Destinazioni - Comune
Pecetto Torinese
Luogo:
Pecetto Torinese (Torino)
Pecetto Torinese (Psè in piemontese) è un comune italiano di 3.981 abitanti della provincia di Torino, in Piemonte.
Geografia e territorio
Il comune, situato su di un declivio delle colline a sud-est di Torino, gode di un clima mite. È celebre per la produzione delle ciliegie. Negli ultimi decenni si è avuta una tendenza all'uso abitativo e residenziale per i torinesi che lavorano nell'area metropolitana, tanto che la sua popolazione a partire dal 1968 è quasi raddoppiata.
Il suo territorio è formato da una striscia lunga cinque km e larga poco meno di due, che digrada dal Colle della Maddalena (situato ad un'altezza di 715 m) e dal monte Capra, al borgo San Pietro ai confini con Trofarello. Idrograficamente appartiene al bacino del Tepice e viene attraversato per tutta la sua lunghezza da tre piccoli corsi d'acqua che nascono a nord nella zona dell'Eremo e scendono verso Cambiano e Trofarello: il Rio Costo, che prende il nome di torrente Gariglia, nel territorio della regione Garia; il Rio Pontetto, che sgorga nella regione Fontanone, percorre la zona ovest del comune e cambia nome in Rio Valle San Pietro, nelle vicinanze dell'omonima frazione e in Rivo Crosso, in prossimità di Trofarello; infine il Rio Martello che nasce nella omonima regione per mutare in Torrente Canepe, nelle vicinanze della Valle Canepe e proseguire poi verso sud con il nome di Rio Vajors, il cui nome deriva da Ij ri dj'òss, che in piemontese significa "rio delle ossa", dall'enorme numero di soldati angioini che caddero vicino al fiume durante la battaglia di Gamenario del 1345, combattuta tra il Marchese del Monferrato e Roberto d'Angiò. Il centro del paese sorge su di un poggio a 400 m s.l.m., in una posizione isolata rispetto all'Eremo e alla Maddalena.
La storia antica ed il toponimo
Il più importante ritrovamento archeologico del luogo è un muro di laterizio risalente all'epoca romana nella valle di Canape. Vicino a Pecetto sorgeva poi la pieve di Covacium, una località non più esistente, dove sono stati dissepolti, anche qui, resti risalenti all'epoca romana. L'antico toponimo compare per la prima volta nel 1152 in alcuni documenti: Picetum e la sua variante Pecieto, sui quali sono state formulate alcune ipotesi: lo storico Giovanni Flechia lo fece derivare da picea, il cui significato è abete, albero molto diffuso anticamente nelle colline circostanti il borgo, e suffragato dalla presenza di un pino verde, in un campo d'argento, nello stemma del comune. Un altro storico, il Serra da un significato diverso indicando nella parola pecia l'origine del nome: pezza di terra in latino medioevale e per estensione: complesso di pecie o particelle di territorio distribuite a sorte.
La fondazione
La fondazione ufficiale del borgo risale al XIII secolo, una volta staccatosi da Chieri, ma la ritrovamento di un picinum in un documento del 1040, relativo alla donazione di alcune terre eseguita dal marchese di Romagnano al monastero di San Silano di Romagnano ha fatto ipotizzare che possa essere esistito un precedente insediamento. Una studiosa medioevale, la Montanari Pesando ha escluso questa possibilità; secondo la sua ipotesi, il toponimo non poteva essere altro che Picetum in relazione alla ricchezza di alberi di pino storicamente presenti nel territorio.
Il dominio di Chieri
Le ipotesi di un insediamento precedente sono ancora da provare, comunque sappiamo con certezza che la nascita del paese risale tra il 1224 e il 1227, quando gli abitanti di Covacium divennero cittadini chieresi a tutti gli effetti. Gli abitanti, esattamente 73, giurarono di offrire a Chieri prestazioni militari, la manutenzione dei fossati e il pagamento di una tassa annuale chiamata taglia nel caso lo reclamasse il comune; vi era anche il curioso diritto di obbligare il trasferimento della residenza altrove, mentre il comune di Chieri si impegnava a comprare il luogo di trasferimento prescelto. Dovevano anche mantenere i loro obblighi nei confronti dei Conti di Biandrate, a cui Chieri era dal 1158 infeudata, ma decisa ad assorbirne i territori. Nel 1227 infatti, gli uomini di Covacium si trasferirono quindi nel territorio di Pecetto, dove era presente una torre, un ricetto posti a difesa di Chieri, e la Chiesa di Santa Maria. Tale operazione era volta, oltre a costringere i Conti di Biandrate a rinunciare agli ultimi luoghi rimasti, anche a ottenere, da parte degli abitanti, maggiori tutele d'ordine fiscale e sociale, che solo il comune di Chieri poteva garantirgli.
Iniziano i conflitti
I primi decenni del Duecento vedono l'inizio di conflitti devastanti: da una parte l'imperatore e dall'altra il papa. Nel 1228 Testona alleata con Chieri e Asti nelle schieramento imperiale si staccò dall'alleanza per muovere guerra a Chieri e l'anno successivo a Pecetto. A questo attacco Chieri rispose mettendo a ferro e fuoco Testona, ma non si hanno notizie della partecipazione dei pecettesi. Con il tempo Pecetto diventa il borgo principale della zona e già nel 1275 aveva inglobato diversi villaggi adiacenti, compresa l'antica Covacium. Al termine del XIII secolo i confini del comune erano quasi identici a quelli attuali ad esclusione di alcune zone poste a nord.
La guerra tra le fazioni chieresi
Verso la fine del XIII secolo, Pecetto si vide coinvolta nelle scaramucce tra le due fazioni chieresi che si spartivano la città di Chieri: la Società di San Giorgio, che rappresentava la borghesia, e la Società dei Militi, in rappresentanza dell'aristocrazia. A causa di questo conflitto un certo Tommaso Surdo di Pecetto uccise l'assassino del padre per vendicarne la morte, un tal Iacomello Niello. Per evitare la vendetta, il Surdo si pose sotto la protezione della Società di San Giorgio, ma nonostante questo fu raggiunto nel 1304 dai suoi nemici e ucciso.
Il Rinascimento
Nel corso del XIV secolo, Pecetto vide il sorgere di una rivolta a causa della vendita del borgo ai Balbi, una illustre casata che comprendeva tre famiglie: gli stessi Balbo, i Bertone e i Simone. Dopo numerosi ricorsi e cause, nel 1360 i pecettesi ottennero di tornare sotto la diretta giurisdizione di Chieri.
La potenza della casa Savoia si stava sempre più affermando a quei tempi, per cui per sottrarsi ad un attacco del Marchese del Monferrato la repubblica chierese, alla quale anche Pecetto faceva parte, chiese e la ottenne la protezione. Nel 1363 i chieresi concessero con un atto solenne ad Amedeo di Savoia la signoria del loro territorio.
Nel 1542 per sottrarsi all'egemonia spagnola su Chieri, gli abitanti di Pecetto chiesero esplicitamente di diventare sudditi di Torino. È in questa occasione che Torino accolse la richiesta trasformando il nome in Pecetto Torinese. Ma con la Pace di Cateau-Cambrésis del 1559 e l'accordo di Blois del 1562 il duca Emanuele Filiberto rientrava in possesso dei suoi territori, tra cui Chieri che gli giurò fedeltà il 26 novembre 1562, e dal consegnamento della città, avvenuto due anni più tardi, risulta che Pecetto era tornata a far parte del suo mandamento.
La dominazione sabauda
Una volta passata Chieri sotto i Savoia, il duca Carlo Emanuele I, alla continua ricerca di soldi per sostenere le guerre, cedette in feudo Pecetto nel 1619 a Cristoforo di Cavoretto, che a sua volta lo cedette al barone Benedetto Cisa di Grésy. Nel 1713 il feudo passò a Gaspare Francesco Balegno e successivamente, nel 1722, venne concesso in feudo a Giovanni Enrico Marene: il fratello, il conte Pietro Tommaso, fu l'ultimo feudatario di Pecetto.
La rivoluzione francese
Gli echi della Rivoluzione Francese giunsero anche a Pecetto: sulla piazza principale del borgo venne eretto l'albero della libertà, mentre alcuni frati del vicino convento dell'Eremo spaventati si diedero alla fuga. Nel 1799, con l'arrivo dell'esercito austro-russo, comandato dal Suvorov i pecettesi furono obbligati a ricevere il sedicente generale Branda Lucioni, generale in pensione dell'esercito austriaco che si era messo a capo di una banda di contadini contro i repubblicani. L'episodio venne registrato nei libri mastri del comune per via della spesa sostenuta: "lire 1214, soldi 4, denari 00".
Gli edifici storici
La chiesa di San Sebastiano
Il più importante edificio storico è la Chiesa di San Sebastiano, che sorge su un poggio da cui parte la strada per Revigliasco Torinese. Risale agli inizi del Duecento e fu ristrutturata nel Quattrocento. Edificata in uno stile di transizione tra il gotico ed il romanico, ne prova l'origine rustica grazie anche al cotto rosso con cui è costruita, senza nulla togliere alla semplicità della sua architettura. Di fronte alla chiesa sorgono due cipressi che da lontano le conferiscono un inconfondibile aspetto. La facciata è composta da un portale incorniciato da un fregio sovrastato da una finestra circolare. L'interno è composto da tre navate separate da pilastri collegati da archi che reggono i muri della navata maggiore. Caratteristica particolare sono la ricchezza delle decorazioni, molte delle quali ormai perdute.
Sulla parete di destra, entrando si trova un prestigioso affresco raffigurante la Natività, opera del pittore Jacopino Longo, allievo della scuola d'arte di Macrino d'Alba: un'iscrizione in caratteri gotici svela il nome del committente dell'opera: Bernardino di Canonicis e la data 1508. Nella stessa chiesa è presente un altro affresco dello stesso autore che rappresenta L'assunzione di Maria Vergine.
La volta del presbiterio custodisce alcuni episodi della Vita di San Sebastiano, degli Evangelisti e la Tentazione di Sant'Antonio. Sulla parte di fondo si trova la imponente Crocefissione affrescata da Antonio de' Manzanis i cui personaggi indossano costumi del XV secolo. Sempre nel presbiterio sulla sinistra rispetto all'altare maggiore è collocato un grande altare ligneo sovrastato da una tela dipinta nel 1631, che raffigura la Madonna col Bambino fra i Santi Giuseppe, Sebastiano, Fabiano e Romualdo; di fronte sulla parete di destra si trovano due quadri di scuola lombarda che rappresentano l'Ultima cena e la Lavanda dei piedi. La navata sinistra è interamente affrescata con figure di santi: da notare nella volta a crociera della terza campata quattro episodi della Leggenda del miracolo di Santo Domingo de La Calzada, sulla lunetta un affresco con la Vergine che allatta il Bambino e, sul sottarco della seconda campata, l'immagine della Vergine con il Bambino.
La Parrocchia di Santa Maria della Neve
L'attuale Parrocchia di Santa Maria della Neve fu costruita tra il 1739 ed il 1742, su progetto dell'architetto Bernardo Antonio Vittone, utilizzando materiale di recupero proveniente da una chiesa esistente nello stesso luogo. L'antica torre del ricetto e un campanile risalente alla fine del Settecento la fiancheggiano formando un complesso composito tipico nello stile architettonico piemontese. L'interno è costituito da un'unica grande navata con soffitto a botte, su cui si affacciano sei cappelle, e conserva diverse sculture lignee provenienti dall'ormai distrutto Eremo dei Camaldolesi. In fondo all'abside si trova il maestoso quadro del Rapous con la Madonna circondata dai compatroni di Pecetto, (Giacinto, Grato e Sebastiano). L'altare maggiore, disegnato dal Dell'Ala di Beinasco è realizzato in marmo nero intarsiato con pietre policrome di diversa provenienza. L'organo è di Giovanni Battista Concone.
La chiesetta della Confraternita
Nella piazzetta sottostante la parrocchiale si trova la Chiesetta della Confraternita, che fu costruita e ristrutturata a più riprese, nel corso di un secolo, tra il 1625 ed il 1736, sui progetti degli architetti Luigi Molinari D'Andorno e di Ludovico Perucchetti. All'interno, oltre ad un tempietto risalente al Settecento in legno dorato, opera dello scultore torinese Bosco, si conservano diversi quadri, statue e candele un tempo appartenenti all'Eremo dei Camaldolesi. Uno dei dipinti del Theatrum Sabaudie mostra un castello di Pecetto che non fu mai costruito, in quanto, probabilmente, si interruppe con l'erezione dei bastioni che tuttora esistono.
Altri edifici di pregio
Verso la strada che porta alla Valle Sauglio è situata la villa settecentesca detta Il Ghiotti o il Tarino, nota per aver ospitato Gegia Marchionni, amante di Silvio Pellico. Alla Villa Bergalli invece, situata sul pendio del Bric della Croce, negli anni venti del Novecento, trascorreva le vacanze estive e autunnali la scrittrice Annie Vivanti.
Economia
L'economia di Pecetto trova nella raccolta delle ciliegie la coltura di maggior reddito per i pecettesi, mentre la coltivazione degli ortaggi e del frumento risponde in prevalenza alle esigenze locali. Inoltre la particolare mitezza del clima consente la coltivazione del mandorlo, dell'olivo e dell'oleandro. L'inizio della raccolta delle ciliegie su vasta scala ebbe inizio nel 1910 anno in cui la grandine e filossera distrussero i rigogliosi vigneti della zona. Il sindaco di allora Mario Mogna accolse il consiglio dell'amico Giovanni Giolitti che suggerì di sostituire le viti con piante di ciliegio. Le quasi 50.000 piante concentrate nel capoluogo e nella zona ai confini di Trofarello producono frutti di qualità pregiata: tra la ciliegia "vittona" e la varietà "galucio" nelle buone annate si possono raggiungere le 700 tonnellate.
L'Eremo dei Camaldolesi
Il duca Carlo Emanuele I di Savoia aveva fatto un voto nel 1559: «...se l'epidemia di peste cesserà realizzerò un grande convento, composto da numerosi edifici». Nel 1601 assieme al suo consigliere spirituale, padre Alessandro dei Marchesi di Ceva, e all'architetto Vitozzi, mantenne la sua promessa e diede il via ai lavori, proprio in località Monveglio, laddove sarebbe sorto l'Eremo dei Camaldolesi. Cinque anni dopo, nel 1606 in quel luogo sorse il maestoso edificio immerso in un parco ricco di pini, cipressi e cedri. Questo convento fu l'impresa edilizia più importante di Carlo Emanuele I. Per ogni eremita l'architetto aveva previsto una casetta indipendente con un pozzo interno, una cella, un oratorio e un piccolissimo orto. Una chiesa bianca dominava le celle. Nei due secoli di vita del monastero vennero concentrate, oltre ad una ricca biblioteca, diverse opere d'arte: Beaumont, Bernero, Cignaroli, dei fratelli Pozzo, per non citarne che alcuni. Ma la diaspora artistica iniziò prima dello smantellamento ufficiale del convento che fu deciso nel 1801 dalla commissione esecutiva del Piemonte. La soppressione, che avvenne contemporaneamente a quella degli eremi di Cherasco e Busca era necessaria per motivi finanziari: il governo francese all'epoca non era in grado di mantenere la dotazione annua di 13.125 Lire. L'eremo rimase deserto per otto anni, fu oggetto di ripetuti saccheggi, finché nel 1809 fu messo all'asta ed acquistato dal banchiere Ranieri. Il monastero ridotto a condizioni pietose ritornò alla curia nel 1874, per essere adibito a sede estiva del Seminario. I lavori di ristrutturazione fecero perdere completamente la fisionomia delle antiche vestigia. Oggi i resti della proprietà sono stati demoliti e al suo posto sorge un edificio che ospita una sezione dell'Ospedale Maggiore di Torino. Le uniche testimonianze dello splendore del passato sono il campanile e la cappella dell'Ordine dell'Annunziata.
Intorno al 1896 vennero eseguiti numerosi lavori in seguito all’acquisto della proprietà da parte della Sig.ra Margherita Boggio, la quale fece costruire ex novo tutti i fabbricati rustici necessari per la cultura dei terreni, l’abitazione per i Coloni oltre a migliorare a ampliare il Fabbricato civile. La torre fu sopraelevata e coronata con merlatura per conferirle una maggiore snellezza, furono provvisti i cancelli di accesso e poi fu allestito il giardino con piantagioni di alberi da frutta e di ornamento. Nel 1915 fu abbellita la cappella con decorazioni sulla volta e un nuovo altare, e fu arricchita la proprietà con la realizzazione di un profondo pozzo. La villa fu ancora ampliata intorno al 1926-27 dove furono realizzati nuovi ambienti e rifatta la copertura della torre, nello stesso periodo, tuttavia, cessò l’uso della residenza come luogo di villeggiatura. L'erede della signora Boggio decise intorno al 1934 di donare la proprietà ad un Ente in grado di conservare al meglio la tenuta e che la utilizzasse per l’Educazione e la Formazione della Gioventù. Le prime scelte ricaddero sull’Opera salesiana, il Cottolengo e sull'Opera Nazionale Balilla, ma l'erede cambiò presto opinione preferendo a queste un Ente di minor "grandezza e importanza" temendo che i primi scelti «...non potessero dedicare poi alla nuova e minore Istituzione, tutte quelle cure e tutte quelle attenzioni ed energie specialmente necessarie al suo iniziale esordio, ed al susseguente sviluppo.» Fu quindi deciso di donare la proprietà al Comune di Pecetto e nel 1934, la Donazione fu resa effettiva con l’unica condizione che l'Istituzione avrebbe dovuto portare il nome di Colonia Margherita Boggio Ramella, tuttavia non tardarono i primi dubbi sulla capacità effettiva del Comune ad assolvere al mandato conferitogli e fu il Comune stesso, a distanza di pochi mesi, a proporre all'erede di acconsentire alla cessione della proprietà al Fascio locale, ritenendo questo come «...l'Ente più atto e idoneo allo scopo, addossando al medesimo l’onere di soddisfare agli impegni presi». Nel febbraio del 1935, il Fascio locale avendo ottenuto il consenso degli eredi, venne stipulato l'atto di cessione. Purtroppo anche il Fascio non riuscì a compiere quanto richiestogli e per più di un anno il complesso fu abbandonato. Solo verso la metà dell’anno seguente iniziarono finalmente i lavori atti a trasformare la residenza in una Colonia, che fu inaugurata nel mese di novembre e denominata Colonia XXIII marzo. L’anno successivo ci fu una vicenda piuttosto controversa a proposito della proprietà quando la Federazione concesse gratuitamente al Comune di Torino 940 m² di terreno per formare un Piazzale, concessione che non poteva essere attuata non essendo la Federazione proprietaria di quel terreno. La disputa si concluse nel 1937 con la registrazione di due atti che vedevano la proprietà passare dal Fascio di Pecetto alla Federazione dei Fasci della Provincia e in conseguenza di questo primo atto la cessione legittima e gratuita dell’area discussa al Comune di Torino.
Restauro
Tra il 2008 e il 2009 è stato redatto, da un gruppo di professionisti architetti ed ingegneri, un progetto di recupero ed ampliamento del Complesso della Torre dell'Eremo, con lo scopo di riqualificare il fabbricato e di modificarlo al fine di dargli una nuova destinazione d'uso che lo rendesse utilizzabile ed attivo. L'area interessata dall'intervento era composta da due distinti complessi di fabbricati: il primo quello originario contraddistinto dalla presenza della Torre dell'Eremo e il secondo, non di pregio, sorto come ampliamento nel secolo scorso. La porzione storica del complesso era composta da un blocco a pianta rettangolare in muratura culminante nella torre a pianta circolare oltre a due piccoli fabbricati annessi successivamente alla torre, con uso a cappella. In realtà, seppur questa era considerata la porzione storica del fabbricato, il corpo era stato realizzato in due momenti differenti: la prima porzione era quella compresa tra la torre e la risega che si evince sul lato cortile, mentre il corpo dalla risega a fine fabbricato era già un primo ampliamento della struttura. La prima porzione (annessa verso ovest del corpo storico) era un fabbricato di ridotte dimensioni sviluppato su un unico piano fuori terra, che consentiva l'accesso dall'esterno alla torre alla quale era direttamente collegata e insieme alla quale assolveva al compito di cappella del complesso. L'altra porzione annessa alla torre era un piccolo corpo sviluppato verso nord su un unico piano fuori terra che era stato realizzato per contenere i servizi igienici. Il progetto di restauro prevedeva la demolizione (che fu autorizzata) della porzione che ospitava i servizi igienici poiché la sua collocazione, oltre a non essere congrua con la restante parte del complesso, impediva la visuale della torre, limitandone la percezione formale e di conseguenza l'identità originaria del complesso. Prima dell'intervento di restauro le murature presentavano problemi strutturali e necessitavano di essere consolidate. Oltre a ciò le pareti sia interne che esterne mostravano diversi stati di intonaci. A tal proposito erano stati eseguiti dei saggi stratigrafici sugli intonaci al fine di risalire alla cronologia delle stratificazioni al fine di cercare di conservazione gli intonaco originario. In tutto il corpo di fabbrica sono stati rimossi tutti gli infissi in legno sostituiti con altri della stessa fattura. Oltre a questi lavori sono state fatte delle modifiche interne al fine di garantire una miglio fruizione degli spazi sopra citati.
Amministrazione
Evoluzione demografica
Abitanti censiti
Meteo e sismologia
Pecetto Torinese è controllata 24h/24 da una stazione privata che effettua un monitoraggio meteo/sismologico. La stazione riporta su internet tutte le informazioni riguardanti i dati meteo rilevati e le scosse telluriche che raggiungono il paese. La stessa stazione collabora con enti di raccolta dati meteo a carattere nazionale e internazionale e con la rete privata di rilevamento sismico mondiale. L'indirizzo del sito è http://www.meteo-online.it
Persone legate a Pecetto Torinese
Roberto Rosetti, arbitro di calcio
Barbara Allason, scrittrice e antifascista
Giuseppe Mantisi, allenatore di pallavolo
Note
^ Dato Istat - Popolazione residente al 31 agosto 2011.
^ Statistiche I.Stat - ISTAT; URL consultato in data 28-12-2012.
Bibliografia
Il Piemonte paese per paese, Ed. Bonechi, 1993
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