Nuovo Testamento. Le aperture sono due: il vestibolo, un portone strombato che si trova nella parte laterale rispetto all'altare e la porta secondaria ("a porta manc"), che si trova di fronte al presbiterio. Le pareti, anche se non affrescate, sono arricchite dalla presenza di suggestive tele, quali quella dell'Annunciazione, di epoca settecentesca, di un pulpito ligneo (ormai non utilizzato), di statue lignee e cartacee ( Madonna del Rosario, San Pio da Pietrelcina, San Giuseppe, San Francesco da Paola, San Domenico, San Pietro) e dei suggestivi troni in marmo nei quali sono ospitate le statue del Santo Patrono e della Madonna del Rosario. Il campanile della Chiesa, di forma prismatica, ospita un orologio; all'interno le imponenti campane bronzee della chiesa, forse seicentesche, automatizzate in tempi più recenti, quando cadde in disuso l'impiego di un uomo, che fungeva da sagrestano. Negli ultimi anni essa è stata soggetta a diversi restauri, modifiche o aggiunte di decorazioni artistiche, che hanno mutato in particolare il suo volto interno: negli anni novanta l'originario soffitto coperto a cassettoni fu sostituito con una travatura reticolare a capriate; nello stesso periodo la corsia centrale della navata è stata pavimentata con lastre di marmo incise; negli stessi anni è stato affisso nella parte centrale del soffitto un dipinto raffigurante il Santo patrono, il cui volto fu ispirato (forse) a un bambino albidonese; negli ultimi anni sono state ridecorate le Cappelle del Santissimo e di Chidichimo; nel 2006 la nicchia, l'architrave sovrastante e le colonne che lo sorreggono sono state ridecorate in finto marmo e con sottili lastre di foglia-oro, per ospitare la statua di San Michele, appena tornata dal restauro; nel 2009 l'abside e la cupola della chiesa sono stati dipinti con delle raffigurazioni dei quattro apostoli evangelisti ed è stato introdotto un imponente leggio in marmo bianco offerto dai fedeli. La chiesa è posta nel punto più alto del paese (810 m), attigua alla piazza più importante, Piazza Castello, che prende il nome dal Castello dei Castrocucco, che sorgeva sul "timpone" omonimo; da qui è possibile ammirare un panorama molto suggestivo, riuscendo a scorgere Plataci con la Montagnola, Alessandria del Carretto con i monti dello Sparviere, la Serra del Manganile, il Timpone della Foresta, la Fiumara Avena, in lontananza il golfo di Corigliano e i monti della Sila (dai punti più scoperti). Secondo la leggenda, anticamente la Chiesa Madre di San Michele Arcangelo si trovava nel centro del paese, perché un terremoto o una frana avrebbero distrutto la parte restante del paese, rivolta verso lo Sparviere, portando con sé anche una parte del Castello, di cui non rimane alcuna traccia. Chiesa di Sant'Antonio da Padova ("a chiesij d'u Chimment") La chiesa fu costruita prima dell'anno 1000. Infatti, nel 1070, probabilmente, fu restaurata, poiché il tetto non poggiava in modo sicuro sugli architravi. Durante il restauro del 1957 fu ritrovata, infatti, una tavoletta di legno di quercia, incisa con caratteri latini, che riportano il devoto, tale Massenzio de Rago, che finanziò la restaurazione: "Hoc tectu Massentius de Rago fecit pro sua devotione. 1070". Ma la datazione non è certa, considerando un possibile errore di scrittura o una potenziale falsificazione in tempi più recenti. Secondo la leggenda, la chiesa era dedicata alla Vergine, con il nome di "Chiesa di Santa Maria degli Angeli". Nel Quattrocento fu ancora restaurata, quando la chiesa ospitò l'inserimento di un suggestivo rosone sulla facciata. Nel Seicento entrò a far parte di un Convento sorto ad opera di alcuni monaci francescani "Minori Osservanti", che costruirono quindi una torre campanaria (dotata di 2 finestre monofore con arco a tutto sesto) e un pozzo all'interno dell'atrio (ancora conservati). I monaci introdussero, inoltre, un organo a canne, due tele simili a quelle suddette della chiesa madre e alcune statue lignee (Madonna Immacolata, Santa Lucia, Sant'Antonio da Padova), consacrando la chiesa al santo portoghese. Nel 1957 fu restaurata negli interni e nella facciata. La copertura del soffitto è a cassettoni. Chiesa di San Rocco ("a chiesi i Sint Ruocc") La chiesa è alquanto semplice dal punto di vista architettonico; ha una base semi-ellittica e l'interno non è decorato. Fu forse costruita nel XVII secolo a scopo votivo nei confronti di San Rocco, a cui i fedeli chiedevano aiuto per debellare la peste, che affliggeva la popolazione in quel periodo. Fino agli anni settanta la chiesetta si trovava nella periferia orientale del centro storico, perché non esisteva ancora il quartiere nuovo, Piano Giumenta, sorto solo agli inizi degli anni settanta. Questo gli consente, oggi, una posizione perfettamente centrale all'interno del paese, attigua alla piazza omonima, dove è collocato il Monumento ai caduti. Il 16 agosto di ogni anno si svolge la festa dedicata a San Rocco, con celebrazione eucaristica e processione lungo le vie del paese. Chiesa della Madonna della Pietà ("a cappell d'a Pietàt") La chiesa è posta in una località di periferia, detta Cutura o Pietà, all'entrata del paese, attigua alla provinciale che sale da Trebisacce. Vi si svolge la festa in onore della Madonna della Pietà il 5 agosto di ogni anno. La leggenda vuole che in tempi antichi la Madonna apparve in questo luogo, dove fu costruita la piccola cappella. La facciata è semplice ed è priva di presbiterio e campanile.All'interno si trova una copia della famosa Pietà di Michelangelo, dipinta però con colori vivaci, che la rendono alquanto suggestiva. Oltre alla festa dedicata alla Vergine della Pietà, la cappella è aperta in un'altra occasione durante l'anno. Infatti, nella notte del Giovedì Santo, la processione di fedeli, che parte dalla Chiesa Madre e percorre tutto il paese, sosta nella chiesetta e poi riparte per la seconda parte del corteo religioso. Chiesa di Santa Maria del Cafaro ("a cappell d'u Cuafir") La piccola ma suggestiva Cappella del Cafaro, immersa in una valle storicamente incontaminata dalla civiltà moderna, si trova nell'omonima località rurale del territorio di Albidona. Vi si giunge, seguendo una strada interpoderale, che si snoda dalla strada provinciale Trebisacce-Albidona. La chiesa è posta in una vallata, alle pendici della fiumara Avena, tra la fitta vegetazione di oleandro, ginestra e macchia mediterranea. Infatti Càfaro, dall'aramaico, significherebbe proprio "fosso" o "vallata". La storia narra che, probabilmente, furono i monaci Basiliani a costruire questa Cappella intorno all'anno 1000 e scelsero un "fosso", per proteggersi dalle possibili invasioni dei saraceni. L'esistenza della chiesa del Cafaro in periodi medievali è testimoniata da alcuni documenti del 1326, che attestano il pagamento di una decima al papa da parte dei monaci basiliani del Cafaro. Alcune fonti non accertate attestano invece che la cappella non sia addirittura stata consacrata. Il 15 agosto di ogni anno la località è affollata dagli abitanti del paese e dagli emigrati, che tornano alle proprie radici, per festeggiare insieme la tanto venerata Madonna Assunta del Cafaro. La piccola Badia contiene una statua di terracotta dipinta che riproduce una Madonna molto venerata nella zona e oggetto di numerose credenze e leggende. La prima è relativa ad una storia molto simile a quella di Lourdes. Secondo i racconti orali tramandati, una signora bianca sarebbe apparsa in località Cafaro –zona impervia fra Albidona e la fiumara del torrente Avena- ad una pastorella sordomuta, che guardava le mucche nella zona, ed avrebbe espresso il desiderio di avere in quel luogo la sua casa. Di questo desiderio incaricò la pastorella di riferire al prete del vicino paese. La pastorella obbiettò che, essendo sordomuta e dovendo badare alle vacche, non poteva eseguire quel compito. Ma la bianca signora disse che avrebbe pensato lei alle vacche e che la ragazza poteva parlare e udire. Recatasi al Paese la pastorella riuscì a riferire al prete l'episodio. Il prelato gridò al miracolo e volle tornare con la pastorella al Cafaro. Là trovarono le vacche legate ad una grande quercia, ancora esistente, sotto la quale fu rinvenuta una grotta contenente una statua della Madonna, vicina a una chioccia d'oro con dodici pulcini anch'essi d'oro. Accanto a quella quercia, di varietà sempreverde, irrorata da una fonte d'acqua naturale, fu costruita la Badia per dare una casa alla statua, ritenuta miracolosa. La chioccia ed i pulcini d'oro finirono invece a casa di una nota famiglia albidonese, colpita, sempre secondo le leggende popolari, da una particolare maledizione. Secondo la tradizione, ogni volta che per qualsiasi motivo (furto o misteriosa perdita) veniva a mancare un elemento dell'aureo ritrovamento, moriva un membro della famiglia del proprietario. Si dice che l'ultimo discendente maschio sia deceduto dopo la sparizione della chioccia. Fin dal ritrovamento della statua, si sarebbero succeduti diversi fatti prodigiosi. Nel 1700, durante un'invasione di cavallette, la Madonna fu portata in processione verso la Marina, dover fece alzare in volo ed inabissare in mare il nugolo di insetti molesti e dannosi per le coltivazioni agricole. La calamità, come si evince dal confronto dei due catasti del 1700 e del 1800, si è comunque verificata ed in questa occasione fu modificato il toponimo del “Timpone della Vena” in “Timpone della Madonna”. Si racconta, ancora, che la Statua prodigiosa sia stata trasportata dall'altro lato della fiumara, in una proprietà Chidichimo (Maristella o Marraca), dopo che una scossa sismica aveva distrutto la Badia al Cafaro: nonostante la costruzione di una nuova cappella, la statua però tornava al luogo d'origine, dimostrando chiaramente che quello era l'unico luogo in cui volesse stare. Nel corso del 1800 la Famiglia Chidichimo, divenuta proprietaria della Badia, ha ottenuto di seppellire nella stessa chiesa i propri cari, ricordati da lapidi marmoree all'ingresso della piccola chiesa. Monumento ai Caduti di tutte le guerre II Monumento ai Caduti di tutte le guerre fu eretto il 9 maggio 1966 e fu fatto realizzare dal compianto maresciallo Leonardo Rizzo (1907-1992). Fu realizzato dall'artista lucchese Mario Pelletti e fu il primo monumento in onore ai caduti delle guerre eretto in Calabria. L'iniziativa del maresciallo Rizzo fu subito accolta con grande interesse e commozione dalla guardia comunale Giuseppe Urbano con la sezione dei Combattenti e reduci delle guerre mondiali, di cui era presidente, e da tutte le famiglie dei caduti. I finanziamenti per la costruzione furono avanzati da 440 albidonesi. Secondo lo schizzo originario elaborato dallo stesso maresciallo Rizzo, la statua in bronzo, che ritrae il "milite ignoto", il quale sorregge con un braccio un bambino (il futuro e la speranza) e con l'altro la bandiera italiana (l'onore e il rispetto verso la patria), doveva essere posta sulla roccia, ma fu collocata su un piedistallo marmoreo, sul quale erano incisi i nomi dei caduti nei moti risorgimentali e nelle guerre mondiali. Nel 2004, dopo un lungo periodo durante il quale la statua fu custodita nell'edificio municipale, poiché il piedistallo in marmo fu rimosso, il monumento è stato nuovamente inaugurato e la statua è stata collocata su un imponente masso, sul quale sono state affisse delle tavolette in rame con incisi 68 nomi dei caduti di tutte le guerre: 23 dei moti risorgimentali del 1848, 28 caduti della prima guerra mondiale e 17 della seconda guerra mondiale. La dedica fu ideata dalla maestra Angela Urbano: Il monumento fu collocato in piazza San Rocco (nota anche come piazza Monumento), perché durante il periodo delle guerre mondiali, in questo luogo i giovani chiamati a combattere in guerra salutavano i loro cari, con la speranza di rivedere ancora quelle case e quelle viuzze. Negli anni successivi fu proposto di spostare il monumento nei pressi del cimitero, che si trova in quella che è l'entrata del paese, ma seppur restaurato e modificato, è rimasto nella sua posizione originaria. Società Evoluzione demografica Abitanti censiti Albidona ha registrato nel 2009 (dal 1º gennaio al 31 dicembre) un calo demografico del 3,03%, piazzandosi al 5º posto tra i 12 dei 15 comuni dell'Alto Ionio Cosentino, che hanno avuto nello stesso anno un andamento demografico negativo, preceduta solo da Castroregio (-6,00%), Nocara (-4,94%), Alessandria del Carretto (-3,87%) e San Lorenzo Bellizzi (-3,65%). Considerando, però, il calo demografico secondo il numero di unità abitative, Albidona ha avuto il resoconto più negativo dell'Alto Ionio Cosentino, con 47 abitanti in meno rispetto al 1º gennaio. Infatti la popolazione al 1º gennaio 2009 era di 1.551 abitanti, al 31 dicembre era di 1.504. Segue Oriolo con un calo di 38 abitanti, mentre gli altri comuni hanno registrato una diminuzione inferiore alle 30 unità abitative. Nel 2010 ha registrato, invece, un dimezzamento del calo demografico, che si è fermato all'1,53%, piazzandosi al 6º posto tra gli 11 dei 15 comuni dell'Alto Ionio, che hanno avuto un prospetto negativo della variazione di popolazione nello stesso anno, preceduta da Alessandria del Carretto (-5,78%), Castroregio (-4,26%), Nocara (-4,11%), Oriolo (-2,21%) e Plataci (-1,89%). Per quanto riguarda il calo demografico secondo il numero di unità abitative, Albidona si piazza al 3º posto tra i 15 comuni dell'Alto Ionio, con un calo di 23 abitanti, preceduta da Oriolo (-58 abitanti) e Alessandria del Carretto (-33 abitanti). Rispetto al 2009, nel 2010 Albidona ha registrato un affievolimento del calo demografico di 24 unità abitative. Albidona, tuttavia, si trova al quarto posto, tra i comuni dell'Alto Ionio Cosentino, per quanto riguarda il numero di individui che abitano il capoluogo comunale (località abitata dove è situata la casa municipale). Infatti, nel 2001, la popolazione era di 1.784 abitanti, 1.713 dei quali abitavano il centro "capoluogo", preceduto solo da Trebisacce (8.732), Oriolo (2.707) e Francavilla Marittima (2.441). Anche centri con popolazione totale nettamente superiore a quella di Albidona, infatti, avevano una popolazione inferiore nel centro "capoluogo", come Villapiana (1.674), Rocca Imperiale (976), Cerchiara di Calabria (1.443) e Amendolara (1.435). Tradizioni e folclore Albidona conserva una storia antica e una tradizione radicata. È ancora viva la tradizione contadina anche se in alcuni aspetti modernizzata. Sta riprendendo vita la tradizione musicale con suonatori di strumenti locali come la zampogna, il tamburello, l'organetto, lo zufolo di oleandro ecc… e una rivalutazione di quelli che sono i riti tradizionali che si manifestano soprattutto nelle feste popolari come Sant'Antonio con l'innalzamento della “'ndinna”, l'albero della cuccagna, il 13 di giugno o San Michele, il santo patrono, venerato l'8 di maggio o ancora la Settimana Santa con canti dialettali. Festa di San Michele Arcangelo e rito delle "pioche" La festa di San Michele Arcangelo, Santo patrono di Albidona, si svolge l'8 maggio di ogni anno. Anticamente pare che la festa si svolgesse il 29 settembre, giorno consueto per la Chiesa Cattolica dedicato ai tre Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Poi da un anno all'altro la data fu modificata sinché si decise di festeggiare San Michele l'8 maggio. La festa del Santo patrono è quella che richiama ogni anno tantissimi emigrati, che rinunciano a qualsiasi impegno, pur di rivivere la festa che più rappresenta il proprio paese. Il 7 maggio di ogni anno, invece, si festeggia San Francesco da Paola. La mattina si svolge la tradizionale fiera annuale, mentre nel pomeriggio si attua la celebrazione eucaristica, seguita da un corteo processionale, durante il quale il santo viene trasportato lungo le vie del paese. Nella stessa giornata viene intrapresa una tradizione locale molto antica, legata a un rito arboreo di carattere pagano: la "pioca". Enormi esemplari di Pino d'Aleppo vengono trasportati a forza d'uomo o con l'ausilio (da pochi anni) di mezzi a motore agricoli in tutto il paese, accompagnati dalla musica popolare di suonatori locali di zampogna, organetto, fisarmonica e tamburello e con i gustosi prodotti tipici di Albidona (salumi, formaggi, vino locale). La festa si diparte per tutto il paese, dove altri gruppi di suonatori intraprendono gli stessi suggestivi accompagnamenti musicali. Solitamente nella serata della festa di San Francesco le "pioche" vengono innalzate nei punti più ampi del paese, sorretti da fascine e piccoli legnetti. L'8 maggio si festeggia il Santo patrono. Nella mattinata si svolge la celebrazione eucaristica, seguita dalla prima parte della processione, accompagnata dalla musica della banda musicale o di suonatori locali di zampogna e da donne in costume tradizionale che trasportano i "cinti" (suggestivi contenitori per misure agricole decorati con omaggi floreali o candele), tra cui "U mienz tummn" (mezzo tomolo), ancora usato come unità di misura in agricoltura, soprattutto per misurare cereali quali orzo e grano, che rappresentano la forma più forte di coltivazione terriera. In questa prima parte del corteo processionale si trasporta l'imponente statua lignea di San Michele di datazione forse settecentesca dalla Chiesa Madre al quartiere nuovo (Piano Giumenta), arrestandosi in Piazza S. Rocco. Nel primo pomeriggio si riprende la processione, che raggiunge tutto il centro storico, fino a ritornare nella piccola piazzetta antistante al Vestibolo della Chiesa nel tardo pomeriggio. Qui si svolge il tradizionale "incanto", un'asta di prodotti tipici, animali o manufatti artistici dedicati al santo offerti da alcuni devoti; i soldi ricavati saranno poi destinati alle spese sostenute per allestire la festa. Terminato l'incanto nella prima serata, vengono effettuati i suggestivi fuochi pirotecnici. Nella notte, dopo gli spettacoli musicali allestiti grazie alle offerte della festa, vengono finalmente incendiate le maestose "pioche", il tutto accompagnato con la musica di strumenti musicali popolari, prodotti tipici e il buon vino; la festa, spesso, si inoltra anche fino alla tarda notte o la prima mattinata. Festa di Sant'Antonio da Padova e la "Ndinna" (albero della cuccagna) La festa di Sant'Antonio da Padova si svolge il 13 giugno di ogni anno. È la festa più sentita dagli albidonesi dopo quella del Santo patrono San Michele, in quanto è molto ricca di tradizioni popolari alquanto arcaiche e la devozione verso il santo portoghese è molto forte. Il rito religioso è affine a quello del patrono, in quanto la mattina si tiene la celebrazione liturgica, seguita dalla processione, nella quale il santo di Padova viene trasportato per tutto il paese a forza di braccia; al rientro del santo nell'omonima chiesa, in piazza Convento, termina il culto religioso. Nel pomeriggio si ha il momento più atteso dell'anno: la "Ndinna" (albero della cuccagna). Si tratta di un albero di abete, che viene acquistato, grazie al denaro ricavato dalla festa o alle offerte di alcuni devoti, dai comuni vicini di Alessandria del Carretto o Terranova del Pollino, i cui boschi di alta montagna sono ricchi di questo magnifico esemplare arboreo. Qualche giorno prima della festa di Sant'Antonio, l'abete viene trasportato da un corteo di albidonesi per le vie principali del paese, accompagnato dal suggestivo suono di organetti, tamburelli e zampogne e viene posto in via Armando Diaz, attigua a Piazza Convento. Nella festa di Sant'Antonio la "ndinna" viene innalzata nella citata piazza, dopo essere stata addobbata nella cima con prodotti tipici (uova, vino locale, fichi secchi, "taralli", formaggio) e a volte con animali vivi (galli, agnelli, capretti). Dopo di che inizia l'ambita scalata dell'albero ad opera di alcuni giovani albidonesi, che cercano di raggiungere la cima dell'albero (assicurati delle dovute precauzioni di sicurezza), per gustare i suoi buoni prodotti, lanciare dall'alto (circa 15 metri) uova o fichi, nel tentativo di colpire qualche sfortunato spettatore e diventare il protagonista assoluto della festa di Sant'Antonio. Quando il coraggioso scalatore raggiunge la cima si assiste a scene molto divertenti, perché la gente gremita cerca di spostarsi in zone protette, al fine di evitare qualche tuorlo d'uovo sul vestito indossato per la festa. Dopo la scalata di diversi concorrenti, la "Ndinna" viene calata e viene trasportata per il paese nel suo rifugio, perché sarà utilizzata ancora l'anno seguente. In passato l'abete veniva anche unto con oli o sapone, al fine di renderlo più scivoloso e meno facilmente scalabile; questa usanza è stata però ormai eliminata. La festa si conclude nella tarda serata con uno spettacolo musicale finanziato dalle offerte ricavate dalla festa. Festa della Madonna del Cafaro Ogni anno, nella data del 15 agosto –ricordata dalla Chiesa come festa dell'Assunzione di Maria- la Badia del Cafaro diventa luogo di una particolare festa popolare che unisce sacro e profano e attrae tutta la popolazione di Albidona e dei paesi vicini, così devota da avere nel tempo donato alla Madonna monili d'oro, soldi e oggetti preziosi che costituiscono un tesoretto esistente e ben conservato da un apposito Comitato del paese. Il tesoro viene esposto soltanto nel giorno della festa, ornando la statua. La festa della Madonna il 15 agosto di ogni anno inizia con lo spostamento della statua dalla sua nicchia a uno spazio centrale più vicino all'assemblea e accessibile per la devozione dei fedeli che toccano la Madonna, pregano e lasciano valori ex voto. Seguono la celebrazione della messa e una piccola processione che porta la statua adorna del suo tesoro lungo i sentieri delle campagne circostanti per invocare fertilità e buona annata. Poi la Madonna viene posta davanti alla chiesa (forse per restituirle il suo ruolo di Vergine Portinaia) e sul sagrato vengono messi all'incanto prodotti della terra e manufatti artigianali offerti dai fedeli, i cui proventi vanno a favore delle necessità di manutenzione e conservazione della Badia. Cultura Cucina Per chi passa per la prima volta da queste parti è consigliabile fermarsi a degustare tutti gli squisiti piatti e salumi tipici della cultura Albidonese, che vanno dalla classica "soppressata Calabrese" ai più tradizionali "funghi, salsiccia e uova", "gliummarielli" e "sangue di maiale con pomodoro e peperoni". In particolare d'estate, oltre alla ormai collaudata "Sagra della salsiccia" vengono organizzate dal comune, varie manifestazioni culinarie all'aperto dove è possibile assaggiare sapori e piatti della tradizione locale; d'inverno invece l'appuntamento immancabile è con le "Crespelle di Natale"; mentre nel periodo Pasquale il pane degli Albidonesi diventa la "Cullura", che è tipica di quel periodo e che viene usata, appunto, come alternativa al pane classico fatto in casa che è un'altra tradizione (e specialità) che ancora resiste nelle case e nelle famiglie della maggior parte degli Albidonesi. Salame crudo di Albidona Albidona vanta anche uno dei prodotti tipici riconosciuti a livello nazionale nella lista dei Prodotti agroalimentari tradizionali calabresi: il salame crudo di Albidona. Il prodotto è chiamato in dialetto albidonese "sazizza", un insaccato di carne di maiale di forma allungata (20–25 cm), reso leggermente piccante dall'aggiunta di pepe nero e pepe rosso. Viene prodotto nella stagione invernale (da dicembre a febbraio), quando avviene la macellazione dei maiali, allevati durante l'anno in ambito familiare. I suini vengono sezionati e si selezionano le diverse parti destinate a vari utilizzi (prosciutto stagionato crudo, "capicollo", "boccolaro" -guanciale-). La carne destinata a diventare salame viene impastata con sale, pepe nero e rosso e poi gli intestini dello stesso maiale vengono utilizzati per contenere la carne impastata che, stagionata, diventerà salame. Può essere consumato subito dopo la preparazione ("sazizza 'rristut" = salsiccia arrostita sulla brace) o dopo circa un mese da quando viene posto sulla pertica ("a virighe") ed è detta "sazizza cerosa", ma può essere destinata al consumo anche dopo un tempo più prolungato di stagionatura ("sazizza tost"). Persone legate ad Albidona Vincenzo Gatto Elia Astorini (5 gennaio 1651-4 aprile 1702): Carmelitano, medico, filosofo, matematico, giureconsulto, astronomo e letterato; al secolo Tommaso Antonio Astorini. I frati Venerabili di Albidona (Grisostomo, Girolamo, Alessio e Giacomo): padri dell'Ordine dei Cappuccini, proclamati Venerabili dalla chiesa cattolica. Sant'Angelo e Sant'Arsenio: frati del XVII secolo canonizzati. Luigi Chidichimo (1835-1904): avvocato e politico. Sindaco di Albidona nel 1871, dal 1874 al 1877 e dal 1878 al 1883, poi consigliere provinciale e deputato al Parlamento nazionale. Figlio di Nicolantonio Chidichimo e di Mariagiuseppa Rovitti, fu una delle figure politiche più influenti di Albidona nel periodo post-unitario. Luigi Cataldi (Albidona, 1818-Nisida, 1856): è il noto Padre Luigi d'Albidona, uno dei nomi calabresi dei Moti rivoluzionari del 1848. Partecipò ai moti con i rivoltosi della "banda toranese", di Mongrassano e Fuscaldo; fu processato dal 1850 e deportato nel carcere dell'isola di Nisida, presso Napoli, dove morì. Antonio Mundo (1938- ): politico vivente. Sindaco di Albidona dal 1964 al 1969; iscritto al PSI dal 1956, divenne consigliere provinciale nel 1967 e poi consigliere e assessore regionale ai Lavori pubblici prima e alla Sanità poi, nelle legislature 1970-75, 1975-80, 1980-85. Fu eletto deputato al Parlamento nazionale nel 1987 ancora con il PSI. Infrastrutture e trasporti Strade Il comune di Albidona è collegato ai paesi limitrofi (Alessandria del Carretto e Trebisacce) tramite la Strada Provinciale 153 , il cui tratto Albidona-Trebisacce è stato costruito negli anni quaranta, mentre il tratto Albidona-Alessandria del Carretto è di più recente costruzione (anni sessanta). La Provinciale 153 si imbocca, nei pressi del quartiere Pagliara (o Bivio di Albidona) del comune di Trebisacce, nella Strada statale 106 Jonica, che apre i collegamenti con la Basilicata orientale e la Puglia meridionale e con tutta la Calabria Jonica. Dalla SS 106 si raggiunge la SS 534, dalla quale si ha accesso all'Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria (uscite di Tarsia-Spezzano Albanese o Firmo). Il tratto Albidona-Alessandria della SP 153 è collegato, invece, con la SP 154 (Serre di Tagliamano-Castroregio-Amendolara) e con diverse strade interpoderali, che raggiungono i comuni calabresi di Plataci, San Lorenzo Bellizzi, la frazione Farneta (dalla quale si raggiunge la Strada statale 481 della Valle del Ferro) e i comuni lucani di Terranova del Pollino e San Paolo Albanese, aprendo l'accesso al Pollino orientale. Ferrovie La stazione ferroviaria più vicina si trova a Trebisacce, a 12 km di distanza, raggiungibile tramite la Strada Provinciale 153; essa, appartenente alla Ferrovia Jonica è gestita da RFI e si trova al 107º Km da Taranto. Distanze chilometriche con i comuni dell'Alto Ionio Cosentino Passaggio in Basilicata Il comune di Albidona è interessato al progetto "Passaggio in Lucania" che assieme ad altri 15 comuni dell'Alto Jonio Cosentino tramite referendum cittadino lo porterebbe all'annessione alla Basilicata. Amministrazione Segue un elenco delle amministrazioni locali. Sport Calcio Il piccolo paese di Albidona, nonostante l'esigua presenza di risorse e attrattive per i giovani, detiene una squadra di calcio, l'A.S.D. Nuova Albidona, nata dalle ceneri dell'A.S.D. F.C. Albidona, già fondata nel 1983 con il nome di Polisportiva Albidona, che militò dal 2008 al 2012 in Prima categoria. La squadra ha a disposizione per gli incontri un Campo Sportivo Comunale, posto al decimo chilometro della provinciale Trebisacce-Albidona, quasi all'entrata del paese, a un centinaio di metri dal cimitero. Si tratta di un campo in terra battuta costruito negli anni settanta, con dimensioni regolamentari (95x50 m), modernizzato e regolarizzato per categorie dilettantistiche a livello regionale solo da pochi anni, e possiede, solo lungo la curva nord-occidentale, limitati spalti in cemento non coperti; la tribuna nord-orientale è priva di spalti, ma è divisa in due ambienti (divisi da una lunga inferriata e cancellate), utilizzati rispettivamente dal pubblico locale l'uno e dal pubblico ospite l'altro. Verde attrezzato All'entrata del paese, lungo la provinciale Trebisacce-Albidona, si trova un suggestivo Giardino Comunale, costruito negli anni ottanta dal Consorzio di Bonifica del Ferro e dello Sparviero, su incentivo comunale. Esso è dotato di un ampio spazio verde, costituito da un'innumerevole varietà di specie arboree. Il giardino, corredato di suggestivi sentieri con panchine e spazi di sosta pavimentati in pietra locale, contiene uno spazio giochi per i bambini, un campetto in erba sintetica adibito per calcetto e tennis (circondato da reti di sicurezza e dotato di illuminazione), due campetti di bocce e una fontana erogante acqua potabile. Il suggestivo spazio verde costituisce una delle attrattive più riuscite e utili ad Albidona, in quanto adibito dai giovani e dagli adulti per l'intrattenimento sportivo e i passatempi pomeridiani e serali durante tutto l'anno. Note ^ ISTAT data warehouse ^ Tabella dei gradi/giorno dei Comuni italiani raggruppati per Regione e Provincia (PDF) in Legge 26 agosto 1993, n. 412, allegato A, Ente per le Nuove Tecnologie, l'Energia e l'Ambiente, 1 marzo 2011, p. 151. URL consultato il 25 aprile 2012. ^ Dizionario RAI d'ortografia e pronunzia - Albidona. URL consultato il 30 novembre 2010. ^ AA. VV., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Milano, GARZANTI, 1996, p. 17. ^ Nel Vocabolario italiano-latino di Giuseppe Pasini (1817), nel Vocabula latini italique sermonis, ex auries et optimi scriptoribus... (1833) e nel Vocabolario italiano e latino, diviso in due tomi di Tommaso Bettinelli (1742) Leutarnia è indicata come la traduzione latina di Alvidona o Alvidonia, cioè Albidona. ^ Vedi sezione dedicata a tale argomento. ^ a b 14º Censimento generale della Popolazione e delle Abitazioni ISTAT 2001. URL consultato il 13 agosto 2011. ^ Protezione Civile: classificazione sismica dei comuni italiani ^ Livio Vezzani, Istituto di Geologia dell'Università di Catania, Il Flysch di Albidona nell'area del confine tra Calabria e Lucania. ^ Vedi sezione ad esso dedicata. ^ I valori inseriti in questa tabella climatica non sono attinti da alcuna fonte ufficiale, ma hanno fine puramente indicativo. Tali dati sono stati registrati dalla stazione meteorologica ARPACAL di Albidona e sono attinti dal sito ARPACAL - Centro Funzionale Multirischi della Calabria. ^ I valori delle temperature massime, medie e minime sono riferiti al periodo 1989-2010. ^ I valori delle precipitazioni e dei giorni di pioggia sono riferiti al periodo 1922-2010. ^ Lycophron ^ Estrabon ^ Barrio ^ Fiore ^ Antonini ^ Romanelli ^ Cramer ^ Coscia ^ Valente (1) ^ I Mormile erano una famiglia nobile originaria del napoletano; ricoprirono diverse cariche: duchi di Campochiaro, Castelpagano, marchesi di Ripalimosano e baroni di Albidona, come testimonia il sito Nobili napoletani. ^ Ottavio Mormile (Napoli, 25 settembre 1761-Napoli, 12 gennaio 1836) fu un grosso esponente della famiglia Mormile; ricoprì svariate cariche: sindaco di Napoli nel 1759, duca di Castelpagano, marchese di Ripalimosano dal 1810 e Ministro degli Affari esteri del Regno delle due Sicilie. Vedi Personaggi illustri di Castelpagano. ^ Rizzo ^ Valente (2). ^ I Quaderni dell'Altra Cultura, Quaderno n. 39/marzo 2013, Giuseppe Rizzo ^ Bilotto ^ Mar. Leonardo Rizzo, Albidona eroica, manoscritto privato: "Fino a qualche decennio addietro a S.Rocco terminava Albidona e qui, i partenti per il fronte di guerra si soffermavano per salutare i parenti e gli amici venuti ad accompagnarli, volgendo lo sguardo e il pensiero alle proprie case. L'ultimo sguardo di coloro che più non tornarono". ^ Statistiche I.Stat ISTAT URL consultato in data 28-12-2012. ^ a b Bilancio demografico ISTAT 2009 ^ Bilancio demografico ISTAT 2010 ^ Regione Calabria Assessorato Agricoltura Caccia e Pesca ^ Percorrendo la SS 481. ^ Percorrendo la SP Rocca Imperiale-Nocara. ^ Il quotidiano della Calabria.it, Sindaci dell'Alto Jonio, pronti a staccarsi dalla Calabria e a unirsi alla Basilicata ^ Giuseppe Rizzo, I quaderni dell'Altra Cultura, Quaderno n.1, settembre 1981 ^ Sindaco nel 1865, dal 1866 assessore facente funzione di sindaco. ^ a b Figlio di Nicolantonio (sindaco tra il 1865 e il 1870); fu consigliere provinciale e deputato al Parlamento nazionale. ^ a b c d Ricoprì la carica di sindaco a periodi alterni per ben 18 anni, nonostante fosse analfabeta; era soprannominato "U sinnic i Nciccariell". ^ Manca il titolare, quindi si alternano 3 assessori funzionanti da sindaco. ^ Delegato straordinario facente funzione di sindaco. ^ Segretario comunale funzionante da sindaco ^ Assessore funzionante da sindaco ^ Fu podestà di Albidona e Trebisacce; ad Albidona fu delegato Angiolo Chidichimo ^ E' lo stesso del 1922-26; fu delegato dopo la morte di Angiolo Chidichimo. ^ a b c d Ricoprì cariche istituzionali reggenti ad Albidona per più di 20 anni, superando così Francesco Gatto "Nciccarielle". ^ È il sesto e ultimo sindaco della famiglia Chidichimo, nipote del deputato Luigi. Annuncia le dimissioni nel 1947. ^ E' lo stesso del 1945-47 ^ E' lo stesso del 1947-48; viene eletto sindaco, ma poi gli subentra ancora Dramisino, non avendo ottenuto la fiducia della sua maggioranza. ^ Subentra a Dramisino dopo una campagna elettorale molto accesa, contraddistinta da lotte e aspre rivalità politiche: l'ex deputato detiene ancora le redini dell'amministrazione albidonese, dopo più di 40 anni, con l'avvicendamento di sindaci di ideale politico comune. ^ Vedi in Personalità legate ad Albidona ^ Nel 1983 viene sostituito da Michele Loprete (consigliere anziano) fino al 1984, perché deceduto. ^ a b c d La lista civica presentata dopo le prime amministrazioni succedute ad Antonio Mundo si riconosce nel vecchio P.S.I. dello stesso Mundo. ^ Di professione ingegnere, non è lo stesso del 1995-96. ^ Si dimette prima della fine del mandato. Viene sostituito fino al 1996 da Vincenzo Aurelio (medico odontoiatra), che ricopriva allora la carica di vicesindaco, in attesa della successiva tornata elettorale. Bibliografia Lycophron (a cura di Emanuele Ciacieri), Alexandra, 1982, Gaetano Macchiaroli Editore, Napoli. Estrabon (a cura di M. Alfonso Buonacciuoli), Geographia, 1562, Venezia. Gabriele Barrio, De antiquitate et situ Calabriae, 1571, Mainardi, Roma. Giovanni Fiore (a cura di D. e A. Parrino), Della Calabria illustrata, 1691, Napoli. Giuseppe Antonini, La Lucania: discorsi di Giuseppe Antonini, 1797. Domenico Romanelli, Antica topografia istorica del regno di Napoli, 1815. John Anthony Cramer, A geographical and historical description of ancient Italy, 1826. Nicola Coscia, Storia delle due Sicilie: dall'antichità più remota al 1789, 1847. Gustavo Valente, Dizionario dei luoghi della Calabria, 1973, Frama's. Giuseppe Rizzo, I moti comunisti di Albidona: processi politici del 1848, 2004, Il Coscile, Castrovillari. Gustavo Valente, Le torri costiere della Calabria, 1960, Serafini, Cosenza. L. Bilotto, Itinerari culturali della provincia di Cosenza, Depinius. Galleria fotografica Voci correlate Leutarnia Elia Astorini Flysch di Albidona Alto Ionio Cosentino Comunità Montana Alto Jonio Strada Provinciale 153 Trebisacce-Albidona-Alessandria del Carretto Altri progetti Commons contiene immagini o altri file su Albidona
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