Destinazioni - Comune

Trescore Cremasco

Luogo: Trescore Cremasco (Cremona)
Trescore Cremasco (Trescur in dialetto cremasco) è un comune italiano di 2 950 abitanti della provincia di Cremona in Lombardia. Cenni storici Il nome "Trescore" compare per la prima volta in alcuni documenti di Enrico VI, datati 1192; in essi erano anche citati i nomi di altri villaggi: Cremosanum (oggi Cremosano), Casaletum (Casaletto Vaprio), Bordenacium (località di cui oggi non abbiamo più tracce) e Quintanus (Quintano). Nell'opera Terre nostre Mons. Zavaglio tenta di definire l'etimologia del nome Trescore, facendolo derivare o da Tres curiae o Tres curtes, ovvero "tre cascine", intorno alle quali si sarebbe poi sviluppato l'abitato. Queste tre nuclei potrebbero essere: Il Merlo sembra fosse in origine un luogo fortificato. Il nome infatti viene da (moerulus) muro di fortezza e il carattere complessivo del piccolo abitato, isolato lo fanno ritenere un posto di vedetta e di prima difesa dalla parte di occidente in cui, dove ora è Scannabue, esisteva la selva Paradia o Parasia che si estendeva sin vicino a Palazzo Pignano. Il Tedolto dal latino "teda, toeda" pino selvatico, resinoso, indicava il luogo dove, sino alla seconda metà del secolo scorso si innalzavano "alti pini" il qual fatto diede il nome alla località. Le Chiusure indicavano a nord le dighe o argini di difesa delle acque che vi scorrevano e di cui è rimasta traccia in un tratto fra Trescore e Casaletto Vaprio a est e in un altro tratto ad ovest dove ora è il fabbricato dell'Asilo, tratto ora colmato. Del resto, come nei campi di Trescore sino a pochi anni fa, le strade erano costituite dalle "foppe" cioè dal letto dei fossati ampi e spaziosi e contenenti acqua sino ad un certo livello, così sino ad una certa epoca - sec. XVIII e principio sec. XIX - quasi tutte le stesse vie interne del villaggio e la cosa era sino a non molti anni fa nella memoria e nella tradizione dei più vecchi, erano veri e propri fossati e canali coperti d'acqua: un piccolo sentiero ai margini serviva ai pedoni. Tutto ciò indicave le antiche condizioni del luogo, a qualche centinaio di metri distante dalla riva settentrionale del Moso, che anche oggi si avvalla in modo assai sensibile a sud. Quasi, si direbbe, edificato in mezzo alle acque e alle copiose sorgenti e succeduto probabilmente ad antichissime stazioni e dimore di palafitticoli di cui sparsi, in epoca preistorica, i bordi e la riviera di presso che l'intero Moso. Finora, il nome del paese non è stato rintracciato in altri documenti e, vista l'assenza di torri, castelli o ville legate a famiglie nobili della zona, si ritiene che Trescore non fu mai sottoposto al potere di feudatari o famiglie dominanti. Ciò ha probabilmente facilitato la formazione di famiglie contadine di piccoli proprietari terrieri. Nel 1449 Trescore passò sotto il dominio veneto e, nel 1580, venne legato alla Diocesi di Crema. Tra i secoli XIII e XVII, diverse epidemie flagellarono il piccolo centro abitato, causando numerose vittime. Probabilmente, durante uno di questi eventi pestilenziali (inizi del XVI secolo), venne edificata la chiesetta di S. Rocco. Il secolo XVIII portò un'ondata di benessere: infatti nel 1758 venne edificata, in stile barocco, la Chiesa di Sant'Agata. Tradizione vuole che la Santa domò un incendio divampato in un deposito di polvere da sparo, che altrimenti avrebbe raso al suolo gran parte dell'abitato. Trescore cadde sotto la Francia nel 1797 e sotto l'Austria nel 1814. Come tutto il Cremasco, il borgo venne accorpato alla provincia di Lodi-Crema. Nel 1859, con la riorganzzazione del territorio seguita all'Unità d'Italia, Trescore venne aggregato alla provincia di Cremona. Scoperte archeologiche Come si è detto, nei dintorni della borgata furono fatte delle scoperte che pongono fuori dubbio le origini romane del luogo. Nel 1889 in un campo detto Canovetto, alla profondità di poco meno di un metro, si trovò un’urna di legno fasciata di fili di metallo: non ero corrosi né si spezzavano alla torsione: a loro volta erano tenuti da anelli di singolare fattura. L’urna conteneva lo scheletro di un bambino; un pugnale corroso dall’umidità, che si disciolse al contatto; una piccola quantità di carbone; un vaso di terra, rotondo, di bellissima fattura, a due emisferi combacianti; infine molte piccole monete di rame e di bronzo, e parecchie monete grandi, lucenti , in ottimo stato di conservazione, che dalle relazioni avute giudichiamo essere d’oro. Disgraziatamente tutto ciò è andato disperso prima che fosse debitamente studiato, ed ora non è più possibile valutare compiutamente l’importanza della scoperta e l’età delle monete. Tutte le circostanze fanno credere che l’urna funeraria sia dell’epoca pagana, quando si favoleggiava dei pasti delle anime nell’oltretomba e dell’obolo dovuto a Caronte per il passaggio dei fiumi infernali, e per ciò si usava corredare i defunti di cibo e denaro. Epoca romana dunque, o almeno delle prime invasioni barbariche. Nel 1920, in un altro campo detto Canova, presso il bivio per Torlino e Quintano, si rinvennero resti di massicce costruzioni, frammenti di un grande vaso di terracotta e in un pozzetto quadrangolare costruito ad hoc, un grande numero di monete di rame dei secoli IV e V appartenenti agli Imperatori Costantino Magno, Costante, Valentino I, e II, Arcadio e Onorio ( date estreme: 307-423 d.C. ).Queste scoperte, insieme il nome di Canova rimasto al luogo, indicano abbastanza chiaramente che sino dal tempo di quegli imperatori la località era abitata ed aveva edifici d’importanza. Nei lavori per l’apertura del Cavo colatore eseguiti nel Moso durante gli anni 1937-38 venne alla luce un vaso di argilla di colore giallino pallido, frantumato dai colpi degli escavatori. Non è risultato che contenesse nulla, né dalla materia o dalla forma si poterono trarre indizi utili alla storia, fuorché quello di una relativa antichità. Aurea mediocrita Il paese dalle vie strette e tortuose, rivela un processo discontinuo di formazione: è orientato, nella via mediana, da nord a sud, e pare che le più importanti comunicazioni fossero verso il mezzogiorno, attraverso a quel grande arco, detto il Portone, cui mette capo l’arteria principale. Sorto sulle rive del Moso, Trescore bagnava il piede delle sue ultime case nelle acque della palude, solcando la quale raggiungeva i paesi rivieraschi. Le strade che oggi fanno rete intorno al borgo furono tutte tracciate in tempi relativamente recenti. Le vecchie foppe che formavano il primitivo e disagevole sistema di comunicazione specialmente attraverso il bacino paludoso, furono lentamente colmate, con grande vantaggio della viabilità e della stessa agricoltura. Vogliamo ricordare, perché citato in documenti e celebrato dalla leggenda, un Molino antichissimo, azionato dall’Alchina, situato a mezzogiorno della borgata. Esso risale al 1541, come si ha dall’istrumento di concessione della traversa per la deviazione delle acque, rogato dal notaio Matteo Bravio di Crema. Fino al principio del secolo scorso fu gran quartiere di ladri e banditi, che nel racconto del popolo si dicevano guidati da una fattucchiera chiamata Barbara, intorno alla quale si sono intessute fantasie macabre e strane. Più a sud del molino vi è un ponte a due archi, che fu costruito nel 1737 sul posto di un guado che faceva da comunicazione tra il Moso di destra e quello di sinistra rispetto alla roggia Alchina. Trescore non fu mai feudo o possesso di nessuna famiglia nobile e, tolto il documento imperiale del 1192, in nessuna carta dell’Astegiano o del Vignati si trova mai accennato il suo nome. Perciò i particolari della sua storia religiosa e civile non si potranno avere se non dallo spoglio dei documenti che appartengono alla città di Piacenza dalla quale Trescore ebbe a dipendere fino al 1580. Ma la raccolta e la pubblicazione di tali documenti è ancora desiderata. Come mancano scritture, così mancano edifici di ricordo feudale: a Trescore non vi sono, come in altri paesi di ben minor importanza, torri o castelli , o avanzi di fortificazioni, e nemmeno ville e parchi che facciano testimonianza della potenza e della ricchezza di qualche famiglia dominante. E’ il paese cremasco in cui, forse, fu più radicata e praticata la concezione medioevale della comunitas, senza il prepotere del signorotto, ma con regime di libertà e di autonomia, che manteneva gli abitanti ad un livello quasi eguale di mediocrità. Infatti, l’antichissima distribuzione della proprietà terriera, che risale a tempi immemorabili e che fu tramandata con la tenace tradizione dei lavoratori attaccati alla propria terra, fece delle famiglie agricole di Trescore altrettanti piccoli proprietari. Senza immoderate fortune ma senza miseria, essi traggono in gran parte la vita dal lavoro della terra, incessantemente bonificata e migliorata. Dopo le controversie per il possesso del Moso Avendo dovuto rinunciare alle pretese sul vasto territorio aggiudicato a Bagnolo Cremasco, Trescore fu costretto a limitare su quella parte che gli giace ad immediato contatto. Purtroppo oltre allo sforzo continuo che richiese e richiede tuttora, essa non offre che una estensione inferiore ai bisogni di una popolazione che è andata continuamente aumentando, così che la sproporzione tra l’estimo e gli abitanti si è fatta sempre maggiore. Per questo motivo si è venuta da molto tempo affiancando all’agricoltura un’altra occupazione: la muraria. Trescore è la borgata cremasca dove più fiorente è la tradizione del muratore. Nei secoli passati gli esperti lavoratori della cazzuola dovevano essere organicamente costituiti in corporazioni: ne fa testimonianza un bel quadro d’altare rappresentante S. Vincenzo Ferreri, che essi avevano scelto come patrono, e la cui festa celebravano ogni anno a proprie spese con grande solennità. Un'industria che ebbe per un po’ di tempo una discreta importanza fu quella dell’estrazione della torba. Il prosciugamento del Moso lasciò allo scoperto vasti depositi di minerale, e tosto si pensò allo sfruttamento e al commercio di esso, con vantaggio economico della borgata e miglioramento del terreno agricolo, finché il deposito non si esaurì. I santi, il fuoco e la peste Un ricordo assai vago ed indeterminato di chiese antichissime ci viene dai nomi di S. Agata e di S. Giorgio. Al santo cavaliere la tradizione vorrebbe che fosse intitolata una cappella che sorgeva fuori dall’abitato, in quel luogo del Moso dove fu scoperto nel 1937 il vaso di terracotta. Durante i lavori di scavo vennero trovate nelle vicinanze grosse travi sepolte, cocci e tegole, che sono certamente avanzi di qualche edificio, e sembrano confermare l’incerta notizia. A S. Agata era dedicato un oratorio forse fin dal tempo dei longobardi perché questa vergine martire fu venerata da questo popolo con singolarissima devozione dopo la conversione al cristianesimo. Ad essa era intitolato anche un beneficio semplice, che nel 1776 per decreto del Mons. Longobardi passò a formare parte del beneficio parrocchiale di Moscazzano. Nel sec. XII due grandi sciagure si abbatterono sul paese. In quella parte che è chiamata il Tedolto era stata impiantata una fabbrica del salmistro o salnitro, succursale di quella che esisteva a Crema per la fabbrica delle polveri da sparo. Sarà utile ricordare quello che racconta il Canobio: “ Si era già avanzato 1615, quando Rinaldo Marchesini ottenne di poter fabbricare sul Travacone la lesta macchina per far la polvere d’archibugio. Questa in progresso di pochi mesi, essedovisi accidentalmente acceso dentro il fuoco, volò strepitosamente per aria, con morte di uno dei lavoratori, che a caso vi si trovò dentro. Non tardossi con tutto ciò a rimetterla, ed al solito lavorarvi per servizio privato o pubblico “. A Trescore deve essersi ripetuto il medesimo accidente, perché si manifestò un improvviso e straordinario incendio il quale prese proporzioni così grandi da minacciare la distruzione di tutto il villaggio. Una delle tre curie, quella del Tedolto, fu divorata completamente dalle fiamme. In quel terribile frangente la popolazione ricorse a S. Agata per scongiurare la fatale rovina, ricordando come i Catanesi furono salvati dall’eruzione dell’Etna stendendo contro le fiamme il velo della vergine che d’allora in poi fu invocata contro i pericoli dell’incendio. E l’aver risparmiato dalla violenza inaudita del fuoco le altre due curie fu riguardato dal popolo come un favore singolarissimo della santa, che per senso perenne di gratitudine si volle proclamare patrona del paese, ottenendo dal Pontefice la facoltà di cambiare il titolare della parrocchia, che prima era S. Rocco (3). A questo santo è dedicato un oratorio nel centro dell’abitato, e ciò si accorda con la tradizione che addita in questa chiesetta la vecchia parrocchiale. Non ha particolari degni di rilievo: soltanto si nota sotto l’imbiancatura un cornicione di terracotta che gira tutto intorno ai lati esterni, interrotto solo dalla semplice facciata di linea classica. E’ impossibile determinare l’età, perché non vi si riscontrano caratteristiche se non del tardo rinascimento e del barocco: senza dubbio la chiesetta, anche se più antica, fu in tali epoche rinnovata completamente. E’ la sorte di tutte le chiesette ed oratori dedicati al santo della peste. Dal scolo XIII al secolo XVII le pestilenze si succedettero periodicamente a seminare più o meno violente le stragi del popolo, il quale non aveva altro scampo che l’aiuto del cielo. La pestilenza del 1630, l’ultima di grande risonanza storica, colpì il paese di Trescore con una gravità e con una mortalità eccezionali. La tradizione locale, che racconta come da quella sciagurata calamità scampassero in tutto il villaggio sette uomini e sette donne, ha naturalmente del favoloso, e forse venne suggerita dal quadro che si vede, a ricordo del fatto, nella chiesa parrocchiale. In esso è rappresentata la scena della trasfigurazione, perché in tal festa il flagello cessò: in basso i Santi Sebastiano e Carlo ricevono gli omaggi di un gruppo di uomini e donne che rappresentano gli scampati alla morte. Che la strage seminata in quella circostanza fosse grandissima si desume anche dal fatto che le terre e le case furono assai svilite di prezzo: fu appunto in quest’epoca che una vasta porzione a sud-ovest, ancora paludosa e acquitrinosa, fu acquistata dalla famiglia Magri, proveniente da Vilminore in Val di Scalve e da allora stabilita in Trescore dove ottenne distinzione e importanza. Monumenti e luoghi d'interesse Chiesa di Sant'Agata V.M. Trescore vanta una chiesa che è certamente, per architettura e pittura, uno dei più grandi monumenti del nostro contado. E a maggior ragione se ne può vantare in quanto essa è opera della sua maestranza edile, cioè dei suoi muratori. Sorge in luogo rilevato ad una estremità del paese, certamente la dove l’antica chiesetta di S. Agata, rifatta e restaurata più volte nel corso dei secoli, era divenuta insufficiente ad appagare la divozione del popolo verso la Santa Patrona. Dopo le sciagure sofferte, il paese si avvia decisamente verso migliori fortune. La popolazione era in continuo aumento; il benessere dava a tutti agio di largheggiare. Ed ecco sorgere in brevissimo tempo come per incantesimo, il tempio monumentale. Gli Atti della Visita Lombardi annotano che la chiesa “ singularis architecturoe opus et elegantibus ornata picturis “ fu compiuta “ brevi aliquorum annorum spatio “: a trescore si dice, esagerando un pochino, in soli 24 mesi. Comunque, un prodigio di celerità. Ci par di vedere la numerosa schiera dei muratori del paese in gara di entusiasmo e di alacrità nel vasto cantiere sonante dove, fra gli scheletri delle alte impalcature, salgono poderose le mura e si lanciano ardite le volte. Costruivano un’arca. La pianta dell’edificio infatti somiglia alla linea di una nave. Immaginata come una croce greca, mentre le braccia trasversali sono subito atrofizzate nel loro sviluppo, si allungano sull’asse mediano le due longitudinali: schema che dà come risultato una lunga nave rigonfiata nel mezzo dei fianchi, come si è già osservato nelle Chiese di Casaletto Ceredano e di Credera. L’interno dà quel senso di spazio tra mura robuste e volte aeree, che ricorda le grandi sale delle terme romane. Una grandissima calotta emisferica, librata sul dosso di quattro archi incorporati nelle volte, raccoglie in unità i membri architettonici delle quattro braccia: il presbiterio e l’abside quadrata sono pure dominati da una calotta minore. La luce piove abbondante dai finestroni incorniciati con mirabili stucchi di grazia tutta settecentesca, e tra i pilastri che si raddoppiano per rincalzare le spinte, vaneggiano con suggestiva nota di chiaroscuro eleganti esedre sormontate da coretti pensili. Chi è l’artista che ha dato proporzioni e vita all’organico disegno? Purtroppo anche qui siamo davanti all’anonimo, né crediamo possibile attribuire , come si vorrebbe, alle maestranze locali, oltre all’esecuzione, anche la concezione architettonica che si rivela degna di un grande maestro. Al pregio dell’architettura si aggiunge quello della pittura. La Chiese di Trescore, dopo il Santuario di S. Maria, può vantare il più bel complesso di affreschi decorativi che adornino le nostre chiese. Prima e più grande meraviglia è la calotta, dove con arditezze tiepolesche, l’artista ha immaginato l’Assunzione della Vergine e la glorificazione dei Santi Patroni, in mezzo ad una scenografica festa di luci e di voli d’angeli. La visione è proiettata e contemplata in un cielo lontanissimo, che si apre sopra balaustre e balconate di statue e di cartocci. Sotto la calotta, nelle quattro vele, sono effigiati i quattro Evangelisti, con varietà di atteggiamenti e bravura di scorci originali. Sul presbiterio sono affrescate scene del Martirio di S: Agata e sulla grande parete absidale, con altro ammiratissimo lavoro, è raffigurata la Cena del Signore. Questi affreschi sono il capolavoro della pittura settecentesca e starebbero bene nelle chiese di Venezia. Sono generalmente attribuiti al Piccinardi, di cui si riscontrano certe caratteristiche, ma non conosciamo nulla che giunga a tanta altezza . Volendo mantenere l’attribuzione, possiamo asserire che questa è l’opera sua di gran lunga più eccellente, e degna di migliori pennelli del tempo. La chiesa manca del grande portale e della rifinitura esterna: i lavori interrotti, dicono, per dissensi avvenuti tra l’autorità civile e quella religiosa. Il campanile alto ben 52,30 metri, nella sua cuspide terminale, non rappresenta più il disegno genuino che doveva essere assai più felice: nel 1847 fu percorso dal fulmine che ne abbatté la sommità e rovinò la cupoletta del presbiterio. Il rifacimento compiuto nel 1862 sotto la direzione dell’Ing. Francioli non è scevro da certo impaccio, come di chi non coglie bene l’idea a volo e casca in una leggera goffaggine. Corpo Bandistico Santa Cecilia Definire una data di fondazione della banda non è semplice: non è mai stato trovato un documento ufficiale che sancisca la sua creazione. Ne esiste però uno in cui si descrive la partecipazione della banda di Trescore ad una manifestazione presso Casaletto Vaprio nell’anno 1908. E’ da quella data, seppur incerta e convenzionale, che si fa iniziare la storia della banda di Trescore Cremasco. Quello che è certo è che fu la voglia di stare insieme e far festa che convinse un gruppo di amici a formare la banda e dar sfogo a una grande passione: la musica. Purtroppo, col passare degli anni, dissidi interni portarono alla suddivisione dalla banda in due gruppi detti “la banda dal prét” e “la banda di Zaài”. Tra scaramucce reciproche e atti di boicottaggio, le due bande arrivarono divise fino alla seconda guerra mondiale. Nel 1947 i due gruppi si riunirono in un’unica formazione assumendo l’attuale denominazione “Corpo bandistico S. Cecilia di Trescore Cremasco”, con l’obiettivo di prender parte alla vita sociale cittadina e dei comuni vicini con manifestazioni religiose, civili e folkloristiche. Alla fine degli anni '70 un'importante novità fu la creazione di un gruppo di majorettes. Questo portò la nuova formazione ad un livello di spettacolarità superiore che lo fece conoscere in varie regioni italiane tra cui il Friuli, Trentino, Liguria, Veneto,Toscana, Piemonte e persino oltre i confini nazionali. La nuova formazione vinse due titoli nazionali nella specialità di parata in marcia ed altri titoli singoli in varie discipline. Oltre alle attività tradizionali la banda si pose l’obiettivo di allargare il repertorio dei brani da concerto, affiancando alle tradizionali trascrizioni di opere classiche brani di musica leggera e colonne sonore di film. Nel 1999 la banda entrò a far parte della Pro-loco, col sostegno della quale si sono potuti organizzare nuovi corsi di musica per allievi di tutte le età ed elevare così la qualità musicale del corpo bandistico. L'unione musicale Il Corpo Bandistico “S. Martino Vescovo” di Sergnano e il Corpo Bandistico “S. Cecilia“ di Trescore Cremasco dal 2006 hanno deciso di realizzare un’unione artistico-musicale finalizza a sviluppare l’attività concertistica. L’unione stabile dei due organici per prove e concerti ha permesso di affrontare un repertorio tecnicamente più impegnativo e più variegato, spaziando tra trascrizioni di musica classica, brani di musica leggera, originali per banda e colonne sonore di film e musical. Dal giorno 27 Ottobre 2009 il corpo bandistico "S.Cecilia" , è gemellata con il corpo bandistico "i Cjastinàrs" di Muris di Ragogna. Dati statistici Il territorio di Trescore si stende a sud fino al Naviglio, canale collettore delle acque che impaludavano il Moso, e che ora sono convogliate all’Alchina; a ovest fino all’Acquarossa; a nord fino ai confini di Quintano e di Torlino; a est è subito limitato dalla provinciale di Crema-Vailate, oltre la quale è quel di Casaletto Vaprio. Il Comune possiede un estimo di ettari 554 (pertiche 7300 circa), con una popolazione di 2300 abitanti. Negli anni 1937-38, con l’apertura di un nuovo cavo collettore che scarica nel Canale Vacchelli, fu bonificato un altro tratto di Moso, con notevole vantaggio della produzione agricola. Nella cascina Torchio (che per trovarsi al di là della provinciale appartiene a Casaletto, ma praticamente si considera di Trescore, dalle cui case dista soltanto qualche metro), nacque nel 1779 il musicista Stefano pavesi, il quale, considerandosi figlio di questa borgata, vi lasciò un legato dotalizio per le nubende povere, ora amministrato dalla Congregazione di Carità di Crema. Società Evoluzione demografica Abitanti censiti Amministrazione Galleria fotografica Note ^ a b Dato Istat - Popolazione residente al 31 dicembre 2013. ^ AA. VV., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Milano, GARZANTI, 1996, p. 667. ^ Angelo Zavaglio, Terre Nostre. ^ Angelo Zavaglio, Terre Nostre. ^ canobio. ^ Archivio C.B.S.C., Trescore Cremasco. ^ Statistiche I.Stat - ISTAT; URL consultato in data 28-12-2012. Voci correlate Moso (Crema) Canale Vacchelli Roggia Acqua Rossa Roggia Alchina Altri progetti Commons contiene immagini o altri file su Trescore Cremasco Collegamenti esterni Sito ufficiale Sito Istituto Comprensivo di Trescore Cremasco Lombardia storica
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