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Piana degli Albanesi

Luogo: Piana degli Albanesi (Palermo)
Piana degli Albanesi (Hora e Arbëreshëvet in arbëreshë, Chiana in siciliano) è un comune italiano di 6.234 abitanti della provincia di Palermo in Sicilia. Denominata fino al 1941 Piana dei Greci per il rito bizantino-greco professato, è tra le più note e popolose comunità storiche arbëreshë, ed è il centro più importante delle colonie greco-albanesi di Sicilia e sede vescovile dell'Eparchia bizantina, la cui giurisdizione si estende su tutte le chiese insulari di rito orientale. Situata su un altopiano montuoso, che si specchia su un ampio lago omonimo, e sul versante orientale dell'imponente monte Pizzuta, dista dal capoluogo di provincia 24 km. Nel corso dei secoli è stata annoverata tra i maggiori centri attivi albanesi d'Italia, preservando e tutelando i caratteri tipici del patrimonio culturale orientale. Oltre a essere il fulcro socio-culturale, religioso e politico delle comunità, ha mantenuto pressoché intatte nel tempo le proprie peculiarità etniche, linguistiche, culturali e religiose d'origine. L'amministrazione comunale utilizza nei documenti ufficiali anche l'albanese, ai sensi della vigente legislazione che tutela le minoranze etniche e linguistiche. Geografia fisica Territorio Posta a un'altitudine di 740 m s.l.m., Piana degli Albanesi è adagiata su un altopiano montuoso, che termina in una conca su cui poggia il bacino del lago omonimo. Il territorio è delimitato per lo più da confini naturali e si estende in direzione sud-est. Contornata da quattro imponenti montagne (Pizzuta, Kumeta, Maganoce, Xëravulli), da altri siti naturalistici (Neviere, Grotta del Garrone, Honi), e cinta dal verde dalla riserva naturale orientata Serre della Pizzuta, gode di una suggestiva posizione geografica. Per le sue peculiarità etniche, culturali, religiose, storiche e ambientali si inserisce nel variegato panorama siciliano come unicum irripetibile. Questo territorio è immerso in una complessa e originale cornice incontaminata, che comprende il lago, i monti e le tipiche contrade rurali. Questi territori offrono fauna e flora di primario interesse naturalistico, inoltre si apprestano a ospitare attività sportive quali: escursionismo a piedi, cicloturismo, equiturismo, canottaggio, parapendio. Queste caratteristiche hanno suggerito l'inserimento di Piana degli Albanesi nei beni territoriali del WWF, e negli itinerari escursionistici denominati Sentieri Italia, che si propongono di stabilire un legame tra Sud e Nord d'Italia seguendo il filo conduttore delle antiche vie di comunicazione della montagna. Orografia Il territorio è delimitato da confini naturali, i monti di Piana degli Albanesi, un sistema di alture che sovrasta l'abitato formando un anfiteatro naturale, comprendendo il bacino del lago di Piana degli Albanesi. Circa i tre quinti della sua estensione si trovano in zone collinari, mentre il restante appartiene ad una zona tipicamente montana. Il paesaggio montano è composto da rilievi di natura carbonatica, con prevalenza di dolomie, che derivano da processi carsici di epoca mesozoica. Le principali cime del territorio di Piana degli Albanesi sono: Monte Pizzuta / Mali i Picutës (1.333 m) Monte Kumeta / Mali i Kumetës (1.233 m) Monte Maganoce / Mali i Maghanucit (902 m) Monte Xeravulli / Mali Xeravullë (1.246 m) Maja e Pelavet (1.279 m m) Monte Argomëzit (1.030 m) Pizzo Garrone / Maja e Gharrunit (1.123 m) Maja e Priftit (1.008 m) Monte Xhuhai / Mali i Xhuhait (968 m) Massiccio Rossella / Guri i Rruselës (1.064 m) Il monte Pizzuta, in direzione est-nord rispetto all'abitato, per l'imponenza della sua conformazione orografica nonché per la ricchezza della vegetazione e della fauna, ha un fascino particolare. È possibile visitarla mediante diversi itinerari naturalistici che, partendo dalla strada che porta all'antica chiesa rurale della Madonna Odigitria, portano alle sue vette, alla Grotta del Garrone, alle Neviere fino a Portella della Ginestra. Il monte Kumeta, posto in direzione ovest-sud, è un massiccio roccioso che custodisce numerosi fossili e presenta una vegetazione di muschi e licheni. Nel prospetto in parte rivolto verso Piana degli Albanesi la montagna riporta alcuni segni, ancora visibili, lasciati dalle cave di marmo. I toni cromatici vanno dal bianco fiorito, al rosa, al Rosso Kumeta o montecitorio, cosiddetto perché le colonne del Palazzo Montecitorio, sede del Parlamento nazionale a Roma, sono state realizzate con questo marmo. Il monte Maganoce, situato a sud-est sul versante del lago opposto all'abitato, presenta una particolare forma a dorso d'elefante sormontata da un fitto bosco. Il monte Xeravulli, ubicato accanto alla Pizzuta in direzione nord-est, è ricco di vegetazione e chiude idealmente la "corona" dei monti. Idrografia Il territorio è attraversato da vari torrenti e fiumi ricchi d'acqua, come il fiume Gjoni che attraversa il monte Xëravulli e scorre sotto il paese per sfociare nel lago; ma in particolare dal fiume Honë (nome locale del Belice Destro), sbarrato negli anni venti per la realizzazione del lago di Piana degli Albanesi, dal 1999 Oasi naturalistica protetta e salvaguardata dal WWF. Clima Piana degli Albanesi si trova in un altopiano circondato da alte montagne, ed è soggetta ad un microclima particolare. Le estati sono mediamente calde e soleggiate, ma più ventilate che nel resto dell'isola grazie alle brezze montane. Gli inverni sono generalmente freddi ma piuttosto variabili a seconda delle annate, con periodi nevosi rigidi. Diversamente dalle zone circostanti, la piovosità è più abbondante. Classificazione climatica: zona D, 1711 GG Storia Età medievale La fondazione di Piana degli Albanesi (Hora e Arbëreshëvet) risale alla seconda metà del XV secolo, quando un consistente gruppo di esuli provenienti dalle regioni centro-meridionali dell'Albania e in secondo momento dalla Morea, cercarono rifugio in Italia, a causa dell'imminente avanzata turco-ottomana che minacciava la cristianità nei territori della penisola balcanica. L'esodo ebbe inizio in seguito alla disfatta dell'Impero Bizantino e alla morte di Giorgio Castriota Skanderbeg, che vittoriosamente combatté per la libertà del proprio popolo per più di un ventennio. Negli anni tra il 1482-1485 numerosi arbëreshë, dopo aver unanimatamente difeso la propria terra, trovarono rifugio nelle vicine coste dell'Italia meridionale, lasciando con rimpianto la madrepatria. Grazie all'appoggio della Repubblica di Venezia, che favoriva le migrazioni per ripopolare centri disabitati o colpiti da carestie, esuli della Himara, tra cui consanguinei di Castriota e nobili della più elevata aristocrazia albanese, come risulta dai diplomi reali di quella epoca, riuscirono ad inoltrarsi sino a raggiungere la Sicilia. Sbarcati sul litorale, secondo la tradizione nei pressi di Solunto, e costretti a dirigersi verso l'interno per timore di eventuali rappresaglie da parte dei turchi, i profughi cercarono in diverse parti della Sicilia il luogo dove insediarsi e dopo alcuni tentativi, durati diversi anni, si fermarono negli ampi territori amministrati dalla Mensa Arcivescovile di Monreale. Negli anni 1486-1487 fu chiesto al cardinale Juan Borgia il diritto di soggiorno sulle terre di Mercu e Aydingli, situate nell'entroterra montuoso presso la pianura della Fusha. L'ambiente si presentava non lontano dai principali poli cittadini, ma alquanto riparato, fertile e ricco d'acqua. Stipulati i Capitoli di fondazione, la concessione ufficiale fu sancita per il 30 agosto dell'anno 1488, cui seguì la costruzione del più grosso centro albanese dell'isola. Sorse da principio alle falde dell'erto monte Pizzuta, ma i suoi fondatori, costretti dall'eccessiva rigidità del clima, si spostarono appena più a valle in prossimità della pianura sottostante. Il centro abitato si è quindi sviluppato su più quartieri, (alcuni fra i primi Qaca e vjetër, Shën Gjergji, Sheshi), ognuno dei quali suddivisi in aree che generalmente prendono il nome dalle chiese in primis edificate, dai toponimi albanesi o dalle famiglie di Piana degli Albanesi, seguendo la morfologia montuosa del territorio. L'omogeneità sociale, culturale ed etnica degli albanesi si manifestò immediatamente con la rapida costruzione delle chiese di rito greco-bizantino e delle prime infrastrutture. Età moderna Nel 1534, durante la seconda diaspora albanese, altri gruppi di famiglie provenienti dalla Tessaglia e dalle città di Corone, Modone e Nauplia in Morea, attuale Peloponneso, si aggiunse ai primi esuli. A tal punto si struttura come comunità autonoma, nell'assetto amministrativo, giuridico, economico, culturale e religioso. I fondatori, desiderando mantenersi sempre albanesi, e non volendo confondersi con l'elemento eterogeneo che stringeali da ogni parte, ostacolarono l'accesso ai forestieri. Per molto tempo non fu permesso ai "latini" di risiedere nel paese oltre un determinato periodo di giorni. Per atto espresso nel contratto del 30 agosto 1488, tra gli albanesi e l'arcivescovo di Monreale, le pubbliche cariche dovevano essere occupate dai soli cittadini albanesi di rito greco. Tale privilegio, riconosciuto unicamente agli arbëreshë di Piana degli Albanesi, rimase in vigore fino al 1819, e consentì agli esuli di difendere le proprie tradizioni etno-linguistiche e soprattutto religiose. Verso la prima metà del XVIII secolo gli arbëreshë di Piana degli Albanesi avviarono un profondo processo di rinnovamento spirituale e culturale, in sostegno alla salvaguardia dello specifico etnico, religioso e culturale delle comunità albanesi. Età contemporanea Durante il XIX e XX secolo gli arbëreshë di Piana degli Albanesi parteciparono attivamente alle vicende storiche regionali, nazionali ed oltre i confini nazionali, giocando un ruolo significativo per l'unità nazionale italiana e l'indipendenza albanese, e partecipando alle fasi più incisive del movimento dei Fasci Siciliani dei Lavoratori (denominato in lingua arbëreshë Dhomatet e gjindevet çë shërbejën); a ribadire il legame con la madrepatria e l'amore per quella odierna. La loro partecipazione alle fasi più incisive dei moti risorgimentali siciliani, nazionali e albanesi si concretizzò così in un decisivo sostegno politico, militare e culturale. I secoli XIX e XX costituirono un notevole progresso della cultura e della letteratura italo-albanese. Sospinta soprattutto dai principi romantici e risorgimentali, una nutrita schiera di intellettuali si interessò della storia, della lingua, delle tradizioni poetiche popolari arbëreshë, avviando un decisivo processo della storia letteraria albanese. In questo contesto, Piana degli Albanesi offrì figure di grande rilievo e personalità che in diverso modo e con diverse possibilità hanno contribuito all'arricchimento del prezioso patrimonio avito. Nel corso dei secoli gli abitanti, grazie alla loro tenacia e alle proprie istituzioni culturali, sociali ed economiche, hanno mantenuto inalterata la propria originaria identità etnico-linguistica e religiosa, conservato gelosamente le proprie radici culturali quali il rito, la lingua, gli usi, le tradizioni e i caratteristici costumi femminili riccamente ricamati; e ancor oggi è inalterato l'attaccamento alla tanto amata madre patria, sempre vivo nelle popolazioni italo-albanesi. Simboli Lo stemma del comune di Piana degli Albanesi è così descritto dallo statuto comunale: Il gonfalone del comune di Piana degli Albanesi è un drappo rettangolare a fondo azzurro o rosso con al centro un tondo ornato di ricami in oro riproducenti la scritta in latino "Civitas Nobilis Planæ Albanensium" e caricato dello stemma. Il gonfalone è disciplinato dalle disposizioni statutarie del comune. In origine lo stemma era costituito da due spighe unite per mezzo di un nastro a nodo, un'aquila bicipite con una stella a sei punte nella parte superiore, e con le iniziali S.P.Q.A. (Senatus Populus Que Albanensis) ovvero N.P.A.C. (Nobilis Planæ Albanensium Civitas). Tale stemma si può vedere nelle più antiche fontane del paese, nonché sulla porta della Chiesa di San Giorgio Megalomartire, l'antica Matrice, e altrove. In seguito si è sempre adoperata l'aquila bicipide albanese, con le spighe tra gli artigli e l'iscrizione N.P.A.C. Secondo quanto riportato dallo Statuto del comune di Piana degli Albanesi, il comune ha un proprio inno in albanese. Monumenti e luoghi d'interesse Il centro antico del paese interpreta lo stile costruttivo tardo-medievale, cinquecentesco e seicentesco, rispecchiando gli status sociali e le condizioni economiche dell'epoca in cui sorse l'insediamento. Sulla base dei documenti, ad oggi disponibili, è possibile supporre che gli Arbëresh fondatori di Piana degli Albanesi, dopo quasi un secolo di permanenza nel luogo, abitassero in case costruite secondo schemi architettonici più medievali che cinquecenteschi, ne è testimonianza l'uso di archi in pietra e di volte a botte. Le strade urbane sono strette e costituite da scalinate (shkallët) e dal vicinato (gjitonì), lo spazio fisico luogo di aggregazione antistante le abitazioni, ad eccezione della strada principale (udha/dhromi i mathë), l'asse longitudinale ampio e rettilineo di Corso Giorgio Kastriota che si stende da nord a sud-est, e sul quale si arriva entrando nel paese. Il tessuto dell'area centrale è costituito da grossi lotti irregolari e da una trama viaria curvilinea tardo-medievale, spesso accidentata, con rampe gradinate. Il centro di aggregazione per eccellenza, luogo reale e simbolico di incontro, comunicazione e informazione, con funzione regolatrice, è la Piazza Grande (Qaca e Madhe), con la vecchia sede del municipio e le "quinte secentesche" costituite dalla fontana Tre Kanojvet e dalla chiesa-santuario di Maria SS. Odigitria. Il patrimonio artistico e monumentale di Piana degli Albanesi è fondamentalmente percorso da due stili, o meglio da due culture: quella barocca, la cui esistenza si è protratta sino agli inizi del Novecento; e quella bizantina, esistita sempre a livello latente e con periodi di piena espressione. I due stili hanno avuto anche momenti di fusione con esiti singolari. L'arte bizantina, quali erano legati gli esuli Albanesi, non viene abbandonata, anzi la sua influenza si fonde nell'orbita delle caratteristiche architettonico-urbanistiche. Tra la fine del cinquecento e la prima metà del Seicento, principalmente, fu realizzato quanto vi è oggi di maggiore interesse artistico-architettonico: chiese, fontane, palazzi e assetto del centro storico. In questo periodo fu il barocco meno capriccioso e privato delle esasperazioni decorative lo stile che si affermò, e una personalità su tutte incise profondamente quegli anni, quella di Pietro Novelli, architetto e pittore monrealese, molto attivo nella colonia siculo-albanese. Nei secoli successivi, tra il Settecento e l'Ottocento, non si registrarono che aggiunte e completamenti compatibili con la conformazione ormai assestata. Nel secondo dopoguerra sono state operate trasformazioni urbanistiche e architettoniche, non sempre rispondenti a canoni culturalmente e scientificamente corretti, che hanno prodotto in alcuni casi danni irreversibili e compromesso il fascino originario. Parallelamente, però, si è registrata una attenzione particolare per l'arte bizantina, rivalutando gli aspetti storici e artistici conservati. Architetture religiose Chiese Chiesa rurale della SS. Madonna dell'Odigitria (XV secolo), sorge ai piedi del Monte Pizzuta, poco distante dal centro abitato. Costruita nel 1488, anno in cui furono stipulati "I Capitoli di fondazione", è a pianta quadrata, con altare centrale del XVIII secolo, in marmi mischi, custodisce una immagine su tela della Madonna Odigitria, opera del 1612 di Pietro Antonio Novelli, padre del più celebre monrealese. La chiesa custodisce una lapide, posta nell'ingresso centrale, che rammenta ai visitatori le vicende dell'insediamento. In due diversi periodi dell'anno, ossia a maggio e ad agosto, per tradizionale devozione secolare gli arbëreshë si recano prima dell'alba in questo santuario sacro per partecipare alla Divina Liturgia e infine intonare rivolti verso l'oriente, l'Albania, canti sacri e popolari nostalgici per la Madre Patria. Chiesa di San Giorgio Megalomartire (XV secolo), edificata nel 1493, è la più antica del centro urbano. Si accede alla chiesa mediante una scalinata che, prima della costruzione del convento adiacente avvenuta nel 1716, scendeva direttamente in piazza. Costituito da un'unica navata, con volta a botte, troneggia un affresco di San Giorgio in gloria, opera settecentesca di Cristodoro. Chiusa ad ovest da un'abside sul cui catino un affresco bizantino raffigura Cristo Pantocratore, riportante la scritta albanese "U Jam drita e jetës kush vjen prapa meje ngë ka të jetsënjë në të errët". Assai pregevole è il gruppo scultoreo di San Giorgio, titolare della chiesa, che trafigge con la sua lancia il drago, simbolo del male. Opera di Jeromus Bagnasco, il quale si ispira alla raffigurazione in argento della fibula del costume femminile albanese, brezi. La chiesa è arricchita da numerose icone di iconografi contemporanei dei Balcani e locali. Cattedrale di San Demetrio Megalomartire di Tessalonica (XV secolo), maestosa Cattedrale situata nel Corso Giorgio Kastrota. Vi si accede mediante una scalinata di stile tardo-barocco; la facciata è abbellita da mosaici. L'interno, a tre navate separate da due file di otto colonne di marmo ed archi a tutto sesto, contiene un'imponente iconostasi lignea, la più grande di Sicilia, con icone del monaco cretese Manusaki, che ricopre le tre absidi. Arricchiscono le pareti laterali della cattedrale affreschi dell'iconografo greco Eleuterio Hatsaras e trittici di icone che raffigurano la vita della Vergine, le feste principali e i padri della Chiesa ortodossa, quella centrale da affreschi del Katzaras raffiguranti feste Despotiche. Tra il 1641 ed il 1644, il monrealese Pietro Novelli eseguì gli affreschi delle absidi. L'opera più antica e di maggior rilievo artistico è l'icona della Madre di Dio con il Cristo di scuola senese del 1500, dipinta con tempera all'uovo. Sulla parete destra dell'entrata principale si trova una pala raffigurante San Demetrio e San Nestore, e il sepolcro del Servo di Dio P. Giorgio Guzzetta, illustre personalità arbëreshë vissuta intorno al XVIII secolo, che difese il rito orientale greco-bizantino. Dal 1784 la chiesa fu sede del vescovo ordinante di rito greco in Sicilia. Fino al 1924, in Piana degli Albanesi, la chiesa di San Demetrio era la sola parrocchia con un Collegio di quattro papàdes. Chiesa urbana della Madonna dell'Odigitria (XVI secolo), fu ricostruita ed ampliata nel XVII secolo su progetto di Pietro Novelli. L'interno conserva ancora oggi tale struttura, l'unica a pianta centrale con un'ampia cupola. In esso si conserva la grandiosa artistica statua della vergine Odigitria sorretta da due monaci, realizzata verso la fine del Seicento, in legno stuccato e dorato. Incassato nella statua si trova la venerata icona dell'Odigitria, portata dall'Albania nel XV secolo dagli esuli albanesi fondatori di Piana degli Albanesi. Di molto pregio è anche l'antica icona bizantina del XVI secolo, raffigurante la dormizione di Maria Vergine. Nelle navate laterali si trovano due piccole iconostasi e quattro altari in marmo rosso Kumeta con antichi stemmi delle famiglie albanesi Schirò, Matranga, Schiadà. Chiesa di San Nicola di Mira (XVI secolo), fu eretta sul luogo dove già esisteva un'antica chiesetta dedicata allo stesso santo. La chiesa ha particolare rilievo artistico per le pregevoli icone del Seicento e del Settecento dell'iconostasi. La chiesa è ad una sola navata; le pareti sono arricchite da icone di scuola cretese e siculo-albanese del Settecento, che si differenziano dalle altre per l'uso di una tempera grassa e per il fondo in argento a mecca. Annesso alla chiesa vi è il Seminario greco-albanese e la sede dell'Eparchia di Piana degli Albanesi. Chiesa della Santissima Annunziata (XVII secolo), l'interno presenta una forma anomala, una navata centrale e una navata destra. L'altare in marmo quadrato bizantino, sorretto da quattro colonne che rappresentano i quattro Evangelisti, è preceduta come dai canoni bizantini da un'iconostasi. Rilevanti sono le opere del Novelli, una tela raffigurante San Pietro liberato e l'affresco dell'Annunciazione del 1646, ultima opera dell'artista, eseguito per interessamento del sacerdote Tommaso Petta. Chiesa di San Vito (XVI secolo), esempio dell'arte tardo-barocca del paese, ricca di fregi, di altari intarsiati in marmi policromi. La chiesa, appartenente inizialmente ai fedeli di rito greco-bizantino, fu ceduta da questi ai latini. Possiede una grande scalinata barocca risalta il portale settecentesco, composto dalle statue marmoree di S. Pietro e S. Paolo, da due putti e un medaglione. Nella chiesa a tre navate con l'abside e l'unica cappella laterale, poiché l'altra è stata adibita a sacrestia, si conservano importanti opere d'arte: la statua dell'Immacolata e la statua di S. Vito Martire. Chiesa della Madonna del Rosario (XVI secolo), rimaneggiata nel tempo, il sacerdote Antonino Costantino, nel 1741, proprietario della chiesa di S. Venanzio, la donò alla Confraternita del Rosario. Fornita di iconostasi, è abbellita da mosaici e icone neo-bizantine. Nel mese di ottobre, dedicato alla Madonna del Rosario, vi si svolgono interessanti funzioni religiose in albanese(Moi i Otuvrit). Chiesa di Sant'Antonio il Grande (XVI secolo), edificata nel 1562 per volere del papàs Demetrio Parrino, è l'unica che ha mantenuto l'altare ad oriente così come è in uso nell'architettura bizantina. La chiesa, a forma di croce greca mancante di un braccio, nasconde l'altare con una semplice iconostasi da cui emerge dal Vima l'antico l’affresco del XVI secolo raffigurante la Madonna con S. Giovanni Battista e l’Arcangelo Gabriele. Le pareti laterali sono abbellite da due mosaici, cui figurano S. Caterina e l’altro S. Antonio il Grande, e icone bizantine con scene bibliche varie. Chiesa del Santissimo Salvatore alla Sklica (XX secolo), edificato nella prima metà degli anni '50 e situato alla sommità dell'omonima collinetta in una invidiabile posizione panoramica che domina tutta al valle, è inserita in un complesso edilizio-monumentale gestito dai monaci basiliani di rito bizantino, che fanno capo alla Badia greca di Grottaferrata. L'interno a una navata è arricchito dal mosaico del Cristo Pantocratore benedicente, da un iconostasi in marmi mischi e da icone. Chiese e cappelle rurali Oltre alle chiese urbane, vi è gran numero di chiese e cappelle rurali che in genere prendono il nome dalla contrada in cui si trovano. Molte di queste cappelle rurali, la cui costruzione è di difficile datazione, esistono tuttora. Madonna delle Grazie o della Scala (Shën Mëria e Hirevet o e Shkallës), del 1560, alle falde del monte Maganoce; Santa Caterina (Shën Katarina), in contrada Fusha; Madonna dell'Udienza (Shën Mëria e Godhencës), sul poggetto omonimo; Madonna dello Stretto (Shën Mëria e Stritit), della metà del XVI secolo, in contrada Shën Ëngjëlli; San Giovanni (Shën Janit), nella contrada omonima, all'interno dell'abitato; San Mercurio (Shën Merkuri), in contrada Brinja; Madonna Nascosta (Shën Mëria e Fshehur), contrada Argomezët; Madonna della Pietà (Shën Mëria e Boshit), a pochi chilometri dal centro abitato in località Argomezët; San Michele Arcangelo (Shën Mikelli Arkëngjëll), nello Sheshi; Maria Addolorata (Shën Mëria e Dhëmbur), alla sommità dello Sheshi. Edicole sacre Numerose edicole votive sono erette nel centro urbano. Le edicole sacre di Piana degli Albanesi testimoniano la forte tradizione religiosa orientale della popolazione, e rappresentano veri e propri luoghi di culto. La maggior parte non si è conservata, alcune si trovano in uno stato di mediocrità strutturale ed estetico; altre ancora conservano affreschi della scuola del Novelli. Sono state censite trentaquattro edicole dedicate prevalentemente alla Madonna Odigitria, le altre sono andate perdute. Un'altra tipologia comprende le edicole realizzate sul prospetto delle case per devozione delle famiglie albanesi. Molte di queste sono andate distrutte dopo il rifacimento dei prospetti delle abitazioni, quando sono state operate trasformazioni non rispondenti ai giusti canoni. Molteplici sono quelle riportanti scritte in albanese. Una delle particolari edicole è quella inserita su un masso denominato Pietra di Maria (Guri i të mjerës Mas Marës). Altri edifici sacri Oratorio S. Filippo Neri (Rritiri) Seminario Eparchiale (Seminari i Eparhisë) Collegio di Maria (Kulexhi i Shën Mërisë) Convento SS. Annunziata (Patret) Monastero dei Padri Basiliani (Sklica) Architetture civili Il contesto urbano di Piana degli Albanesi è punteggiato da numerosi palazzi di notevole interesse architettonico. Alcuni degli edifici storici più significativi (Ospedale, Albergo Ricovero per gli agricoltori, Teatro, Mulini, Palazzo Manzone) sono stati descritti dallo storico arbëresh Giorgio Costantini (1838-1916), che nel 1915 scrisse una "Monografia di Piana dei Greci". Fontane Le tipiche fontane (kronjet) in pietra locale, distribuite nei quartieri del centro storico, contribuiscono ad arricchire il patrimonio artistico di Piana degli Albanesi, e costituiscono un'importante testimonianza storica. Oltre ad assolvere al loro compito di rifornimento idrico, erano un luogo sociale dove si ritrovavano gli abitanti del quartiere, e quanti di passaggio, a discutere e a scambiarsi notizie e informazioni. Tra le molteplici fontane, di particolare importanza vi sono: Tre Kanojvet in Piazza Grande, tipica fontana secentesca a forma di "tempio" che riporta la data 1608, qui si rievoca il battesimo di Gesù nel Giordano; Fusha e Pontit in corso Umberto I, recante lo stemma in rilievo del paese nella sigla "SPQA 1765", anno della sua costruzione; Kroi me një gojë vicino alla Cattedrale, è una delle più antiche, riporta sulla lapide la data di costruzione 1567 affiancato dallo stemma del paese; Kriqja e Palermës in via Fra.sco Crispi, del XVII secolo, trasformata; Sëndu Roku nel quartiere San Rocco, con lapide storica del XVII secolo; Shën Jani prospiciente al plesso Skanderbeg, del XVIII secolo, trasformata; Fovara e Shën Gjonit a ridosso della chiesetta; Kanalli i ri in via P. Giorgio Guzzetta, costruita intorno al 1700; Kroi Mashili in Piazza Mashilli, trasformata e in esercizio; Kroi Arkuleuni, sotto l'omonimo arco; Fovara e Rrugaçit al di sotto il viadotto Tozia, trasformata; Tek Ulliri antistante il convento SS. Annunziata; Shën Mëria e Ghodhencë nei pressi del macello comunale, dimessa. Masserie Nel territorio collinoso del comune di Piana degli Albanesi si possono scorgere tredici masserie, aziende agricole di medie dimensioni condotte da un massaro. Le masserie, comprensive di podere, casa colonica e servizi, erano destinate ad uso abitativo di proprietari baroni e massari. Questi sistemi di edilizia rurale ebbero inizio a partire dal Seicento, e si sviluppavano in genere perimetralmente lungo un ampio cortile ai cui lati erano poste, fino alla prima metà del XX secolo, le abitazioni dei contadini, i granai, i depositi di derrate alimentari e le stalle; e in alcune di esse, come a Duku e Rusela, si trovano chiese rurali. Le colture prevalenti erano, e in gran parte lo sono ancora, i seminativi e i vigneti, oltre agli allevamenti di bovini e ovini. La costruzione era generalmente in muratura portante con frequente uso di archi in blocchi di pietra calcarea. La casa padronale, posta al primo piano, dominava tutta la masseria e presentava rifiniture più accurate, come il pavimento in cotto, mentre nel resto della costruzione la pavimentazione era in lastricato di pietra. Solo alcune delle tredici masserie pervenute sono riuscite a mantenere uno stato di conservazione soddisfacente. Dove sono state eseguite ristrutturazioni, le masserie hanno subìto profonde modificazioni che in qualche caso ne hanno stravolto l'impianto originario. Questi piccoli centri di vita agricolo-pastorale hanno perso dopo la riforma agraria del secolo scorso gran parte della loro importanza. Alcune sono in semi stato d'abbandono, ma molte altre ancora in funzione e divise in miniproprietà tra gli arbëresh degli ex feudi o trasformate in aziende agrituristiche. Le masserie prendono in genere il nome dalla contrada in cui sono ubicate. Altre masserie, adiacenti al territorio comunale, appartengono storicamente e tradizionalmente alla comunità di Piana degli Albanesi: Masseria Kaggio (Masaria Haxhi); Masseria Montaperto (Masaria Mëndhapert); Masseria Manali (Masaria Manali); Masseria Duccotto (Masaria Dukoti); Masseria Lupotto (Masaria Llupoti); Casa dell'Aquila (Shpitë i Aikullës). Altro Strade e piazze Corso Giorgio Kastriota Via Martiri Portella della Ginestra Viale 28 novembre o 8 marzo Piazzetta della Cattedrale Piazza Vitt. Emanuele o P. Giorgio Guzzetta già Piazza Grande Siti archeologici A pochi chilometri a sud da Piana degli Albanesi, in Contrada Sant'Agata (Shënt Arhta in arbëreshë), è situato un antico insediamento denominato Pirama, rilevante necropoli paleocristiana di età tardo-romana, attualmente soggetta al centro di ricerca archeologica. L'importante scoperta ha dato un'ulteriore conferma della produttività culturale antica e moderna del territorio. I reperti, scoperti nel 1988, non hanno ancora trovato spazio nei Musei archeologici regionali, e sono stati dislocati provvisoriamente dal Museo Regionale Archeologico di Marineo presso i locali, dal 1991, del Museo Archeologico Regionale di Palermo Salinas. Aree naturali Lago di Piana degli Albanesi Il lago di Piana degli Albanesi (liqeni i Horës së Arbëreshëvet in arbëreshë) è il più grande e antico bacino artificiale della Sicilia. Si estende su un'area di 310 ettari nel territorio comunale ed in parte in quello di Santa Cristina Gela, in provincia di Palermo. È una delle aree di pregio ambientale e naturalistico affidato in gestione al WWF Italia. Il lago, dal punto di vista paesaggistico e turistico, costituisce un'importante area naturalistica, e, insieme a lingua, rito e costumi, è uno degli elementi peculiari di Piana degli Albanesi. Riserva naturale orientata Serre della Pizzuta La riserva naturale orientata Serre della Pizzuta è un'area protetta del dipartimento regionale di Sicilia, situata nel territorio comunale ed istituita con Decreto Assessoriale 744/44 del 10 dicembre 1998. È affidata all'Azienda Foreste Demaniali della Regione Siciliana e gestita dall'Ispettorato Ripartimentale delle foreste. Società Evoluzione demografica Abitanti censiti Etnie e Minoranze Straniere Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2009 la popolazione straniera residente era di 207 persone. La nazionalità maggiormente rappresentata in base alla percentuale sul totale della popolazione residente era: Albania 95 1,58% Identità La composizione etnica di Piana degli Albanesi si distacca significativamente da quella dell'ambiente circondario, e la percentuale etnica albanese è pressoché il totale dei residenti. La popolazione costituisce un sistema socio-culturale arbëresh, che configura un sistema storicamente consolidato e dotato di un profilo autonomo nel territorio. L'origine unica e peculiare, con i forti connotati storici, culturali e valoriali costituiscono punti specifici della comunità, d'altra parte il fattore territoriale rende esemplare il valore dell'interculturalità ormai perfettamente integrata. Un passo avanti in tal senso è rappresentato dalla definizione delle minoranze etno-linguistiche attraverso la legge statale n. 482 del 15 dicembre 1999. L'identità arbëreshe, temperata in terra straniera (te dheu i huaj), ne suggella il forte carattere autoctono. Gli assi portanti della comunità sono: la in arbëreshë, il rito bizantino, gli usi e i costumi tradizionali, la storia. La componente sociale è stata la forza endogena di Piana degli Albanesi: l'intellighentia arbëreshe, papàs in primo luogo ed esponenti della vita politica e culturale, attraverso istituzioni e l'operato di numerosi uomini illustri, hanno operato con zelo per difendere le peculiarità identitarie. Il mantenimento dello status arbëresh, come in ogni realtà identitaria, si confronta quotidianamente con il trasformismo socio-culturale e se una volta ignorarsi a vicenda fra albanesi e siciliani era il modo di conservare ognuno le proprie specificità, le attuali dinamiche territoriali non lo consentono nella misura in cui il sistema-mondo si esprime mediante relazioni dal locale al sovra-locale. Gli specifici culturali, quali rito, lingua e costumi, vengono tuttora mantenuti vivi da tutta la comunità, grazie ad una forte e radicata tradizione popolare in cui l'etnia albanese di questo popolo è legato e si riconosce, e da istituzioni religiose e culturali che contribuiscono validamente alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio avito. Lingua La traccia più evidente della forte identità etnica di Piana degli Albanesi è la lingua albanese (gluha arbëreshe), parlata da tutti, tanto che è facilmente intuibile tra la gente, i nomi delle vie, le indicazioni stradali e le insegne dei negozi (es. Bar Shqjpëria, Circolo Vatra, Società Shoqëri Bujqësore). L'esodo e la lontananza dalla Madre Patria non ha scalfito il grande orgoglio arbëreshë, e la comunità ha preservato il più possibile la propria identità. La parlata, pur con le sue particolarità fonetiche e morfo-sintattiche, appartiene alla variante linguistica toskë diffusa nel sud dell'Albania, misto a tratti fonetici con il greco, ed è pienamente riconosciuta e tutelata dalla legislazione statale (legge 482/1999) e dalle leggi regionali, nell'ambito delle amministrazioni locali e dalle scuole dell'obbligo come lingua di minoranza etno-linguistica. L'amministrazione comunale promuove un bilinguismo di base negli atti della pubblica amministrazione, negli uffici, nei pubblici avvisi e nei documenti ufficiali, i quali possono essere redatti in italiano o in albanese. La segnaletica stradale è in due lingue diverse. L'Arbërisht rimane ancora oggi la lingua madre, ed è il veicolo di comunicazione principale. I cittadini sono bilingui, in grado di utilizzare l'albanese e l'italiano. Molto intensa è l'attività culturale tesa al mantenimento del patrimonio etnico-linguistico: si svolgono ogni anno manifestazioni teatrali in arbëreshë, esibizioni di gruppi folkloristici e musicali, ed è fiorente la produzione letteraria albanese di autori locali, conosciuti anche in Albania e in Kosovo. La lingua arbëreshë è usata inoltre in radio private (es. Radio Hora), e soprattutto in testi e riviste periodiche, private e istituzionali, di informazione culturale (es. Mondo Albanese, Kartularet e Biblos, Fluturimi i aikullës, Lajmtari Arbëreshëvet, Mirë ditë). Religione La Chiesa Bizantina in Italia comprende le tre Circoscrizioni ecclesiastiche: l'Eparchia di Lungro per gli arbëreshe continentali, Eparchia di Piana degli Albanesi per gli arbëreshe di Sicilia e il Monastero Esarchico di Grottaferrata a Roma. L'Eparchia di Piana degli Albanesi difende il proprio patrimonio etnico-culturale e la propria tradizione religiosa, soprattutto in prospettiva ecumenica, e trasmette, con le altre diocesi, la tradizione culturale, spirituale e liturgica della Chiesa bizantina dal tempo di Giustiniano (VI secolo). I fedeli della Eparchia sono distribuiti in 15 parrocchie, nei seguenti cinque comuni tutti in provincia di Palermo: Piana degli Albanesi (Hora e Arbëreshëvet), Contessa Entellina (Kundisa), Mezzojuso (Munxifsi), Palazzo Adriano (Pallaci) - quest'ultime entrambe comunità assorbite e caratterizzate da una marcata eredità storica e culturale albanese - e Santa Cristina Gela (Sëndahstina), oltre alla parrocchia Concattedrale dell'Eparchia "San Nicolò dei Greci" alla Martorana, con giurisdizione personale in Palermo, per una popolazione complessiva di 33 000 fedeli. Eparca (Vescovo): S.E. Rev. Mons. Sotìr Ferrara. Rito greco-bizantino Il rito di Piana degli Albanesi si differenzia dalle altre Chiese di Sicilia e costituisce l'eredità più importante della Chiesa orientale di Bisanzio, da dove si propagò sino alle terre più periferiche dell'Impero Romano d'Oriente molto prima che gli Albanesi le lasciassero, costretti a fuggire. Per la particolarità di esso, infatti, e per l'uso della lingua greca nelle celebrazioni liturgiche il paese fu chiamato in passato Piana dei Greci. La forte caratterizzazione si riferisce particolarmente alla modalità, ai simbolismi, alle forme solenni e grandiose delle celebrazioni e delle sacre funzioni; e assieme alla lingua e ai costumi, il rito costituisce il tratto più importante dell'identita arbëreshe. Ancora oggi gli splendori greco-ortodossi sono rievocati nei solenni Pontificali, dalla ricchezza dei paramenti sacri indossati dal gran numero di celebranti, i quali ripetono gli antichi gesti carichi di simbolismo e dai particolari canti che sono tra i più incontaminati ed antichi. Gli Uffici divini sono più lunghi e solenni; al canto dei salmi si alternano lunghe letture di testi biblici; allo stare in piedi, le prostrazioni profonde; ai colori dorati dei paramenti, quelli rossi e quelli violacei; alle musiche gioiose, quelle meste e solenni. In questo contesto maestoso, tutto ha un significato: i gesti, i canti, le processioni, i fiori, i profumi, gli incensi. Il clero della comunità è organizzata in un'Eparchia retta da un Eparca che viene designato dalla Sede Pontificia e ha rango di vescovo. Nelle cerimonie più solenni veste paramenti del tutto simili ai vescovi ortodossi come il tipico copricapo (mitra) e il pastorale (ravhdes) sormontato da due teste di serpente contrapposte che si fronteggiano, simbolo della prudenza evangelica. I sacerdoti (papàs) portano, in genere, i capelli lunghi con la coda (tupi), indossano abitualmente il tipico copricapo cilindrico nero (kalimafion) e hanno la barba lunga. Per il cristiano di rito bizantino la ricchezza di simbolismi non è altro che un mezzo di conoscenza semplice ed immediato di Dio. Le sacre liturgie sono quelle scritte dai padri della Chiesa ortodossa: quella di San Basilio per il primo di gennaio, la sera della vigilia di Natale (Krishtlindje) e dell'Epifania (Ujët e pagëzuam) a conclusione del digiuno, le domeniche di Quaresima (Dielljat e Kreshmës) e il giovedì e il sabato santo; quella di San Giovanni Crisostomo nelle altre occasioni. Le manifestazioni religiose si svolgono lungo tutto l'anno, ma raggiungono il loro culmine nella celebrazione della Settimana Santa (Java e Madhe), evento religioso di fortissima spiritualità, il più grande avvenimento del calendario bizantino. In essa, infatti, trova giustificazione tutto il discorso escatologico e ogni motivo di speranza, come canta il famoso inno del Christos anesti-Krishti u ngjall (Cristo è risorto): «Cristòs anèsti ek nekròn, thanàto thànaton patìsas, ketis en tis mnìmasin zoìn charisà menos» - «Krishti u ngjall Ai tue vdekur, ndridhi vdekjen e shkretë e të vdekurëvet te varret i dha gjellën e vërtetë» (Cristo è risorto dai morti, con la morte ha calpestato la morte e a quanti giacevano nei sepolcri ha donato la vita). Tradizioni e folclore Istituzioni, enti e associazioni A Piana degli Albanesi, centro più importante degli albanesi di Sicilia, hanno sede molte istituzioni relative all'aspetto culturale arbëreshë. Sin dal XVII secolo uomini e istituzioni hanno operato per la tutela e la valorizzazione del proprio patrimonio culturale. Era la intellighentia arbëreshe rappresentata dai protagonisti della vita culturale e politica: papàdes, intellettuali e studiosi che in prima persona attraverso le istituzioni hanno proferito il loro impegno per la conservazione del patrimonio linguistico, etnico e religioso. Incisivo ed esemplare è stato il contributo delle istituzioni ecclesiastiche per il mantenimento e il rafforzamento dell'identità, in primo luogo il Seminario diocesano, attuale sede dell'Episcopio. Per quanto riguarda la sanità, nel 1668 venne fatto edificare l'Ospedale lungo il corso principale. Nel 1716 fu fondato l'Oratorio per l'educazione dei sacerdoti celibi di rito greco, ed il Collegio di Maria nel 1733, per la formazione delle giovani donne arbëreshe. Nel 1879 venne fondato a Palermo il Convitto universitario italo-albanese "F. Soluto", dal nome del benefattore di Piana degli Albanesi, per agevolare i giovani studiosi provenienti dalle comunità albanesi di Sicilia. L'Eparchia di Piana degli Albanesi è stata ufficialmente designata nel 1937. Tra il XX e il XIX secolo, segno di una più matura coscienza dell'identità, sono fiorite istituzioni a carattere scientifico-didattico, che hanno diffuso la cultura arbëreshe in ambito extra-territoriale: il Comitato italo-albanese (fine Ottocento), la Lega italo-albanese (1921) e il Centro Internazionale di studi albanesi R. Petrotta (1948). Promosse dalla Cattedra di Lingua e letteratura albanese dell'Università di Palermo sono state importanti divulgazioni scientifiche. L'approfondimento della cultura albanese e l'esigenza di preservarla è merito del grande impulso delle sedi culturali presenti nel territorio: le istituzioni scolastiche e la Biblioteca comunale Giuseppe Schirò. Altre istituzioni ed espressioni culturali, pubbliche e private, salvaguardano il patrimonio avito: il Museo civico etno-antropologico Nicola Barbato, l'Associazione teatrale Ansambli i Teatrit Popullor Arbëresh, lAssociazione musicale Dhëndurët e Arbërit, la Cooperativa Bar i Sheshit, lAkademia e Muzikës Arbëreshe, lAssociazione culturale Fjala e re, lAssociazione creativa Luleari, lAssociacione culturale Mondo Albanese, lAssociazione turistica Pro Loco Piana degli Albanesi. Cultura Istruzione Biblioteche La Biblioteca Comunale "Giuseppe Schirò" (Biblioteka e Bashkisë "Zef Skiroi") di Piana degli Albanesi, intitolata al poeta e letterato arbëreshë, ha sede presso l'ex sede municipale sita in pieno centro storico, nella piazza principale. Dispone di un fondo librario di oltre 30.000 titoli, cui si aggiungono 1.500 unità di materiale audiovisivo. Per valorizzare il patrimonio etnico e linguistico e specifici aspetti della storia e della cultura locale è stata creata una sezione speciale sulla cultura albanese. Si è dedicata una particolare attenzione alla valorizzazione e all'incremento delle pubblicazioni in lingua arbëreshe e in generale verso tutte le opere sulle minoranze etno-linguistiche. Presso la sede dell'Episcopio dell'Eparchia di Piana degli Albanesi è ospitata l'importante biblioteca con antichi libri manoscritti e materiale a stampa, dai secoli XVI-XVII al secolo XX (prima metà). La Biblioteca riunisce in sé importanti fondi librari: quello del Seminario Italo-Albanese di Palermo, quello dell'Episcopio, quello dell'Oratorio dei Padri di rito greco, il Ricovero degli agricoltori invalidi (te Patret), la biblioteca della Cattedrale di San Demetrio M. e altre ancora. Si tratta di un rilevante complesso librario, superiore certamente a 10.000 titoli. Il Fondo contiene anche un imprecisato, ma rilevante numero di cinquecentine e secentine, nonché settecentine, oltre agli ulteriori volumi dei secoli XX-XXI. Il Seminario è, inoltre, la sede dell'Archivio storico diocesano, che comprende anche la parte superstite dell'Archivio storico del Comune andato distrutto da un incendio nei primi anni '50. La sede suddetta è utilizzata solo come luogo di conservazione e di consultazione, non di prestito, infatti, occorre precisare che la Biblioteca per motivi rigorosamente statutari si rivolge tendenzialmente ad un pubblico di utenti specializzati o comunque ad un pubblico di studiosi intenti nella ricerca scientifica. Arte A Piana degli Albanesi sono presenti opere d'arte appartenenti alla spiritualità della tradizione bizantina fin dagli inizi del secolo XVII. Le icone di Piana degli Albanesi sono patrimonio e tesoro dell’arte e della spiritualità bizantina, che influenzarono la Sicilia nei secoli scorsi. Esse possono essere ammirate nelle molteplici chiese di Piana degli Albanesi e sono in maggior parte di scuola cretese e siculo-albanese, a cui si aggiungono quelli più moderni in gusto bizantino di scuola locale, greca-cretese (Manusakis) e albanese (Droboniku). Nella Chiesa di San Nicola di Mira si conserva una preziosa iconostasi con il San Nicola in cattedra, la serie dei Padri della Chiesa Ortodossa e il Cristo sommo sacerdote e re dei re, opera dell'iconografo Joannikios, con altre icone elevate alla monumentalità di singolare potenza e caratterizzazione. A Piana degli Albanesi si possono ammirare antiche icone di almeno tre altri illustri iconografi: il Maestro dei Ravdà, il Maestro di S. Andrea e il Maestro della Deesis. Tuttavia essi non sono i soli iconografi, esistono icone firmate da Caterina di Candia e altre di cui si ignora l’autore, tutte corrispondenti alla tradizionale corrente bizantina. A questa si ricollegano gli iconografi albanesi locali del secolo XX (Papàs Marku Sirchia, Zef Barone, Tanina Cuccia, Spiridione Marino, Sonia Vaglica, Vita Masi, ecc.) le cui opere si possono osservare in particolare nella Cattedrale di San Demetrio Megalomartire, nella chiesa di San Giorgio Megalomartire, Maria SS. Odigitria, Ss.ma Annunziata, Madonna del Rosario, Sant'Antonio il Grande e Ss.mo Salvatore (Sklica). Altre ancora sono presenti in mosaico in alcune cappelle dislocate nella cittadina. Gli iconografi contemporanei mantengono viva e continua una tradizione, spirituale oltre che artistica, che ha la forza di riproporre quei valori dell’arte e della fede che non tramontano, essendo espressioni tangibili di una viva realtà ecclesiale e sociale, che l’Eparchia di Piana degli Albanesi rappresenta come "unicum" in Sicilia e in Europa. La produzione d'arte non si limita alle sole icone bizantine, ma è plurima e variegata: tra le tante espressioni artistiche spicca il ricamo dei costumi tradizionali albanesi, patrimonio storico unico della comunità di Piana degli Albanesi. Qualche decennio fa, a cadenza temporale libera, era organizzata la rassegna d'arte Horartistike, a cui partecipano vari artisti locali con in mostra lavori di iconografia, ricamo, mosaico, pittura, scultura, grafica e fotografia. Costume Il costume tradizionale femminile di Piana degli Albanesi, come la lingua e il rito, è uno dei segni più evidenti della diversità culturale arbëreshë, ed è una singolare espressione di autocoscienza locale che manifesta nella volontà di conservare identità e tradizioni. Dal punto di vista storico Piana degli Albanesi è la comunità Arbëreshe più importante di Sicilia e tra le più in rilievo d'Arbëria, d'altronde non si hanno molte notizie specifiche riguardo ai costumi femminili, se nonché documentazioni iconografiche, e notevoli cenni su testi letterali di scrittori locali, sugli scritti dei Grand Tour in Italia e dagli studi del Pitrè, che ne riportano l'esistenza plurisecolare. Vi sono diverse testimonianze artistiche sugli abiti dei greco-albanesi di Piana degli Albanesi, tra cui molto preziose le stampe di Vuillier, del XVIII secolo, le pitture e gli schizzi di Ettore De Maria Bergler e i ritratti di Antonietta Raphaël, in parte conservate alla Galleria d'Arte del complesso monumentale di Sant'Anna a Palermo, e altre stampe private, acquarelli e cartoline di autori sconosciuti. Entrambe le prime, insieme con le ulteriori differenti e illimitate raffigurazioni, ritraggono e testimoniano l'incomparabilità del costume di Piana degli Albanesi. In oltre cinque secoli di permanenza degli arbëreshe il costume tradizionale femminile ha mantenuto l'aspetto costitutivo orientale bizantino, che emerge dall'uso dei colori accesi, dall'ampio drappeggio, dalle maniche lunghe e larghe, e dalle stoffe preziose ricamate di seta, oro e argento, ma probabilmente ha subito piccole trasformazioni con influssi nei secoli succedutisi; rendendolo così un abito raro e unico. Gli abiti tradizionali, legati ai vari momenti della vita delle donne, dalla quotidianità al matrimonio, scandivano i ritmi della tradizione sociale del passato. Tramandati di madre in figlia e conservati gelosamente, non sono più abiti, ma costumi, e sono strumenti di identificazione che assolvono quasi esclusivamente a funzioni simboliche circoscritte ad alcune occasioni. La perdita progressiva di questo legame ebbe inizio dagli anni quaranta, quando nel dopo guerra si introdussero in Europa nuovi vestiti pratici e leggeri. Negli anni cinquanta e anni sessanta cadde in semidisuso l'abito di mezza festa e l'abito giornaliero. Ma gli sfarzosi ed eleganti abiti, hanno conservato intatta la propria specificità, e sono indossati in occasioni particolari, quali battesimi (pagëzime), l'Epifania (Ujët të Pagëzuam), e soprattutto per le grandi festività della Settimana Santa (Java e Madhe), della Pasqua (Pashkët) e del matrimonio (martesë), ed in altre cerimonie religiose e festive, continuando ad essere preservati meticolosamente dalle donne di Piana degli Albanesi. I costumi femminili indossati dalle donne di Piana degli Albanesi, per la finezza e il pregio dei loro ricami in oro e del loro tessuto, sono un particolare elemento di folklore e richiamano l'ammirazione dei turisti che, specialmente in occasione delle grandi feste, visitano la cittadina. Il massimo esempio di bellezza è il costume nuziale, che rende particolare e prezioso l'evento religioso di rito bizantino. Unici nel loro genere, gli abiti da sposa sono composti da una gonna e corpetto di seta rossa con ricami floreali in oro e separati da una assai ammirata cintura di argento (brezi), in genere del peso di più di un chilogrammo, costituita da varie maglie lavorate del prezioso metallo, con al centro, scolpita in rilievo, una figura di un Santo orientale venerato, comunemente San Giorgio, San Demetrio o Maria Odigitria; sul capo il velo (sqepi) e il copricapo (keza), simbolo del nuovo status. Sotto la cintura e sul capo, infine, un fiocco (shkoka) verde con ricami interamente in oro, a quattro e a tre petali. La qualità della produzione, quasi ininterrotta, dei costumi, si deve alla grande abilità artigianale delle ricamatrici arbëreshe specialiste nel ricamare l'oro e nel trasformare la seta (mola), il velluto e l'oro (in fili, in lenticciole e in canatiglie) in raffinati e preziosi abiti, usando il tombolo o il telaio o semplicemente l'ago, come si fa per la ricciatura a nido d'api della maniche della camicia e per i merletti a punto ad ago. Anche le attività lavorative correlate hanno un rilievo molto importante e offrono un illuminante spaccato socio-economico. L'impiego di manodopera quasi esclusivamente femminile rinvia, infatti, ad una divisione del lavoro, nella società e nella famiglia, di tipo tradizionale, e le donne, avviate a questa attività sin dall'infanzia, gradualmente raggiungevano una perizia tecnica che consentiva loro di provvedere direttamente alla preparazione del corredo. La gran parte della produzione dei manufatti è dovuta storicamente a questo artigianato domestico che, pur basato su canoni di pura riproduzione dei motivi, ha raggiunto livelli artistico-estetici spesso ragguardevoli con il concorso del gusto personale delle operatrici, la cui formazione non si esauriva nell'ambito familiare ma, specialmente dal secolo XVIII, ha potuto beneficiare di una vera e propria scuola di ricamo quale era a quel tempo il Collegio di Maria di Piana degli Albanesi, dove ancora oggi esiste un'esposizione permanente di quei ricami. Vere e proprie opere d'arte, i costumi ed i gioielli propri della tradizione arbëreshë sono un patrimonio inestimabile da tramandare, mantenere e custodire con cura. Alcuni, inoltre, sono esposti nella sezione di cultura arbëreshë ad essi dedicata nel Museo civico etnoantropologico "Nicola Barbato". Il costume tradizionale femminile di Piana degli Albanesi ha nel tempo suscitato ammirazione e consenso. Nel concorso indetto a Venezia nel 1928, al quale presero parte gruppi in costume da tutte le regioni d'Italia, al gruppo di Piana degli Albanesi venne assegnato il primo premio, essendo stato riconosciuto il loro abito tradizionale, tra tutti i quelli regionali, il più sontuoso, ricco per disegno, stoffa e colori. Musica La musica e i canti di Piana degli Albanesi sono profondamente legati alla tradizione religiosa. Il repertorio di canti sacri, in greco ed in albanese, impiegati all'interno del complesso e articolato anno liturgico, è molto ampio. Le Liturgie settimanali, festive e le diverse Ufficiature sono sempre adornate da un incessante flusso di melodie. I moduli poetico-musicali sono quelli dell'innografia bizantina; il sistema museale del repertorio liturgico è di tipo modale e ricalca la teoria bizantina dell'oktòichos. Accanto a queste composizioni, di prevalente origine colta, esistono anche altre testimonianze di carattere profano, fortemente influenzate, peraltro, dalle tradizioni musicali autoctone d'origine, possiede infatti un vasto numero di canti popolari, patrimoni ancora oggi ben vivi e fiorenti. La trasmissione dei canti avviene, ancora oggi, quasi interamente mediante tradizione orale. Per il loro rilevante valore documentario vanno tuttavia menzionate anche le molte testimonianze manoscritte su pentagramma, redatte, a partire dagli inizi del Novecento sino a tempi a noi più prossimi, da sacerdoti o monaci con l'intento di salvaguardare l'integrità della tradizione sacra. La trasmissione orale dei canti consente ai fedeli, per lo più in difetto di conoscenze musicali tecniche, di appropriarsi di un patrimonio che, secondo le occasioni, provoca atmosfere di grande suggestione psicologica e di profonda adesione spirituale. La tradizione musicale liturgica è, quindi, anche espressione di processi di autoidentificazione che rinforzano il senso di appartenenza alla comunità. La musica bizantina, assieme alla lingua, al rito, al costume, alle icone, costituisce dunque un essenziale tassello per la ricostruzione di quel mosaico di peculiarità che conferisce agli Arbëreshë di Sicilia un'identità culturale solida e vitale. Le espressioni musicali di questa importante minoranza etno-linguistica albanese, con le altre forme di manifestazione e comunicazione, rappresentano un modo di sentire e di essere del determinato gruppo sociale arbëreshë. I canti bizantini di Piana degli Albanesi fanno parte del Registro delle Eredità Immateriali di Sicilia e sono patrimonio dell'Unesco. Le musiche e i canti liturgici bizantini di Piana degli Albanesi, che esprimono un senso di continuità religiosa dai tempi più antichi e rappresentano uno degli elementi essenziali dell'identità culturale del territorio e della sua comunità, sono tra i saperi da tutelare e tramandare. Gli inni della tradizione bizantina sono eseguiti nelle celebrazioni dai papàdes e da tutto il popolo partecipante, e, solo raramente, e in contesti scelti, si propongono in concerto dalla storica "Corale di San Demetrio" e dal "Coro dei Papàs di Piana degli Albanesi"; mentre i canti popolari, dal gruppo folkloristico "Dhëndurët e Arbërit". Quest'ultimo, che si esibisce in pubblico nel tradizionale costume albanese e formato da una quindicina di elementi, riporta in vita i canti antichi della tradizione albanese con melodie adattate al canto corale e accompagnate dagli strumenti tradizionali. Il "Coro dei Papàs di Piana degli Albanesi" si propone di far conoscere il repertorio liturgico bizantino della chiesa di rito greco in Sicilia. Non si tratta di un coro professionale: ne fanno parte generalmente quattro sacerdoti e un diacono, che eseguono abitualmente i canti dell'antica tradizione, di cui sono fra i riconosciuti depositari, durante le Ufficiature e le Liturgie. Fra le tante eredità, i canti più diffusi sono: Kostantini i vogëlith, Christòs Anèsti, Lazëri, Epi si Chieri, Vajtimet, Simeron Kremate, U të dua mirë, O Zonjë e Parrajsit, Te parkales, Një lule u deja t'isha, Kopile moj kopile, Muaji i mait, Ju lule te këtij sheshi, Trëndafili i Shkëmbit, Lule Borë, Malli çë kam për tij, Përçë ti rron, Perëndesh' e Bukuris, Kur të pash të parën herë, Për Mëmëdhenë, Shkova ka dera jote, ecc. I canti più emblematici, uno religioso e l'altro profano, rimangono O mburonjë e Shqipërisë e O e bukura Moré. Il primo canto, composto dal poeta italo-albanese Giuseppe Schirò, invoca la protezione della Madonna dell'Odigitria sugli arbëreshë e sull'Albania. Divenuto un celebre canto della comunità di Piana degli Albanesi, viene intonato ancora oggi in occasione delle feste religiose più significative. Il canto è eseguito su una melodia in tonalità maggiore con tempo 4/4. Il secondo canto, la cui composizione si suole far risalire al tempo della diaspora albanese del XV secolo, è autenticamente popolare, comune a tutti gli arbëreshë d'Italia in diverse varianti locali. In pochi versi, con toni molto lenti e struggenti, vi si esprime il dramma ed il dolore di chi è costretto ad abbandonare, cacciato dall'odio e dalla violenza, patria ed affetti. Cucina La gastronomia arbëreshe, anch'esso patrimonio importante delle testimonianze artistico-culturali, propone piatti e dolci tipici della tradizione siculo-albanese. Ma, pur con questa mescolanza di ingredienti, si può constatare la presenza di elementi derivanti dal paese originario d'oltre mare. La cucina albanese è molto semplice ma saporita per gli aromi utilizzati nei piatti. Ricco di valori e sapori, legato alla cultura del popolo, il cibo, con le sue ritualità ed i suoi codici simbolici, costituisce un elemento di identificazione socio-culturale. Il processo di lavorazione per ottenere questi prodotti è quasi un rito, che da tempi antichi si è tramandato di padre in figlio, fino ai giorni nostri. Una panoramica completa dei prodotti tipici, in particolar modo dei dolci (të t'ëmblat), si ha per Pasqua, quando tutte le tradizioni greco-albanesi ritrovano la loro splendida forma. Tra i vari tipici prodotti gastronomici si possono menzionare: Bukë (Pane) Il pane di Piana degli Albanesi è molto rinomato. Preparato con farina di grani duri locali, è di forma rotonda. Lievitato con metodi naturali, viene cotto ancora negli antichi forni a legna e lavorato secondo gli antichi usi, per ottenere una pagnotta da un 1 kg o da mezzo chilo, tipica della zona. Può essere consumato ancora caldo con il caratteristico olio d'oliva (vaj ulliri) dall'aroma leggermente piccante e pastoso al palato, insieme a del genuino pecorino. Strangujët (Gnocchi) Gli Strangujët sono tipici della cucina arbëreshë. Sono gnocchi di farina fatti a mano, conditi con pomodoro (lëng) e molto basilico, abitualmente benedette. Tradizionalmente questo piatto era consumato dalle famiglie sedute attorno a uno spianatoio di legno (zbrilla), il 14 settembre, giorno in cui si commemora l'esaltazione della Santa Croce, dove in tutte le chiese si svolge una particolare cerimonia religiosa davanti a un piccolo altare su cui viene posta una croce attorno alla quale sono sistemati dei rametti di basilico che alla fine della cerimonia sono distribuiti ai fedeli. Likënkë (Salsiccia) Dai numerosi allevamenti locali provengono carni di qualità riconosciuta, fra le quali si annovera la prelibata salsiccia di maiale. Condita con sale, pepe e seme di finocchio (farë mbrai), è esaltata da un contorno di cavoletti selvatici (llapsana) fritti con aglio e olio. Verdhët Durante la Pasqua viene preparata una sorta di torta con uova, ricotta di pecora e, precedentemente lessati, steli di finocchio selvatico. Grosha o Groshët Zuppa di legumi e verdure varie, a base di fave, ceci secchi, lenticchie e fagioli. Kanojët (Cannoli) Unici per dimensioni, consistenza della pasta e qualità della ricotta, i cannoli sono i dolci più noti di Piana degli Albanesi, motivo di forte richiamo turistico. Non originario dell'Albania, ma modificato e reso unico dagli albanesi, il suo segreto culinario è riposto negli antichi metodi di lavorazione della cialda (shkorça), la cui ricetta tutt'oggi viene rigorosamente tenuta segreta dai pasticceri locali, e negli altri ingredienti quali la farina (miell), il vino (verë), lo strutto e il sale (kripa). Dopo una serie di passaggi esclusivi dei pasticceri locali, per condire questo dolce viene impiegata l'ottima ricotta passata, che proviene dai numerosi allevamenti ovini del luogo; infine sarà anche la bravura dei pasticceri a rendere unica questa prelibatezza. Milanisë Tradizionalmente consumato il giorno di San Giuseppe e del Venerdì Santo (E Prëmtja e Madhe), è una prelibata variante di un piatto siciliano celeberrimo: la pasta con finocchio selvatico, sarde e pinoli. La variante arbëreshe prevede come condimento base l'estratto di pomodoro. Grurët (Cuccìa) Piatto di grano bollito condito con olio d'oliva, che la tradizione impone di mangiare il 13 dicembre, giorno di Santa Lucia (Shën Lluçia). Una variante attuale di quest'ultimo piatto prevede l'uso del latte zuccherato o della ricotta setacciata con scaglie di cioccolato, buccia d'arancia e mandorle tritate. Vetë të kuqe (Uova rosse) Cariche di simboli che richiamano la vita, la fertilità e la Resurrezione, le uova rosse, preparate per il Sabato Santo, sono mangiate dopo mezzogiorno, quando le campane riprendono a suonare mentre il profumo d'incenso inonda le case. Sono utilizzate anche per abbellire Panaret (Pani di Pasqua), e vengono distribuite ai fedeli e ai turisti la Domenica di Pasqua dopo la sfilata delle donne in costume tradizionale albanese e la benedizione (bekimi). È una tradizione orientale del rito greco-bizantino e di tutte le famiglie arbëreshë di Piana degli Albanesi preparare le uova rosse (in albanese vetë të kuqe, in greco kokina avga) per festeggiare la Pasqua. In tutte le case, per grande gioia dei bambini, le uova vengono bollite nell'acqua con l'aggiunta del colorante rosso, e dell'aceto (50 gr per ogni 5 lt di acqua), che funge da fissativo per il colore. Finita la bollitura e quando le uova si rassodano e sono ben asciutte vengono ripassate con un batuffolo di cotone inumidito con dell'olio di oliva, quest'ultimo passaggio serve per rendere ogni uovo lucido e bello. Una volta le donne usavano la cipolla rossa o la barbabietola per tingerle. Panaret (Pani di Pasqua) Dolce tipico di Piana degli Albanesi, a forma di cesto con manico di pasta frolla, decorata anche con piccoli fiori, uccellini e al centro le tipiche uova rosse, simbolo di fecondità e di rinascita. Le donne arbëreshe preparano i pani ancora oggi durante la Settimana Santa, e in genere vengono regalati ai bambini i quali, per mangiarlo aspettano con ansia il mezzogiorno del Sabato Santo (E Shtunia e Madhe). Anticamente il dolce veniva portato in chiesa per essere benedetto durante la cerimonia che si svolgeva nella Cattedrale di San Demetrio Megalomartire. Loshkat e petullat Dolci a forma sferica o schiacciata, di pasta lievitata, fritta e zuccherata. Le Loshkat sono frittelle a forma di palline, ottenute dall'impasto di acqua, latte, farina e pasta lievitante (farina inacidita col caglio) fritte e servite calde, addolcite con zucchero, cannella e vaniglia. Sono dolci del periodo di Carnevale (Kalivari); tradizionalmente per i cannoli si aspettava il Natale e il periodo seguente. Dorëzët Come spaghetti di semola molto sottili, cotti e mangiati il giorno dell'Ascensione. Të plotë (Buccellati) Simili ai buccellati, sono dolci ripieni di marmellata di fico dalle forme più svariate. Dolci tradizionali a forma sferica o schiacciata di pasta lievitata, fritta e zuccherata. Si consumano alla vigilia del martedì grasso di Carnevale. Udhose e gjizë (Formaggi e ricotte) Richiedono un'attenzione particolare i prodotti del settore caseario, soprattutto quelli ottenuti dalla lavorazione con metodi tradizionali del latte di pecora. Di diversi tipi e forme, formaggi e ricotte sono prodotti noti provenienti da numerosi allevamenti locali. Dal latte di pecora gli allevatori di Piana degli Albanesi ottengono prodotti come la ricotta, che è il pezzo forte del settore dolciario locale; il primo sale, dal gusto semisalato, ottimo da mangiare come antipasto o da accompagnare al pane; il pecorino stagionato o "Canestrato", dal sapore piccante e più salato rispetto al primo sale e indicato come antipasto per qualsiasi tipo di pranzo o grattugiato per condire la pasta; e la caciotta, dolce o semisalata. Persone legate a Piana degli Albanesi Luca Matranga (1567-1619), papàs (sacerdote) di rito orientale, autore nel 1592 della Dottrina Cristiana-E Mbsuame e Krështerë, la prima opera in lingua albanese nella storia letteraria degli albanesi in diaspora, e iniziatore nei primi anni del ‘600 della prima scuola nella quale si insegnava in albanese. P. Gjergji Guzzetta (1682-1756), padre Servo di Dio e Apostolo degli Albanesi di Sicilia, si prodigò nella difesa del rito orientale degli albanesi e avviò un profondo processo di rinnovamento s
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