Destinazioni - Comune

Raccuja

Luogo: Raccuja (Messina)
Raccuja è un comune italiano di 1.118 abitanti della provincia di Messina in Sicilia. Dista 98 chilometri da Messina e 179 da Palermo. Geografia L'abitato si erge alle pendici di monte Castegnerazza, immerso in un agro coltivato in prevalenza a noccioleto e oliveto, ma che ad altitudini maggiori cangia in boschi di conifere e impervie balze rocciose. Il comune abbraccia, infatti, un variegato territorio, che dalla bassa collina (c.a. 450 m s.l.m.), sale sino ai rilievi nebroidei, per toccare quota 1395 m nella Serra di Baratta. Alla vista di chi perviene dagli alti monti, il paese sembra quasi "pendere" verso la fiumara, adagiato com'è secondo un asse longitudinale monte-fiume: per questo ha i connotati di un vero e proprio borgo, che dal castello normanno scende sino ai quartieri nobili e all'imponente chiesa madre. Storia Le prime presenze attestabili fanno riferimento ai Bizantini (VI- IX secolo d.C.), i quali fondarono il Monastero di San Nicolò del Fico, dell'Ordine di San Basilio, e un presidio militare sul luogo dell'attuale centro abitato. Nel 1091 vi passa il Conte Ruggero d'Altavilla, che rafforza il presidio ed elargisce fondi per l'ampliamento del Monastero basiliano, vessato da due secoli di dominazione araba. Nel 1271 il centro compare in un atto col nome di Raccudia. Nel 1296, dopo due secoli di dominio Regio, diventa feudo degli Orioles. Nel 1507 la baronia passa prima ai Valdina, poi ai La Rocca, che la reggono sino al 1552. Dal 1552 il feudo, innalzato a contea, è possedimento della famiglia Branciforti, importantissimo casato aristocratico che governa Raccuja sino al 1812, anno della caduta degli stati feudali in Sicilia. I Branciforti incrementarono la produzione della seta, tessuto pregiato che venne esportato in tutta l'isola, e sotto il loro dominio fiorirono le arti figurative, artistiche e culturali: i monasteri si arricchirono di ogni bene, il paese fu dotato di nuove strade e imponenti palazzi. L'egemonia della contea raggiunse l'apice quando, a metà del XVII, il conte di Raccuja fondò il paese di Bagheria, appellandolo col nome di "Raccuja Nuova", come riferisce l'Amico: in quell'occasione molte genti del borgo si trasferirono nella novella città, diffondendo nel palermitano il cognome "Raccuia". In periodo risorgimentale in paese si formò un importante ceto di aristocratici e proprietari terrieri che comprarono le terre dei Branciforti e, dopo il 1866 (anno della chiusura dei conventi e dell'incameramento dei loro beni da parte del nuovo stato italiano), si spartirono gli immensi possedimenti ecclesiastici. Le enormi distese vengono spartite tra le famiglie Angotta, Giuliani, Li Perni, Natoli, Picardi, Tripoli. Il borgo L'assetto urbano si presenta articolato in strette viuzze, per quanto concerne i quartieri alti e bassi dell'abitato, in quanto di origine medievale, oltre che popolari. La porzione centrale, invece, oltre a costituire un ibrido architettonico, punteggiata com'è da chiese medievali, resti di torrioni normanni, insieme a sontuose dimore cinquecentesche e palazzi in stile neo-rinascimentale (XIX secolo), è attraversato da ampie seppur tortuose vie, e si apre spesso in piazze e slarghi, spesso in corrispondenza di chiese o sull'area degli antichi giardini nobiliari, ormai sostituiti da lastricati e piazze pubbliche. Da notare la splendida piazza XXV Aprile (a chiazza), circondata da imponenti palazzi del Seicento, che si fregia di una raffinata scalinata settecentesca, interamente in arenaria; inoltre, tra l'antico circolo dei nobili e la zona moderna della cittadina, si apre l'imponente slargo dell'antico piano di Sant'Antonio, odierna piazza del popolo (in dialetto Chianu Cafè), ritrovo della popolazione e luogo adibito a spettacoli e manifestazioni all'aperto. Luoghi d'interesse Chiesa Madre Grande edificio cinquecentesco a pianta basilicale, domina tutta la parte bassa dell'abitato e dà nome all'intero quartiere in cui si trova, detto propriamente Matrice. La facciata è preceduta da un pregevole sagrato in conci squadrati di pietra arenaria e ciottoli granitici dal tipico colore rossastro, che compongono varie ed articolate figure geometriche. La struttura possiede una facciata interamente scolpita in conci di pietra arenaria scandita in lesene binate sormontate da capitelli compositi. Lo schema risente di un'impostazione tardo-rinascimentale e manieristica ed è scandito in tre fasce verticali (preludio alle tre navate di cui si compone l'edificio) ed in due orizzontali, separate da ampia trabeazione. Pregevolissimo il disegno delle due porte laterali, sormontate ciascuna da una finestra ovoidale racchiusa in un cartiglio e alleggerita da festoni. L'interno è ampio e diviso in tre navate da dieci imponenti colonne corinzie, sormontate dal cosiddetto "dado brunelleschiano"; dalle navate si accede allo spazioso presbiterio, chiuso da due cappelle laterali sormontate da cupoletta (Cappella del SS. Sacramento, in marmi mischi, e Cappella dell'Annunciazione) e dalla grande abside centrale. Si conservano tre statue marmoree di pregevole fattura: San Sebastiano, di Rinaldo Bonanno, Santa Maria del Gesù, titolare della Parrocchia e della chiesa stessa, di incerta attribuzione, ed il gruppo dell'Annunciazione, nell'omonima cappella, di Giovanni Battista Mazzolo (1532). Due monumenti sepolcrali del Seicento si trovano nel presbiterio, l'uno in marmo bianco e piastre policrome, l'altro in granito sorretto da due leoni. Nelle navate, oltre a varie statue in cartapesta, di inizio Novecento e provenienti da laboratori di Lecce, vi sono una preziosa pala lignea, raffigurante la Madonna del Rosario, di inizio sec. XVII, ed una tela raffigurante la deposizione con le tre Marie, San Giovanni e simboli della passione, attribuita a Giuseppe Tomasi da Tortorici. La torre campanaria, crollata parzialmente nel 1806, per come recita una targa posta alla base, si compone, nei primi due ordini, degli stessi materiali della facciata, oltre che dei medesimi motivi ornamentali; l'ordine superiore, la cella campanaria propriamente detta, è invece modesta realizzazione di primo Novecento, quando la Chiesa venne riaperta al culto dopo anni di spoliazione ed abbandono. Chiesa del Carmine L'esterno è semplice e lineare. La facciata è abbellita da un austero portale in pietra arenaria, con sovrastante stemma dell'Ordine del Carmelo, datato 1855. A sinistra dell'edificio si eleva la slanciata torre campanaria. L'interno, a navata unica,presentava prima del restauro quattro semplici altari laterali; l'altare centrale era, invece, abbellito da marmi policromi e da una macchina lignea, che ospitava in una nicchia centrale il gruppo scultoreo della Madonna del Carmelo con San Simeone Stock, datati 1726. Nel palliotto figurava un bassorilievo secentesco della Madonna del Carmelo, mentre quattro colonne tortili sorreggevano l'impalcatura della elaborata macchina lignea superiore. Dell'altare rimangono frammenti lignei e marmorei, scampati allo smembramento e alla dispersione che hanno subito i beni della chiesa nella seconda metà del Novecento, durante un lungo periodo di chiusura e abbandono. Oggi, nella restaurata chiesa, si può ammirare la pregevole statua lignea della Vergine del Carmelo, rivestita di lamina d'oro; le altre statue, invece, sono conservate nel vicino Castello Branciforti, in attesa di più idonea sistemazione. Dell'attiguo Convento retto dai Padri Carmelitani calzati, fondato, come la chiesa, nel 1604, non restano tracce: confiscato nel 1866, nell'area sorge dagli anni '70 del Novecento una struttura comunale. Castello Branciforti Il castello Branciforti è un maniero fondato in epoca normanna su preesistenze, principalmente di epoca romana e islamica, ed è situato nel cuore medioevale del paese. L'edificio originario subì vistose modifiche nel XIII secolo quando venne infeudato al barone Berengario Orioles, nel corso del XVI secolo quando passò ai Branciforti (donde il titolo), infine dopo l'Unità d'Italia quando venne ridotto a carcere giudiziario. In forte stato di abbandono e di degrado, è stato restaurato nel corso degli anni novanta e restituito alla città nel 2009, quale sede di museo, archivio e biblioteca comunali. Monastero di San Nicolò del Fico È il più antico edificio della cittadina, risalente al periodo bizantino e ricostruito in epoca normanna grazie ad una munificenza del Conte Ruggero d'Altavilla. La chiesa, ad una navata, è all'interno impreziosita da un arco trionfale in arenaria abbellito con motivi floreali, e conserva una preziosissima tela raffigurante San Basilio Magno con la Vergine e il Bambino, attribuito a Giuseppe Tomasi per la firma dell'artista, presente nel fregio sottostante della stola del santo. Chiesa di San Pietro Ha un'origine medievale ed è stata costruita attorno l'antica torre araba, che funge ora da campanile. L'interno, diviso in due navate da un pregiato colonnato, conserva un prezioso altare ligneo del XVII secolo. Le tholoi e la Trazzera Regia Nelle propaggini occidentali dei monti Nebrodi, in particolare nell'area dei comuni di Floresta, Ucria e, soprattutto, Raccuja, sono presenti un insieme di strutture architettoniche rurali di modeste dimensioni ed estremamente semplici: le cosiddette tholoi (pagliari in dialetto locale). Sono strutture circolari in blocchi di pietra arenaria fissati a secco, senza cioè l'uso di malta, che si elevano da terra per circa 2 metri e che terminano con una mirabile copertura a pseudo-cupola, con blocchi aggettanti, che si reggono e sostengono a vicenda. All'interno vi è un unico vano, circolare anch'esso, al quale si accede da un accesso ricavato nella struttura perimetrale, sovrastato da un architrave e, negli edifici più recenti, fiancheggiato da stipiti. Le origini di tali strutture sono incerte: alcuni asseriscono che siano di derivazione micenea e che risalgano ai primi anni della colonizzazione greca in Sicilia (VIII-VII secolo a.C.). In tal caso le tholoi avrebbero dovuto fungere da necropoli funeraria (come le più famose strutture micenee del Peloponneso, luogo di sepoltura dei re e della classe nobiliare). Di sicuro c'è solo che tali edifici, a partire dal secolo XVII-XVIII divennero rifugio per i pastori dei luoghi, pertanto furono restaurati e ricostruiti per sopperire a funzioni di ricovero, anche del bestiame. Esse sono disseminate in tutto l'agro raccujese, e insieme agli antichi sentieri rurali caratterizzano il paesaggio montano. Tra le varie trazzere, da segnalare è l'importante ed antichissima Trazzera Regia, la Capo Calavà-Randazzo, della quale rimane il tracciato che va da Fondachello a monte Cucuzza (antico Monte La Fico, dal nome del monastero di San Nicolò, sito ai suoi piedi): essa si inerpica poi verso la dorsale dei monti Nebrodi, toccando le caratteristiche rocce della Pedata Mula e gli ameni boschi della Nocera e della Grilla. Tradizioni e festività civili e religiose Le diverse dominazioni che si sono avvicendate nei secoli hanno lasciato nella cultura e nella tradizione dei luoghi segni indelebili, di arte e folklore. Le feste religiose sono il centro delle manifestazioni annuali, ma sono attorniate e assistite da eventi ludici dal carattere culturale o ricreativo. La festa patronale, che si svolge il 21 settembre di ogni anno, vede la devozione alla Madonna Annunziata manifestarsi ormai da tanti secoli: una settimana di preparazione si alterna ora in momenti di mera e devota preghiera, ora, invece, in canti mariani locali. Il 18 settembre il pesante simulacro marmoreo della Madonna Annunziata viene prelevato dall'altare e posto sul suo carro trionfale attraverso una macchina lignea, che permette la discesa stabile e sicura della statua. Ma è il giorno 21 che si concentrano le celebrazioni e gli eventi maggiori: il pontificale delle ore 11 raduna l'intera comunità in chiesa madre, mentre nel pomeriggio si svolge la processione, che si snoda per le vie del paese e che vede il simulacro ricoperto del manto d'oro benedire la popolazione. Alle ritualità religiose fanno, però, da contorno anche manifestazioni laiche, che si svolgono la sera in piazza del Popolo. Altre feste religiose da segnalare sono quella dei SS. Cosma e Damiano, la terza domenica di ottobre, in cui è la "Fiera" al centro delle manifestazioni laiche, la processione dell'Immacolata concezione e la caratteristica processione della Madonna Odigitria. È quest'ultima un'antichissima usanza, di derivazione bizantina ma con riferimenti al culto del dio Bacco, di ascendenza greco-sicula: il martedì dopo Pasqua il simulcro della Madonna "Guida del Cammino" viene condotto presso un'altura vicino al borgo, il Colle dell'Itria appunto, nel quale una comunità di religiosi abitava sino al XIX secolo, e vi si trovava una chiesetta di origini bizantine. Dopo la benedizione dei campi, viene consumato un pasto a base di prodotti tipici del tempo pasquale, le cosiddette "collure", diffuse in tutta la Sicilia, e le "nuvolette", dolci a base di uova e zucchero, tipica ricetta del paese. Alle feste religiose fanno da contorno le feste laiche e civili: il I maggio, festa del Lavoratore, nella quale in passato la massa operaia sfilava numerosa per le vie del paese seguendo il percorso inverso a quello delle processioni religiose, e l'Estate Raccujese, che si svolge nei mesi di luglio, agosto e settembre, con rassegne teatrali, raduni bandistici, sagre tipiche (famosa è quella dei Maccheroni, il 13 agosto) e convegni culturali. Cucina Alle feste religiose, alla produzione agricola delle stagioni, a varie usanze intime e familiari è legata la peculiare produzione culinaria dei luoghi. Dalle coltivazioni delle campagne derivano prodotti quali nocciole, la cui raccolta è in settembre, uva, specialmente la qualità "fragola", che serve per la produzione di vino locale, olive, dalle quali stilla pregiato olio extravergine, grano, coltivato sugli altopiani più elevati, funghi, raccolti negli ampi boschi, sui monti più elevati, oltre ai prodotti agricoli, sia fruttiferi che ortolani, i quali adornano tutto l'anno le tavole della gente paesana. È tipica, invece, delle festività pasquali, sia la produzione delle collure, tipica invero di quasi tutti i paesi di Sicilia, sia delle caratteristiche nuvolette, dolci a base d'uovo e farina, dal tipico colore bianco della pasta, che gli ha guadagnano l'appellativo di "nuvola", appunto, insieme alle spume (meringhe), preparate nello stesso periodo. Altri dolci, più comuni, sono a base di nocciole, mandorle, castagne e dei vari prodotti reperibili in loco. In inverno diffusa è la produzione di salame, derivante dalla carne di maiale, di pancetta, prosciutti e insaccati vari, di produzione familiare. Tipica tutto l'anno è, invece, la preparazione dei maccheroni, pasta all'uovo dalla forma filiforme, condita con il caratteristico sugo di maiale (sutta e supra), che ha, però, la sua acme durante le festività carnevalizie e la festa patronale, nel mese di settembre. Questa pasta è anche celebrata da un'importante sagra estiva, che annualmente si tiene nel mese di agosto nel centro cittadino. Persone legate a Raccuja Rinaldo Bonanno (1545 - 1590), scultore e architetto raccujese, nacque nel 1545 e morì a Messina nel 1590. Apprezzato artista, fu autore di numerose statue lignee e marmoree, che si ritrovano maggiormente nelle chiese di Sicilia e Calabria meridionale: fu grande rappresentante del gusto rinascimentale, ancora legato all'impostazione tardo gotica, che si esprime nei ricchi panneggi delle figure; riesce a plasmare, però, anche delle figure corpulente, che risentono, nella muscolatura, dei moderni studi di anatomia condotti nel periodo: è il caso del mirabile San Sebastiano, ospitato nella chiesa madre di Raccuja, che esprime nella sua tensione muscolare il dolore e gli spasmi provocati dal martirio;il volto è però come estasiato, partecipe del dolore del corpo ma volto essenzialmente allo spirito, con tutta la fede nel Creatore e la consapevolezza della Salvezza. E', inoltre, un eclettico architetto, autore, tra l'altro, della facciata della chiesa Madre di Alì Superiore (1584), alla cui impostazione scenografica si rifà anche la chiesa Madre di Raccuja. Nicolò Serpetro (XVII secolo), filosofo della natura, nacque nel 1606 e morì a Rocca Florida nel 1664, forse avvelenato. Le cause del presunto assassinio vanno ricercate nella volgare invidia che alcuni intellettuali del tempo nutrivano per Serpetro, in quanto fu nominato "la Fenice degli ingegni": era, infatti, in grado di ricordare parola per parola le opere classiche dei più grandi scrittori latini e italiani; riusciva a dettare quattro lettere diverse ad altrettanti amanuensi contemporaneamente, senza perdere il filo logico degli argomenti dettati. Ma il filosofo divenne famoso nel mondo della cultura con l'opera Il Mercato delle Maraviglie, in cui espone numerosissimi segreti della Natura, verso la quale lo sospingeva un afflato di passione, in un coinvolgimento dal sapore dionisiaco. A causa di quest'opera il Serpetro fu accusato di eresia e pratiche di magia occulta dal Tribunale della Santa Inquisizione di Palermo, dal quale fu condannato al carcere. Scrisse, inoltre, altri lavori, tra i quali figurano le Osservazioni Politiche e Morali sulla vita di Marco Bruto, traduzione di un'omonima opera spagnola. Come agli afferma nel suo Mercato, fu discepolo del grande Tommaso Campanella: pertanto si può a buon diritto inserire in quella parentesi Naturalistica che, da Telesio a Campanella, passando per il famoso Giordano Bruno, coinvolse gli intellettuali del Meridione d'Italia nell'ultima fase della filosofia Rinascimentale. Francesco Catena (prima decade del 1600-1673), avvocato e uomo di grande cultura, fu apprezzato per la sua acutezza di ingegno, per la sua integrità morale, per il suo essere uomo prudente, accorto e giusto; doti che furono tali da essere chiamato a ricoprire incarichi di prestigio: prima Procuratore della Magna Regia Curia e poi Procuratore Fiscale. Uomo di cultura letteraria, trova un posto di rilievo nella Raccolta di autori della letteratura siciliana, intitolata Le Muse Siciliane per opera di Giuseppe Galeano; in tale raccolta il Catena viene indicato come autore di canzoni siciliane burlesche e sacre. Di Francesco Catena abbiamo qualche notizia anche nella Biblioteca Sicula sive de scriptoribus siculis di Antonio Mongitore ma quelle di Galeano sono meno scarne. Ambedue ricordano che il Catena è nato, in data non precisata, forse nella prima decade del 1600, a Raccuja, ma che sin dalla più tenera età visse a Palermo dove studiò e si affermò, secondo quanto scrive Giuseppe Galeano, nelle lettere, nella filosofia e ottenne la laurea del Dottorato nelle leggi. Morì a Messina nel 1673 Amministrazione Altre informazioni amministrative Il comune di Raccuja fa parte delle seguenti organizzazioni sovracomunali: regione agraria n.2 (Nebrodi nord-occidentali). Evoluzione demografica Abitanti censiti Note ^ Dati Istat 2011. URL consultato il 22 maggio 2014. ^ Dato Istat - Popolazione residente al 30 novembre 2011. ^ GURS Parte I n. 43 del 2008. URL consultato il 21 maggio 2014. ^ Statistiche I.Stat - ISTAT; URL consultato in data 28-12-2012. Bibliografia Amico V., Lexicon Topographicum Siculum, 1859 Argeri G., Brevissima sintesi della storia di Raccuja, Cassa Rurale ed Artigiana, 1981 Astone N., Raccuja, documenti e immagini, 1983 Celona G., Storia dei Nebrodi 1986 Dollo C., Modelli scientifici e filosofici nella Sicilia Spagnola De Maria G., Le origini del Valdemone nella Sicilia bizantina, 2006 Fasolo M., Alla ricerca di Focerò, 2008 Fazello T., Storia di Sicilia, riveduta e corretta da Remigio Fiorentino, 1830 Pitrè G., Feste Patronali in Sicilia1900 Pirri R., Sicilia Sacra, 1644 Spadaro M., I Nebrodi nel mito e nella storia, 1992 Altri progetti Commons contiene immagini o altri file su Raccuja
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