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San Prisco

Luogo: San Prisco (Caserta)
San Prisco è un comune italiano di 12.042 abitanti della provincia di Caserta, Campania. Geografia antropica Sorge alle falde meridionali del monte Tifata (603 m). Il comune, legato urbanisticamente, senza soluzione di continuità, ai comuni di Santa Maria Capua Vetere e Curti, è parte integrante della conurbazione casertana. L'abitato, a nord del quale passa l'A1 (Autostrada del Sole), consta di vari quartieri strutturati a scacchiera, diversamente orientati. Il comune è provvisto di due scuole materne, di due Scuole Elementari, e di una Scuola Media, più una scuola elementare privata. Storia Il territorio di San Prisco, la città dell’antica Capua e i ritrovamenti archeologici San Prisco è da sempre legato alla presenza del monte Tifata, importante elemento della geografia campana, quale testimone dello sviluppo storico, culturale e religioso del territorio capuano. Non è un caso se nelle sue vicinanze, in località Sant’Angelo in Formis, furono ritrovati i primi insediamenti abitativi ricollegabili alla cultura villanoviana, che gli studiosi fanno risalire al IX secolo a.C. Inoltre, il suo territorio era in parte incluso nel circuito delle mura della città di Capua e pertanto seguì per molti secoli le sue stesse vicissitudini. Capua fu fondata fra il XI e VIII a.C. dagli Osci (Opikoi o anche Opici), antico popolo indoeuropeo che, divenuti agricoltori stanziali, fu attratto dalla straordinaria fertilità del suolo e costruì sul territorio campano tanti piccoli insediamenti Tale ipotesi è stata confermata da consistenti ritrovamenti archeologici. Tuttavia, fu con gli Etruschi, popolo più progredito dedito anche all’industria, al commercio e all’artigianato, che Capua ebbe un vero e proprio assetto di città, conoscendo sviluppo e prosperità. Cospicui furono i ritrovamenti etruschi sull’attuale territorio di San Prisco di reperti risalenti al periodo fra il VI e il V secolo a.C. (resti di capanne, frammenti di ceramica vari, mattoni crudi). Di notevole interesse è una fornace a pianta quadrangolare risalente al suddetto periodo. Agli Etruschi subentrarono i Sanniti, popolo italico stanziato nella Campania interna, spinti verso le fertili pianure campane dall’asprezza del loro territorio. Nella località chiamata Ponte di San Prisco, vicino al limite della cinta muraria della Capua antica, furono ritrovati i resti di una necropoli del IV secolo a.C. Nella medesima località negli anni ’70 del XX secolo furono scoperte varie tombe sannitiche, alcune delle quali dipinte. Le tombe erano ricche di vasellame, ornamenti personali, fra cui anche oro. Le pitture e il vasellame erano tipici della tradizione ellenica. Dopo lunghe lotte fra Sanniti e Romani, quest’ultimi ne uscirono vittoriosi e Capua dichiarò la sua fedeltà a Roma, divenendo nella sostanza un possedimento romano. Poco dopo la suddetta vittoria Appio Claudio detto "il Cieco" fece costruire la Via Appia per collegare Capua direttamente a Roma e definita poi da Strazio regina viarum. Sulla cima del monte Tifata possiamo notare i resti dell’antica chiesa di San Nicola, costruita su una struttura antecedente, probabilmente edificata a scopo difensivo perché collocata in una posizione strategica. Questa precedente costruzione potrebbe essere una costruzione difensiva sannitica. Di eccezionale importanza è stato il ritrovamento nel 1997 da parte della Soprintendenza dei Beni Archeologici dell’impianto dell’antico tempio di Giove della città di Capua in San Prisco nella località Costa delle Monache, come sostenuto anche dal Beloch e da autori classici. L’edificio è datato fra il III e il II secolo a.C. Anche in Capua Giove era venerato come la divinità preminente e vi era nell’antica città la Porta Jovis che conduceva, attraverso il territorio di San Prisco, al tempio, denominato anche Capitolium. Dell’alzato dell’edificio non si conserva nulla; esso era impiantato direttamente sulle rocce. Sono stati ritrovati molti resti di lastrine di marmo, tessere bianche (probabilmente appartenenti al pavimento costituito a mosaico) e altri materiali. In epoca romana la zona in cui si era estesa la necropoli sannitica continuò ad essere utilizzata per lo stesso scopo. Infatti, lungo l’attuale viale Trieste furono ritrovati i resti di monumenti sepolcrali di età imperiale e alcune tombe di età repubblicana. L’espressione più monumentale è rappresentata dal mausoleo detto Carceri Vecchie, situato presso l’antica Via Appia; la sua costruzione risale alla prima età imperiale nel I secolo d.C. Sul versante occidentale del monte Tifata sono ancora visibili resti di costruzioni romane di vario tipo: diversi monumenti funerari, ville agricole, cisterne, acquedotti; resti di murature di età tardo-repubblicana in opus reticolatum presso l’ex “tenuta Schiavone”, dove è ancora visibile una tomba rupestre ad edicola. Inoltre, in località Bersaglio vi sono resti di murature appartenenti a cisterne e ville di età romana imperiale. In seguito all’appoggio di Capua ad Annibale, nel corso della seconda guerra punica, Roma punì severamente Capua che capitolò nel 211 a.C. In seguito perse la sua personalità giuridica e fu ridotta a prefettura romana. Il territorio capuano, che prima delle guerre annibaliche era disseminato di villaggi, era stato spopolato dalle devastazioni della guerra. Più tardi i Romani diedero inizio al ripopolamento delle campagne, inviandovi propri coloni e suddividendo la pianura campana con il metodo della centuriazione (centuriatio). La chiesa e il villaggio di San Prisco: i primi documenti Secondo la tradizione S. Prisco, divenuto poi primo vescovo di Capua, era giunto a Capua insieme a San Pietro da Antiochia di Siria, e si era fermato a predicare gli insegnamenti cristiani intorno alla Via Acquaria, chiamata in questo modo perché Augusto l’aveva fatta costruire per far giungere a Capua l’acqua Julia che sorgeva ai piedi del Taburno, nei pressi di Sant'Agata de' Goti. Sempre secondo la tradizione, una certa Matrona ritrovò lungo la Via Acquaria le ossa del primo vescovo Prisco e successivamente si rivolse al Papa, probabilmente attraverso il vescovo Rufino (di nazione siriaca, forse anch’egli di Antiochia), ed ottenne il permesso di costruire una chiesa in onore di San Prisco. La fondazione della chiesa arcipretale è stata oggetto di numerosi studi e di diverse interpretazioni. Secondo gli storici Michele Monaco e Francesco Granata, risalirebbe all'anno 506, come attesta anche un'iscrizione ritrovata nel luogo. Altre interpretazioni indicano il V secolo sotto i vescovi Simmaco o Prisco II. La chiesa e il villaggio di San Prisco sono citati in una pergamena longobarda del 1020 insieme alle località at pratu e la chiesa di Sant’Agosto. In due pergamene del Capitolo capuano compare nuovamente la denominazione di San Prisco e quello di sue località negli anni 1232 (Triuzulu) e 1236 (lu Carpinitu). In un altro documento del Capitolo del 1286 compare la località Orta, nell’alienazione di una terra a «Nicolaus de Sancto Prisco, filius q[uondam] Iacobi de Gregorio». La chiesa parrocchiale di San Prisco è citata ancora nelle pergamene capuane nel 1236; la ritroviamo poi in una pergamena del 1286. In una pergamena del 1260 del Capitolo capuano troviamo l’indicazione della località Campo di Pariete [oggi Parito] nella “Villa S. Prisci”. Essa è riportata nell'elenco delle chiese che pagarono la decima negli anni dal 1308 al 1310 e citata nel 1326 e nel 1327 retta dal cappellano Jacobo. In altri documenti capuani ritroviamo la concessione in enfiteusi di terreni nella località Orta a diversi abitanti di Santo Prisco negli anni 1440, 1462, 1466, 1510 e 1554 da parte del Monastero capuano di S. Maria di Monte Vergine e altri proprietari. In seguito San Prisco fu uno dei più importanti casali della città di Capua fino all'epoca moderna, insieme a Santa Maria Maggiore (l’attuale Santa Maria Capua Vetere) e Marcianise, sia per numero di abitanti, sia per importanza storico-religiosa. Fra le chiese che pagarono la “decima” nell’anno 1529 ritroviamo la chiesa di S. Agata sita sul monte Tifata; ciò è riportato in un manoscritto attribuito a Michele Monaco. La chiesa è fatta risalire al XIII secolo. Infatti, secondo il Monaco il monte Tifata, appena dopo la diffusione del Cristianesimo, fu dedicato prima a S. Agata vergine e poi a S. Nicola, che in modo particolare aveva combattuto il culto, le immagini e i templi dedicati alla dea Diana. La chiesa di S. Agata pertanto è sicuramente la chiesa di S. Nicola che ritroviamo ancora come luogo di culto nella seconda metà del Settecento. Nel 1523 il casale di Santo Prisco contava 55 fuochi, unità abitative coincidenti con la famiglia allargata, con circa 294 abitanti. Le maggiori famiglie erano: Cerbo, Calabrese, Fonicello, de Monaco, Palmiero (o Palmeris), Casertano, de Caprio, Baya, Galluczo, Pellegrino, Russo, mastro Janne [Iannotta], de Ruccho, Mongion [Mingione], Consiglyo, Salem [Salemme]. Nella seconda metà degli anni ’40 del Cinquecento si diffuse in diversi casali capuani un movimento religioso di influsso calvinista, che diede vita a delle vere e proprie comunità eterodosse con caratteristiche originali rispetto agli altri esempi conosciuti nella penisola. Centro propulsore di questo movimento fu Santa Maria di Capua e propugnatore delle idee riformate in Napoli e in Terra di Lavoro fu Lorenzo Romano, agostiniano apostata proveniente da Messina, che soggiornò a lungo a Napoli, in Caserta e in diversi casali di Terra di Lavoro. Altre figure locali furono i casertani Giovan Francesco Alois e Simone Fiorillo, Giovan Berardino Gargano, Apollonio Merenda (cappellano dell’arcivescovo capuano Arcella), Leucio Gazillo, Lorenzo Lasco ed Ettore Diamante. I capi della setta capuana, confessati dagli stessi inquisiti, erano: don Ursino e don Vincenzo de Rocchia, due predicatori locali, don Masello e don Francesco Pascale, il canonico della cattedrale di Santa Maria Maggiore Pietro Antonio Cirillo, il notaio Giovan Bernardino Ventreglia e don Lorenzo de Antinoro, altro predicatore capuano. Si trattava di un gruppo appartenente alla classe media, formato da medi e piccoli possidenti, notai e sacerdoti. La restante parte del gruppo religioso dei casali capuani era di bassa estrazione: contadini, piccoli artigiani, “funari”, sarti e muratori. A partire dal 1552 si registrò una massiccia azione repressiva da parte prima del governatore capuano e poi della stessa Curia capuana che, attraverso i processi, i sequestri dei beni degli adepti e l’azione capillare dei parroci, riuscì ad avere ragione sul movimento religioso. Il casale di San Prisco con 31 indagati era quello con maggior numero di inquisiti e fu interessato da un vivace gruppo religioso, legato direttamente ai maggiori esponenti della comunità di Santa Maria di Capua. Ma dopo le prime condanne esemplari di esponenti della comunità di Santa Maria Maggiore e la fuga dei suoi principali rappresentanti (alcuni in casali casertani e altri direttamente a Ginevra), essi cominciarono ad autodenunciarsi spontaneamente per avere condanne più miti e probabilmente per difendere le proprie famiglie e i propri beni. San Prisco compare in un documento capuano del 1556, col quale la città di Capua pagava al Capitolo di S. Benedetto in Capua la somma di 10 ducati e 40 grana per le spese fatte dallo stesso nella causa “ius pascolandi”, che pretendeva tale città di avere nel monte detto S. Marco nelle pertinenze del casale di San Prisco, demaniale di detto Capitolo. L’8 gennaio 1574 nacque in San Prisco Michele Monaco, importante storico della chiesa capuana, ritenuto il precursore della storiografia capuana ecclesiastica e civile, da una distinta famiglia locale. Dopo aver frequentato la scuola di grammatica nel vicino casale di Santa Maria Maggiore entrò nel Seminario di Capua. Nel 1587 la chiesa parrocchiale fu restaurata a spese dell’Università del casale, che decise in tale occasione di introdurre una gabella sulla vendita del pane nel casale per sostenere le spese. I lavori dovettero essere consistenti perché nel 1592 gli eletti dell’Università (Giovan Paolo Palmiero e Santo di Monaco) chiesero nuovamente l’assenso reale e il beneplacito per prorogare l’esazione della gabella e far fronte ai regi pagamenti fiscali, agli altri pesi e ai debiti contratti dall’Università. Nel 1592 il Monaco fu inviato, a spese del cardinale Cesare Costa, a Roma per studiare presso il Collegio Romano retto dai Gesuiti. Il grande sviluppo di San Prisco fra Seicento e Settecento Michele Monaco fu cappellano e predicatore del monastero di S. Giovanni delle Monache; esaminatore sinodale, canonico della cattedrale, rettore del Seminario e rettore del chiesa dei SS. Rufo e Carponio. Nel 1604 divenne confessore e direttore spirituale del suddetto monastero fino alla morte, avvenuta il 6 agosto 1644. Egli partecipò attivamente alla vita culturale che interessava la città di Capua e fu un membro dell’Accademia dei Rapiti, fondata dal suo amico Camillo Pellegrino senior. Inoltre, per i suoi interessi eruditi fu in corrispondenza con gli storici di altre Chiese del Mezzogiorno, quali il Beatillo, il Caracciolo, il Chioccarelli, l’arcidiacono Vipera di Benevento, nonché con l’Ughelli. Secondo lo storico Scipione Mazzella, all'inizio del XVII secolo San Prisco, casale della città di Capua, era formato da 134 fuochi, con circa 800 abitanti. Nell’anno 1603 furono necessari nuovi urgenti lavori alla chiesa parrocchiale e l’Università fu costretta a continuare ad esigere la gabella sulla vendita del pane per sostenere le urgenti riparazioni. I cittadini si erano lamentati di non riuscire più ad udire la messa, «né sentire le prediche, e li sermoni». Nel 1614 in San Prisco si costruiva la fabbrica del monastero di S. Maria di Loreto ad opera dei Gesuiti. Successivamente fu edificata una Cappella di S. Maria di Loreto per libera collazione sotto l’impulso degli stessi Gesuiti. Nell’anno 1616 l’Università di Santo Prisco, rappresentata dagli eletti Vincenzo d’Angelo e Pietro Russo, chiese il regio assenso sopra la continuazione della “gabella grande”, che l’Università aveva introdotto sul grano, orzo, legumi ed altre vettovaglie, per far fronte alle spese fatte per la campana e altri lavori della chiesa parrocchiale. Nel gennaio 1620 il monastero e la chiesa di S. Maria di Loreto erano ancora in costruzione. Lo testimonia una donazione di un cittadino alla fabbrica della chiesa e del Monastero. Nel settembre del 1621 Cesare Boccardo, rettore della chiesa parrocchiale di San Prisco, dichiarò che in un editto per le parrocchie e religiosi della diocesi capuana, nell’elenco delle festività era stata inserita anche quella della Madonna di Loreto in San Prisco. Secondo lo storico Francesco Granata la Cappella di S. Maria di Loreto fu soppressa nel 1655 assieme al convento degli stessi frati ed entrò a far parte dei beni della chiesa parrocchiale. In seguito, con il dispaccio reale del 26 marzo del 1751, la cappella divenne "laicale", retta e amministrata da economi laici. Il 26 maggio del 1629 il Monaco fece il suo primo testamento presso il notaio capuano Francesco De Angelis, dichiarando suoi eredi universali i nipoti, figli delle sorelle Cara e Adriana. Nel 1630 fu pubblicato il Sanctuarium Capuanum presso l’editore napoletano Ottavio Beltrano. Nel 1637 fu data alle stampe la Recognitio Sanctuarii Capuani presso la tipografia di Roberto Mollo di Napoli. Nel marzo del 1637 l’Università di San Prisco comprò un terreno nel luogo detto alla Cappella (l’attuale Via Costantinopoli), per la costruzione di un’altra chiesa per comodità del popolo. L’Università era rappresentata dagli eletti Giovan Pietro di Monaco e Ferdinando d’Angelo. Le motivazioni addotte dall’Università erano quelle di consentire di assistere la messa a persone vecchie, malsane, donne ed altri per la distanza della chiesa parrocchiale del Casale e la loro maggiore comodità. Il 18 marzo del 1643 Michele Monaco fece un nuovo testamento nel quale istituiva quale erede universale il monastero delle Monache di S. Giovanni di Capua, nel nome della badessa protempore, al quale aveva dedicato moltissima parte della sua vita. Il Monaco morì il 26 agosto 1644 alle ore 17.00 secondo quanto affermato dal nipote Silvestro Ajossa. Nella numerazione della città di Capua e dei suoi casali, realizzata nell'anno 1665, si riportava che il numero dei fuochi di San Prisco era 293. Pertanto i fuochi erano più del doppio di quelli riportati all'inizio del secolo dal Mazzella. Possiamo ipotizzare che i suoi abitanti fossero circa 1758. L'8 settembre del 1694, poco dopo l'eruzione del Vesuvio, accadde un terremoto disastroso che provocò gravi danni a molte città della Campania, della Basilicata e della Calabria; tra queste vi erano anche Santa Maria di Capua e Capua. Quasi sicuramente anche San Prisco subì consistenti danni. Nel 1714 il numero dei fuochi di San Prisco era 294, rimanendo abbastanza stabili rispetto al dato registrato nel 1665; ma nel 1741 i fuochi diminuirono sensibilmente a 224. Nella relazione della visita pastorale del 19 marzo 1742 l'arcivescovo Antonio Manerba, oltre alla descrizione della chiesa parrocchiale, con i suoi altari e le sue cappelle, fu eseguita anche una descrizione dei lavori di cui la chiesa aveva bisogno, tra cui erano ritenuti indispensabili alcuni accomodi al tetto. Dal Catasto Onciario del 1754 sappiamo che gli abitanti dell’Università di Santo Prisco erano 1810. Essi erano impegnati soprattutto in attività agricole e in attività correlate ad essa; tuttavia vi erano diversi benestanti che avevano diversi capitali investiti nel commercio di vari generi alimentari (grano, granoturco, lino, canapa, ecc.) o in altre attività, come quello del prestito di capitali ad interesse. Le famiglie più importanti erano: Monaco, d’Angelo, de Angelis, Palmiero, Baja, Cipriano, Stellato, Iannotta, Foninciello, Ajossa, d’Urso, Merola e Pellegrino. Il 27 novembre del 1757 l'Università di San Prisco stabilì in "pubblico parlamento" il rifacimento della chiesa parrocchiale; in tale occasione fu determinato di coprire le spese con l’esazione della gabella sul vino. Poco dopo furono commissionati i disegni dell'opera al regio "ingegnere" Pietro Lionti della città di Napoli. I lavori furono affidati ad Antonio Tramunto di Santa Maria Maggiore ed Andrea Rubino, di Capua, ma abitante in San Prisco, che si associarono per far fronte agli enormi lavori. Nel settembre 1762 l'Università deliberò di aggiungere altri 200 ducati per i lavori di completamento della suddetta opera. Nell’occasione fu stabilito di prelevarli dall'affitto della "Gabella Grande". La volta e l'abside della chiesa parrocchiale erano decorate, almeno fino al 1762, con mosaici molto antichi, forse del V secolo. A nulla valsero le appassionate proteste del canonico Alessio Simmaco Mazzocchi, certamente consapevole dell'importanza storica e del notevole valore artistico di quei mosaici dell'antica basilica. Tuttavia, nonostante le proteste, non si riuscì ad evitarne lo scempio. Durante i lavori alla chiesa parrocchiale il campanile si lesionò poiché era attaccato ad essa; quindi fu necessario nel periodo 1762-63 costruirne uno nuovo un po’ più staccato dalla sua struttura. Nel 1773 l’Università invitò l’ingegner Lionti a compiere la “misura e l’apprezzo” dei lavori effettuati dagli appaltatori della chiesa parrocchiale. La stima dei lavori ascendeva a 4860,15 ducati. Le spese fatte per la fabbrica della chiesa andarono oltre ogni previsione. Rimanevano da fare ancora tutti i lavori di completamento: pavimento, porta maggiore, vetrate, organo, pulpito, ecc.. Dopo un’aspra e lunga lite anche il parroco e il cappellano curato furono obbligati a contribuire alle spese. Molte delle maestranze che vi lavorarono erano napoletane e si aggiudicarono i lavori grazie all’ingegner Leonti. L’altare maggiore e due credenze di marmo furono eseguite da Antonio di Lucca, importante “marmoraro” e scultore di Napoli. La pavimentazione fu fatta da Pasquale Daniele, “maestro reggiolaro” di Napoli. Il nuovo organo fu costruito da Fabrizio Cimino “maestro organaro” napoletano. Nel maggio 1776 l’Università acquistò un camerino in località lo Trivice, comprato da don Filippo Mazzocchi e decise di costruirvi una camera inferiore e una superiore con una scala di fabbrica e situarvi l’orologio del casale. Precedentemente l’orologio era situato sul campanile parrocchiale. Gli eletti dell’Università Crescenzo d’Angelo e Giuseppe Fonicello affidarono i lavori a maestranze di San Prisco e di Casapulla. I disegni furono realizzati probabilmente dall’ingegner Lionti, a cui si rivolsero gli eletti negli stessi anni. Negli Stati delle anime del 1788 San Prisco contava 2261 abitanti. Qualche anno più tardi la sua popolazione diminuì nuovamente a 2229 abitanti. Nel mese di gennaio del 1789 L’Università sanprischese stabilì di ristrutturare completamente il Cappellone della Cappella di S. Maria di Costantinopoli per appalto, autorizzando i seguenti lavori: demolizione dell’altare, rifacimento del Cappellone, copertura a tetto con “lamia di fabbrica” e del nuovo altare in stucco, rifacimento del “grado” di pietra travertina e del pavimento di “reggiole”. I lavori furono appaltati da Andrea Rubino del fu Nicola, che per la realizzazione dei lavori si associò a Prisco Baja del fu Francesco di San Prisco. I disegni e la direzione dei lavori furono affidati al magnifico Giovanni Tramunto di Capua. Nel 1796 il numero dei suoi abitanti era 2386. Qualche anno dopo la sua popolazione ascendeva a 2394 abitanti. L’Università di Santo Prisco nel marzo del 1796 decise in “publico parlamento” di far rifare le antiche strade basolate del casale, attraverso l’affitto delle gabelle dell’Università. Giovanni Baja e il notaio Nicola Maria di Monaco furono eletti come deputati perpetui a tali lavori e Prisco Baja come cassiere perpetuo ed inamovibile. I lavori furono appaltati a Giuseppe dell’Aquila di Caserta che si associò con Vincenzo Bruno di San Pietro in Corpo. San Prisco nell’età contemporanea: dalla nascita del Comune al XX secolo All'inizio dell'Ottocento Lorenzo Giustiniani scriveva che il casale di San Prisco era abitato da circa 2400 individui, era situato in pianura ed era di "aria non insalubre"; vi si coltivavano: grano, granone, biada, canapa e lino. Il suo territorio era molto fertile, l'agricoltura era per i suoi abitanti l'attività prevalente; l'artigianato e il commercio, sebbene presenti, erano complementari al settore primario. Nel luglio del 1805 vi fu un fortissimo terremoto, considerato uno dei più catastrofici che abbiano colpito la penisola e conosciuto anche come terremoto di Sant'Anna (26 luglio), che interessò maggiormente le province del Molise e della Campania. In San Prisco ci furono consistenti danni alla chiesa parrocchiale e ad alcuni edifici. In seguito alla legge emanata l’8 agosto 1806 da Giuseppe Bonaparte, San Prisco divenne Comune autonomo. Il primo sindaco fu Francesco de Angelis e fu eletto nel 1807. Il governo del “Decennio francese” tentò di favorire l’istruzione pubblica e invitò il Comune a nominare maestri per i fanciulli e le fanciulle. I prescelti erano in ogni caso religiosi (parroci e monache), ai quali era sempre spettato questo compito, e il Comune dovette farsi carico sia degli stipendi sia dell’affitto di eventuali locali deputati a quest’importantissima attività. In questi anni furono rifatte più volte le strade interne comunali: nel 1812 da Giuseppe Valenziano di San Prisco e nel 1815 da Pascale Conforto di S. Angelo in formis. Nel 1814 furono effettuati consistenti lavori alla chiesa parrocchiale per i danni subiti nel passato terremoto. I terreni del Comune ammontavano a circa 374,63 moggia di diverse tipologie: era prevalente il “mirtillato montuoso”, poi quello “arbustato”, l’”oliveto” e quello “campestre”. Erano presenti due concerie e 5 “trappeti” (detti anche “montani” ovvero frantoi per la macina delle olive). L’abitato di San Prisco consisteva nel seguente tracciato viario: Strada della Piazza [attuale via Michele Monaco], Vinella de' Massari, Strada della Cappella [odierna via Costantinopoli], Vico Sambuci, Largo della Croce, Via Cupa [oggi via Verdi], Vico Cavaconi, Grotta e Vicolo Campanile. Ulteriori strade, desunte da altri documenti archivistici, erano: la via Madonna delle Grazie, la Vinella di Parito, la Vinella di Pontesano e la strada dello Trivice. Quasi la metà dei contribuenti soggetti al Catasto Provvisorio, costituito fra il 1809 e il 1815, che dichiarò la loro professione, era addetta all'agricoltura (107 braccianti e 32 massari); le attività artigianali e commerciali erano presenti, ma in numero inferiore ed erano complementari all’attività agricola. Le famiglie maggiormente rappresentate in questo periodo erano: Monaco, Iannotta, Palmiero, Casertano e Russo. Nell’anno 1814 (in altri documenti nel 1813) fu istituita la Confraternita dell’Addolorata di S. Maria di Costantinopoli, ma essa fu riconosciuta con decreto reale soltanto nel 28 gennaio del 1828. Tra i suoi scopi vi erano le pratiche religiose, il mutuo soccorso e opere di beneficenza. Negli anni dal 1818 al 1820 furono compiuti lavori al camposanto, che già in precedenza era stato stabilito lontano dall’abitato. Nel 1812 si erano fatti dei lavori in economia per accomodare la strada. Negli anni 1823-27 fu costruita la cappella rurale al nuovo camposanto. Negli anni 1828-32 fu costruito un nuovo ponte nella strada della lava detta dell’Arena, che permetteva di recarsi in Santa Maria Maggiore e in altri comuni vicini. Il Comune riteneva urgentissimi tali lavori. Negli anni compresi fra il 1833 e il 1837 il frontespizio della chiesa parrocchiale fu rifatto in stucco. La spesa per il Comune fu di 120 ducati. Il Comune fra il 1834 e il 1837 fece eseguire diversi lavori urgenti alla Cappella Costantinopoli, che si trovava in uno stato pericoloso e vi erano rischi di caduta. In questa occasione furono spesi in totale 350 ducati. Nel 1835 anche la Cappella di S. Maria di Loreto interessata da molti lavori, considerati anch’essi urgenti. Il Comune vi contribuì con 300 ducati, ma vi fu anche la partecipazione del sacerdote Bernardo Ajossa, figlio del medico don Stefano Ajossa, sia con i propri mezzi sia con l’aiuto dei fedeli. Con il decreto arcivescovile del 1835 la chiesa di S. Maria di Loreto e quella di S. Maria di Costantinopoli divennero parrocchie. Seguì il decreto reale di Ferdinando II che sanciva lo smembramento della parrocchia di S. Prisco e la costituzione delle due nuove parrocchie. Tuttavia la nomina dei due nuovi parroci avvenne soltanto nel gennaio del 1838. Negli anni 1836-37 il Comune eseguì nuovi lavori al Camposanto del paese pagando altri 300 ducati. Nel 1837 la comunità sanprischese fu colpita, così come accadde per tantissimi altri Comuni della provincia, dal colera. Si registrarono 187 morti, mentre negli anni precedenti e in quelli successivi la media dei decessi era stata circa 80. In questi anni nel Comune vi era una brigata di gendarmeria che, insieme alla Guardia Urbana, doveva sorvegliare molti individui per disposizioni di polizia. Nell'anno 1839 fu installato nel Comune in località Croce Santa un telegrafo ad asta, ovvero di tipo ottico, per comunicare con Capua e Caserta. Negli anni 1840-41 fu costituita una nuova Cappella al Camposanto con progetto e disegni dell’ingegnere don Giuseppe Landi di Sala di Caserta; inoltre, furono fatti ulteriori lavori per il suo “perfezionamento”. Nel 1843 il Comune contribuì con una spesa di 570 ducati al rifacimento della strada che da San Prisco conduceva a S. Leucio, passando per Coccagna. Furono rifatti anche i lavori alle strade interne con un progetto dell’ingegner Giuseppe Landi. Nel 1854 furono eseguiti vari lavori alla strada Massari per 303 ducati da Francesco Rubino. Il comune nell’anno 1859 installò un nuovo orologio comunale pagandolo 160 ducati in due rate. Con il raggiungimento dell’unità italiana fu costituita la Guardia Nazionale che nel 1861 chiese soccorsi perché temeva ancora assalti briganteschi. In essa furono inseriti molti uomini appartenenti alle maggiori famiglie locali. Il suo mantenimento richiese molti sacrifici alle finanze comunali e negli anni successivi più volte i rappresentanti del Comune chiesero il suo scioglimento. Nel 1861 iniziarono i lavori della quotizzazione dei pascoli del monte San Nicola a cura dell’ingegnere Ernesto Sparano del Genio Civile. Le operazioni iniziarono nel 1862 e si trascinarono per molti anni. Nel 1866 il Comune elaborò un progetto per lavori alle strade della Piazza e della via Cupa, affidando il compito all’architetto Sorbo. L’anno successivo vi fu un caso isolato di vaiolo nel Comune che colpì una donna puerpera e malsana, che morì poco dopo. Questo caso diede inizio ad una massiccia vaccinazione. Nell’anno 1867 furono eseguiti i suddetti lavori alle strade; in particolare nella Strada della Piazza fu rifatto il basolato. Nel 1868 furono fatti alcuni lavori di restauro alla chiesa di S. Maria di Costantinopoli e furono “riattate” le strade Grottelle e Cupa. Il Comune nel 1869 emanò il primo regolamento della polizia urbana. Negli anni 1869-1870 furono individuati i locali per installarvi le scuole maschili e femminili. Si prescelsero due locali terranei, appartenenti alle signore Boccardi e ad Alessandro Vetta in Strada della Piazza per la scuola femminile, e un locale da Pietro Monaco in Strada della chiesa per quella maschile. Furono nominati maestri elementari: Luigi Peccerillo (l’unico che esibì il titolo) e Bartolomeo Valenziano per la scuola maschile e la signora Mangiacapra per quella femminile. Nel mese di marzo del 1870 furono effettuati lavori in economia alla chiesa Madre: fu rifatto la facciata in stucco, riparata la copertura e posta una rete di ferro al finestrone laterale. Il Comune nel maggio del 1870 siglò l’appalto per il mantenimento di 22 fanali, ovvero lumi a petrolio all’interno del Comune con Vincenzo Russo di Santa Maria Capua Vetere. Nel 1871 furono pubblicati i regolamenti della polizia rurale e quello mortuario. Nel corso dell’anno i rappresentanti comunali, in più occasioni, espressero il desiderio di edificare una casa comunale, indicando un fabbricato cadente appartenente alla chiesa di S. Maria di Costantinopoli, situato in Strada della Piazza. Nel medesimo anno Pasquale Monaco del fu Pietro chiese l’autorizzazione per l’innovazione di fabbrica su un suolo “dubbio”, localizzato di fronte alla chiesa arcipretale. L’autorizzazione comunale fu gratuita e fu rilasciata con approvazione della prefettura nel maggio dello stesso anno. Nel 1872 fu prodotto un nuovo progetto del basolato interno da realizzare per appalto. I lavori furono affidati a Pasquale Conforti di Santa Maria Capua Vetere. Inoltre, fu rinnovato l’affitto degli uffici comunali, consistenti in 5 stanze il Largo Strada chiesa, confermando il contratto con Giuseppe Palmieri per 191,25 lire annuali. Sempre nel 1872, nonostante le vaccinazioni, vi fu un nuovo caso di vaiolo in San Prisco che fu seguito dalla morte del signor Santillo. Nel 1873, in occasione del rinnovo dell’affitto dei territori del monte S. Nicola e Morronella, fu concessa in affitto per appalto la cava di polvere di marmo e del limo posto sui suddetti fondi per 250 lire annue. Nel Comune di San Prisco nel 1874 fu aperto il primo Banco lotto e fu affidato, dietro concorso indetto dall’Amministrazione del Lotto Pubblico, a Francesco Acerbo. Il Comune proseguì nel 1875 nello sforzo di disciplinare le varie attività con l’emanazione del regolamento edilizio e di quello igienico. Inoltre, furono approvati i lavori di accomodo alla strada di Circunvallazione (detta anche strada di Loreto). Un progetto iniziale prevedeva una spesa di 1600 lire, ma i lavori furono eseguiti in economia con una spesa di 408,90 lire. Nello stesso periodo il Comune iniziò la vendita del brecciame caduto dalla montagna di San Nicola, per far fronte ai debiti, sia verso lo Stato per le spese di guerra, sia con privati per vari prestiti. Nel 1876 il Comune fece accomodare nuovamente le strade Marcone e Grottelle. Sempre allo scopo di recuperare fondi, nel periodo 1879-1883 il Comune ricorse alla continua vendita di aceri e cipressi, proseguì la vendita della polvere di marmo nella cava di proprietà comunale e continuò la riscossione di una tassa sulle capre e pecore. Nel 1882 il Comune si interessò per fare diverse riparazioni al poligono sul monte Tifata. Inoltre, fu riparata la strada che portava al Camposanto e furono fatti nuovi lavori alle strade interne con l’impresa Montefusco. Il Comune per far fronte alle spese dovette contrarre un prestito di 30810,79 lire. Nel periodo 1886-1890 furono fatti i lavori di copertura dell’alveo Madonna delle Grazie. Nel 1888 il Comune ripristinò l’abolito macello, ma poi continuò ad indebitarsi per sistemare nuovamente le strade interne ricorrendo ad un prestito di 81000 lire per affrontare le nuove spese. La chiesa madre nel 1889-90 necessitò di nuovi lavori. Nel 1891 il Comune contribuì al rifacimento del pavimento della chiesa di S. Maria di Loreto. Nel marzo del 1897 fu fondata in San Prisco la Cassa Rurale Cattolica di depositi e prestiti, prima della provincia di Terra di Lavoro e seconda in Campania. Nel 1928 il Comune di San Prisco fu aggregato alla città di Santa Maria Capua Vetere, fino al 1946, quando riacquistò nuovamente la sua autonomia amministrativa. Durante la seconda guerra mondiale in San Prisco subì molti danni bellici: furono colpiti la chiesa parrocchiale e anche la Casa comunale. I lavori al Municipio furono effettuati dall’impresa Rossetti nel 1947. I danni bellici alla chiesa parrocchiale furono riparati dal Comune ricorrendo all’impresa di Carlo Santoro nel 1951. Stemma Lo stemma ufficiale della Città di San Prisco raffigura un’aquila bicipite con al capo una corona d'oro, recante, al centro dello stemma, due scudi con dei capi all'interno. 1. Corona d'oro: È quella reale: presenta un cerchio d'oro ornato di pietre sormontato da 5 staffe visibili d'oro, orlate di perle e sostenenti un globo cimato da una crocetta. La Corona d'oro indica il grado di nobiltà e quella raffigurata nello stemma è usata nelle armi dal Re di Napoli. 2. Aquila bicipite: l’aquila bicipite (con due teste separate, una rivolta a destra, l’altra a sinistra) è quella dell'impero d'oriente o Bisanzio: Essa si pone sul capo, per identificare l'impero. L'aquila bicipite identifica l'unione dei due imperi (quello di Gerusalemme e il Regno delle due Sicilie). 3. Scudo sinistro Troncato (a metà in senso orizzontale) e semi partitivo (diviso nella metà inferiore in senso verticale): - Triscele (qualsiasi simbolo con tre protuberanze ed una triplice simmetria razionale ndr) con gorgone (personaggio della mitologia greca e romana ndr): simbolo della Trinacria antico emblema della Sicilia; - Tre gigli: stemma dei Borbone di Napoli e di Sicilia (poi Due Sicilie); - II Cavallo rampante: simbolo del Regno di Napoli. 4. Scudo di destra: sono presenti una Mitra, un Bastone Pastorale ed il Libro dei Sette Sigilli. - La Mitra: cappello prelatizio diviso alla sommità in due punte, che visto di prospetto, assume forma pentagonale da cui pendono due larghi nastri detti infule. Esso rappresenta il premio alla virtù'; - Il Bastone pastorale: è una delle insegne della giurisdizione vescovile e rappresenta la dignità' ecclesiastica; - Libro dei Sette Sigilli: è uno dei libri dell’Apocalisse di Giovanni (ultimo libro del Nuovo Testamento), sul quale talora posa l'Agnus Dei. Monumenti e luoghi di interesse Fornace del VI secolo a.C. Di eccezionale rilevanza storica è l’antica fornace a pianta rettangolare risalente al VI secolo a.C., trovata nel territorio di San Prisco, al confine con quello di Santa Maria Capua Vetere. Essa era destinata alla produzione di tegole piane. Quest’ipotesi è stata confermata da notevoli resti di cottura ritrovati nelle sue vicinanze. La fornace era inserita in un abitato costituito da abitazioni a pianta quadrangolare sviluppatesi sempre nel corso del VI secolo a.C. Tempio di Giove Tifatino La sua costruzione, sulla base di studi epigrafici, è fatta risalire al periodo compreso fra il III e il II secolo a.C. sulle pendici del monte Tifata in località Costa delle Monache, come già sostennero molti autori classici, diversi storici e il Beloch. Giove era venerato come la divinità preminente anche in Capua e vi era nell’antica città la Porta Jovis che conduceva, attraverso il territorio di San Prisco, al tempio, denominato anche Capitolium. Dell’alzato dell’edificio purtroppo non si conserva nulla; esso era impiantato direttamente sulle rocce. Sono stati ritrovati molti resti di lastrine di marmo, tessere bianche (probabilmente appartenenti al pavimento costituito a mosaico) e altri materiali. Carceri Vecchie Mausoleo della prima età imperiale (I secolo d.C.) situato sulla via Appia, vicino alle mura dell’antica Capua. Verso la metà del XIX secolo (sicuramente dopo il 1839) l’ingresso originario dell’imponente monumento funerario fu ostruito dalla costruzione della Cappella di S. Maria della Libera. Il monumento è a pianta centrale con un corpo anulare esterno ed uno più interno cilindrico. L’esterno è in opus reticolatum. La cella funeraria è a croce greca con copertura a botte, i cui bracci sostengono al centro una cupola a crociera ogivale. Alcuni frammenti di affreschi testimoniano l’originaria presenza di una ricca decorazione, databile all’età augusteo - tiberiana, asportata in epoca imprecisabile. Chiesa Arcipretale di San Prisco Seconda la tradizione Matrona, figlia di un signore della Lusitania, la fece costruire dopo aver ritrovato il corpo di Prisco, giunto a Capua con l’apostolo Pietro nell’anno 506. Molti studiosi ritengono che sia stata costruita fra il V e l’inizio del VI secolo d.C. su un’antica area cimiteriale, come dimostra il ritrovamento di numerose iscrizioni. Nel 1587 furono compiuti consistenti diversi lavori di restauro. Nel 1604 furono fatti altri importanti interventi di restauro alla chiesa e al campanile da parte di maestranze della Torre di Caserta, Caturano, San Prisco e Santa Maria Maggiore. Altri lavori furono eseguiti nel 1616. Molto più consistenti furono i lavori di restauro iniziati il 1759 e completati verso il 1791-92; in questo lunghissimo periodo la chiesa fu quasi rifatta. Furono ricostruiti: il campanile, distante dalla chiesa, il frontespizio, pavimenti, altari, orchestra, organo, porta maggiore e tante altre cose. I lavori furono eseguiti da Antonio Tramunto di Santa Maria Maggiore e da Nicola Rubino di Capua, ma abitante in San Prisco. Il progetto e i disegni erano di Pietro Leonti, “regio ingegnere” di Napoli. Nel 1814 furono eseguiti consistenti lavori alla chiesa parrocchiale per i danni subiti dal terremoto. Negli anni compresi fra il 1833 e il 1837 il frontespizio della chiesa parrocchiale fu rifatto in stucco. La spesa per il Comune fu di 120 ducati. Dal 1876 al 1884 furono eseguiti altri accomodi alla chiesa Madre. Nuovi lavori si fecero negli anni 1889-90. Durante la seconda guerra mondiale la chiesa arcipretale subì molti danni bellici. I lavori furono fatti dal Comune ricorrendo all’impresa di Carlo Santoro nel 1951. Cappella di Santa Matrona È un sacello funerario, sicuramente annesso alla primitiva basilica paleocristiana. Ha la pianta quadrata che reca agli angoli colonne di spoglio sulle quali sono evidenti antichi capitelli, che sorreggono quattro archi abbastanza profondi. La preziosissima decorazione musiva è considerata una delle più importanti della pittura paleocristiana dell’Italia meridionale, qui ancora legata a moduli classici. Essa si compone nella volta e su tre lunette di un ricchissimo mosaico che si dipana su uno sfondo di colore azzurro intenso con vari motivi tipicamente classici con colori dai toni freddi e lumeggiature in oro. Chiesa di S. Maria di Loreto La Cappella fu fondata per devozione popolare su impulso dei Gesuiti, probabilmente nella seconda decade del Seicento. Nel 1614 si costruiva il monastero dei Gesuiti, soppresso nel 1655 insieme alla chiesa. Nel 1751 la Cappella divenne “laicale”, retta ed amministrata da economi laici. Nell’anno 1814 (in altri documenti nel 1813) fu istituita la Confraternita dell’Addolorata di S. Maria di Loreto, ma essa fu riconosciuta con decreto reale soltanto nel 28 gennaio del 1828. Tra i suoi scopi vi erano le pratiche religiose e il mutuo soccorso e opere di beneficenza. Negli anni fra il 1830 al 1835 fu oggetto di consistenti lavori, considerati anch’essi urgenti. Il Comune contribuì con 300 ducati, ma vi fu anche un grosso intervento del sacerdote Bernardo Ajossa, figlio del medico don Stefano Ajossa, sia con i propri mezzi sia con l’aiuto dei fedeli. Con il decreto arcivescovile del cardinale Serra di Cassano del 1835 la chiesa divenne parrocchia. Seguì il decreto reale di Ferdinando II, ma la nomina dei due nuovi parroci fu fatta soltanto nel gennaio del 1838 dallo stesso arcivescovo. Nel 1891 il Comune contribuì al rifacimento del pavimento della chiesa. Chiesa di S. Maria di Costantinopoli La Cappella fu costruita negli anni successivi al 1637 dall’Università e dagli abitanti di San Prisco. Il terreno fu comprato dall’università, che fece anche una donazione per la sua costruzione. Probabilmente i lavori furono eseguiti in economia e non abbiamo notizie certe sulla loro conclusione. Nel 1680 in San Prisco vi era già una congregazione laicale intitolata a S. Maria di Costantinopoli. Durante la visita pastorale del luglio del 1776 l'arcivescovo riscontrò numerose carenze alla sua struttura: in particolare l'umidità nella parete destra, la mancanza di alcune finestre, la riparazione del contenitore ligneo che conteneva le sacre suppellettili e la "ridipintura" della porta d'ingresso. Nel 1789 si fecero enormi lavori di ristrutturazione al Cappellone, alla copertura in lamia, all’altare e al pavimento con un appalto affidato dall’Università a Andrea Rubino del fu Nicola e Prisco Baja del fu Francesco di San Prisco. Giovanni Tramunto di Capua fu il perito e il direttore della fabbrica e formò i disegni e le minute dei lavori. L’anno seguente la misura e l’apprezzo dei lavori furono affidati a Luigi Iannotta, regio ingegnere di Capua. Le spese sostenute dall’Università furono di 295 ducati ai magnifici Prisco Baja ed Andrea Rubino; mentre al magnifico Giovanni Tramunto erano stati pagati 7 ducati (per i disegni, le minute e le spese per la direzione dei lavori). Infine, furono pagati altri 15 ducati al pittore di San Pietro in Corpo Cristofaro Alteriis per aver realizzato un quadro che raffigurava la Madonna di Costantinopoli. In seguito nella nicchia centrale fu collocata la statua lignea di Maria SS. di Costantinopoli, tuttora venerata. La chiesa divenne parrocchia il 20 marzo del 1835 con decreto arcivescovile del cardinale Francesco Serra Cassano, con l'approvazione del re Ferdinando II dell’ottobre dello stesso anno, ma il parroco fu nominato solamente nel 1838 con decreto arcivescovile. Fra il 1834 e il 1837 si realizzarono diversi lavori urgenti alla chiesa perché si trovava in uno stato pericoloso e vi erano rischi di caduta. Il Comune spese in tutto 350 ducati. Nel 1868 furono fatti altri lavori di restauro. I lavori di ampliamento cominciarono nel 1914. "La chiesa - annota il parroco Don Biagio Palmieri - non rispondendo ai bisogni della popolazione abbastanza aumentata, aveva impellente bisogno di essere non solo ampliata, ma anche convenientemente preparata ed abbellita. Il parroco Mons. Giuseppe lannotta, affrontando sacrifici non lievi, coadiuvato anche dall'opera dei buoni parrocchiani, iniziò nel 1914 l'opera di ampliamento e di restauro, e quasi in 10 anni riuscì ad ultimare i lavori interni, compresa la pavimentazione." La facciata della chiesa è di ordine toscano. L'interno è un misto di Rinascimento e di Barocco. I pilastri hanno i capitelli compositi (corinzio e ionico). Una tinteggiatura completa della chiesa, con fregi in oro e scene evangeliche nelle cornici predisposte, c'è stata nel 1974, per l'impegno del parroco Mons. Giuseppe Cappabianca. Eseguì i lavori, da settembre 1974 a Marzo 1975, il pittore siciliano Carmelo Guglielmini, allora domiciliato a Caserta. La chiesa restò lesionata dal terremoto del 23 novembre 1980. I lavori di consolidamento e la copertura furono eseguiti, nel 1988, dalla Ditta Di Caterino Arturo per conto della Soprintendenza per i Beni Artistici. Da Febbraio a Luglio 1989, dalla Comunità parrocchiale furono eseguiti i seguenti lavori: camera d'aria, sotto il pavimento, lungo le pareti, per eliminare l'umidità; pavimentazione della chiesa e della sacrestia; rivestimento della zoccolatura; rinnovazione della tinteggiatura e dei fregi in oro. Torre dell’Orologio La costruzione della Torre dell’Orologio fu affidata nel maggio del 1776 dagli eletti dell’Università di Santo Prisco a Matteo Iannotta e Francesco Salemme, maestri muratori di S.to Prisco, e Antonio di Lillo di Casapulla. I lavori furono fatti in economia. L’Università nel 1787 fece rifare le campane dell’orologio, insieme a quelle del campanile della chiesa arcipretale. Precedentemente l’orologio era situato proprio su tale campanile. Nel 1822 furono effettuati alcuni lavori di reatauro da Gennaro Imperato, maestro fabbricatore del Comune Personaggi di San Prisco Michele Monaco (1574-1644), canonico e storico capuano Francescantonio de Monaco (1710-1774), notaio Nicola di Felice (1735-1813), medico Gennaro di Monaco (1739-1817), notaio Nicola Maria di Monaco (1750-1833), notaio e politico Domenico Cipriano (1787-1843), medico e politico Agostino Cilardo (1947), arabista e islamista Persone legate a San Prisco Carlo Pellegrino (1772-1816), politico Raffaele del Balzo (1778-1847), duca di Caprigliano Evoluzione demografica Abitanti censiti Amministrazione L'attuale sindaco di San Prisco è il Prof. Antonio Siero, eletto nelle elezioni del 27-28 maggio 2007, dopo un periodo in cui il comune è stato commissariato. Siero era già stato sindaco nel periodo 1997-2002. Note ^ Dato Istat - Popolazione residente al 31 dicembre 2010. ^ Tabella dei gradi/giorno dei Comuni italiani raggruppati per Regione e Provincia (PDF) in Legge 26 agosto 1993, n. 412, allegato A, Ente per le Nuove Tecnologie, l'Energia e l'Ambiente, 1 marzo 2011, p. 151. URL consultato il 25 aprile 2012. ^ San Prisco.net ^ Statistiche I.Stat - ISTAT; URL consultato in data 28-12-2012. Bibliografia AVAGLIANO F., Il monastero di S. Giovanni delle Monache di Capua nei primordi della riforma tridentina, in Michele Monaco e il Seicento Capuano, Salerno 1980. BELOCH J., Campania, Napoli 1989. BORRARO Pietro, (a cura di), Michele Monaco e il Seicento Capuano, Salerno 1980. BOVA G., Le pergamene sveve della mater ecclesia capuana, 5 voll., Napoli 1998-2005. BOVINI G., Osservazioni sui mosaici paleocristiani della chiesa di S. Prisco a S. Prisco presso S. Maria Capua Vetere, in "Capys", Capua, 1967. 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