Museo nazionale Jatta
Il Museo Nazionale Jatta occupa senza dubbio un posto di primaria importanza nel panorama delle istituzioni museali pugliesi ed italiane, non solo in virtù dello straordinario pregio artistico delle collezioni archeologiche possedute ma soprattutto per le vicende legate alla sua formazione e sviluppo, emblematiche della cultura archeologica del XIX secolo e per il contributo che esso fornisce alla ricostruzione della storia sociale e civile della città di Ruvo in quel periodo.
L’acquisizione del museo Jatta al patrimonio dello Stato italiano avviene con due atti di compravendita sottoscritti dal Soprintendente Giuseppe Andreassi in rappresentanza del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, rispettivamente del 19 dicembre 1990 e del 10 aprile 1991. Sito nel centro storico di Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, il Museo Nazionale Jatta ha sede nell’ottocentesco Palazzo Jatta. Le quattro sale espositive ubicate a piano terra, pensate per ospitare una raccolta di oltre duemila reperti archeologici, costituiscono il nucleo di uno dei musei pugliesi più ricchi e famosi, grazie anche all’opera di attenta catalogazione confluita nella pubblicazione del ‘Catalogo della collezione’ (Napoli 1869).
Il Museo Jatta costituisce uno dei rarissimi esempi di collezione privata ottocentesca rimasta inalterata nella concezione museografica originaria e rappresenta, per quell’immutato rapporto tra contenuto e contenitore, un documento attraverso il quale è possibile risalire alle forme architettoniche, all’arredo e alle idee che hanno presieduto la sua realizzazione, fornendo una preziosa testimonianza della temperie culturale del XIX secolo.
Nella prima sala è posta una iscrizione in latino che ricorda i fondatori del Museo. Sono presenti principalmente vasi in terracotta con decorazioni geometriche risalenti all'età peuceta del VII e VI secolo A.C. Al centro della stanza trova posto un gigantesco dolio ricomposto ed un tempo utilizzato per la raccolta dei liquidi alimentari. Sotto la grande finestra è stato ricostruito un sarcofago in tufo con all'interno dei reperti non verniciati. La seconda sala contiene circa 700 vasi a figure rosse su sfondo nero di produzione greca o locale. Si nota subito la diversità di decorazione rispetto ai vasi della sala precedente: al posto dei punti, delle linee, dei rombi e dei cerchi ci sono figure umane e animali. All'ingresso della sala è possibile ammirare un grande cratere a mascheroni del IV secolo A.C. raffigurante Apollo nell'atto di scagliare le frecce contro i Niobidi, opera del pittore di Baltimora. Il vaso è fiancheggiato da due anfore dello stesso periodo ma opera del pittore Licurgo: la prima reca le scene di Eracle nel tempio con Antigone e Creonte e della lotta tra amazzoni e guerrieri attorno ad Eracle; la seconda invece la consegna delle armi ad Achille da parte delle Nereidi. Degno di nota è il cratere attico a campana raffigurante l'ascesa di Eracle all'Olimpo. Lungo le pareti di questa stanza trovano posto numerosissimi oggetti: piatti, anfore, ma soprattutto piccoli contenitori per contenere oli, unguenti e profumi.
Nella terza sala, contenente oltre quattrocento pezzi, spicca il bianco del busto marmoreo di Giovanni Jatta junior al quale si deve la fondazione del Museo. Il primo vaso collocato è un cratere protoitaliota del IV secolo A.C. sul quale sono rappresentati Eracle e Cicno ed è inoltre ripresa la biga di Ares con una interessante prospettiva frontale. Su di un altro cratere protoitaliota è invece raffigurato Bellerofonte su Pegaso affiancato da Atena e Poseidone, opera del ceramografo chiamato pittore di Ruvo. Un terzo cratere di Licurgo riporta ben tre scene: il giardino delle Esperidi sulla facciata anteriorie; un sacrificio ad Apollo sul posteriore; Eracle contro il toro ed un rito dionisiaco sul collo del vaso. Su una colonna mozzata è inoltre presente un ulteriore cratere a volute su cui è dipinto il mito di Fineo ed è opera del pittore Amykos. Nelle vetrine sono conservati un gran numero di rhyta, bicchieri a forma di testa umana o di animale. Sono particolari, perché mentre i nostri bicchieri hanno una base di appoggio verticale, questi invece orizzontale: una volta versato il vino doveva essere utilizzato del tutto. Inoltre mentre noi cambiamo il bicchiere a seconda del tipo di bevanda che usiamo, i popoli antichi cambiavano bicchiere a seconda della festa celebrata: i rhyta venivano utilizzati per festeggiare le vittorie delle guerre, il kantaros (un bicchiere dai manici molto alti) era utilizzato nelle feste in onore del dio Bacco.
La quarta sala raccoglie circa duecentosettanta reperti, i più preziosi. Anche qui è presente un busto marmoreo ma qui è raffigurato Giovanni Jatta senior in toga. È conservata una pelike che riprende il mito delle Nereidi, e due crateri a volute di cui uno rappresenta Bellerofonte nell'atto di leggere la sua condanna a morte ed un altro sul quale è dipinta una corsa di quadrighe. Il vaso più importante quì custodito è quello di Talos, un gigante il cui compito era quello di proteggere l’isola di Creta, cercando di tenere lontano tutti coloro che volevano approdare lanciando contro dei grossi macigni di pietra. Il gigante era tutto di bronzo ma aveva una piccola vena, che percorreva il proprio corpo visibile solo vicino al malleolo. Giasone con la propria nave e con i propri amici Argonauti cercò di fare scalo all’isola per rifornirsi di acqua, ma il gigante impedì loro di avvicinarsi. Intervenne allora una maga chiamata Medea che, innamorata di Giasone, cercò di aiutarlo con uno stratagemma: preparò per Talos una pozione magica: Talos stordito urtò il suo punto debole (il malleolo del piede) ad un sasso e si ferì. Sul vaso il gigante è rappresentato morente tra le braccia di due personaggi a cavallo, Castore e Polluce.