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Cosa mangiare in Veneto: i piatti della tradizione

Scritto da Redazione , 23/10/19

Visitare un paese o una regione non significa solo conoscerne storia e cultura, ma anche andare alla scoperta delle sue millenarie tradizioni culinarie. Ecco perché abbiamo deciso di realizzare un breve excursus alla ricerca di cosa mangiare in Veneto, il tutto nel caso abbiate deciso di trascorrere un po’ di giorni in questa meravigliosa terra... 

Un bel piatto di "risi e bisi"?

Conosciuto nel dialetto locale come rixi e bixi, letteralmente "riso e piselli", risi e bisi è un piatto tipico della cucina veneziana, veronese e vicentina. È una portata a metà strada tra un risotto e una minestra: dalla densità, quindi, non troppo cremosa né troppo densa.

La stagione perfetta per gustare un buonissimo risi e bisi è senza dubbio la primavera, quando si possono trovare sul mercato piselli piccoli e teneri. I piselli appena raccolti – di cui si utilizza anche il baccello –, il riso e la pancetta tesa (che darà ancor maggior sapore e profumo) sono infatti gli ingredienti fondamentali per la preparazione del risi e bisi

Nella provincia di Vicenza, per preparare il risi e bisi si preferisce il riso di Grumolo delle Abbadesse, una varietà del Vialone nano, la cui coltivazione è stata introdotta fin dal 500 dalle monache benedettine, le Badesse, alle quali si deve anche la bonifica dei terreni paludosi della zona e l’edificazione di canali adatti a questa necessità. 

Il risi e bisi celebra da tempo immemore la venuta della primavera, quando i piselli freschi sono al massimo della loro bontà: si racconta che un bel piatto di risi e bisi certo non poteva mancare nella città lagunare per festeggiare il Santo Patrono, San Marco Evangelista, il 25 aprile, giorno in cui i veneziani erano soliti donare questa prelibatezza della tradizione al Doge e ai componenti del governo di Venezia in segno di buon auspicio”.  

[Ilaria22/Wikipedia]

E un assaggino di luganega? 

La luganega, chiamata anche luganiga oppure luganica, è un insaccato fresco dalla forma allungata che viene avvolto su se stesso “a chiocciola”. Il suo budello viene riempito con carne macinata suina, a cui vengono addizionati anche sale, pepe, spezie e del vino rosso.

Così come la salsiccia, la luganega si presta a essere cucinata sia alla griglia che in umido, diventando spesso l’ideale compagna di verza, friarielli, fagioli, funghi o riso. 

In Veneto, la luganega viene prodotta per lo più nel vicentino, nella zona del trevigiano, e nel padovano, dove gli insaccati vengono realizzati sia con carne suina che con fegato e polmone. Quest’ultima variante, molto più scura nel colorito della prima – che viene gustata spesso con il riso –, è perfetta per essere grigliata è completata con della polenta, anch’essa molto conosciuta e apprezzata in tutto il Veneto

La ricetta del riso alla luganega

Ingredienti per 4 persone
300 grammi di riso Vialone Nano 
4 luganeghe
Una piccola cipolla bianca
Un litro di brodo vegetale
Un bicchiere di vino rosso
30 grammi di burro
Sale

Per ultimare il riso alle luganeghe 
40 grammi di grana padano grattugiato 
20 grammi di burro

Preparazione del riso alla luganega
Tagliare la luganega a pezzetti e metterla in una pentola insieme a un trito fine di cipolla bianca e al burro. Fare soffriggere lentamente la cipolla con burro e, una volta che quest’ultimo si sarà sciolto completamente, aggiungere il riso, facendolo tostare per poco tempo nel condimento. Bagnare il riso con il vino rosso, che andrà poi fatto evaporare. Portate a cottura il riso unendovi dei coppini di brodo vegetale bollente, continuando a mescolare il tutto con un cucchiaio di legno. A fine cottura, salare il riso con le luganeghe e, trascorsi 15 minuti di cottura, fare mantecare il risotto con un po’ di burro e del grana padano grattugiato a fiamma alta.

C’è poi il fegato alla veneziana!

Il fegato alla veneziana è un piatto tipico di Venezia. Viene preparato tradizionalmente con fegato di maiale o di vitello a cui si accompagna anche della polenta bianca. Nella preparazione, il fegato viene tagliato a striscioline e cucinato insieme alle cipolle bianche – rigorosamente di Chioggia – che vengono prima fatte a metà e poi tagliate a listarelle sottili. 

Si sa che il fegato veniva utilizzato in cucina già in epoca romana. A darne testimonianza fu Apicio nel suo “De re Coquinaria”. Il fegato in latino era indicato col nome di iecur e, in quel tempo, per far in modo che esso si gonfiasse si usava nutrire oche e maiali con dei fichi, ma i furbi veneziani sostituirono i fichi con le cipolle. Il risultato? Un fegato il cui sapore viene bilanciato perfettamente da quello delle cipolle e che è, a tutt’oggi, uno dei cavalli di battaglia gastronomici di tutto il Veneto, e non solo! 

Le sarde in saor

Le sarde in saor, conosciute dai veneziani anche come sadee o sardele in saor, sono tra le preparazioni più celebri della laguna. Un piatto di pesce semplice nella sua realizzazione quanto ben radicato nella cultura del luogo, tanto da essere menzionato in una miriade di libri, non solo culinari!

Gli ingredienti che lo compongono sono umili ma insieme danno vita a una sinfonia di sapori senza paragoni: sarde, cipolle e aceto. 

La parola “Saor” nel dialetto veneto significa "sapore". Un sapore così meraviglioso quello delle sarde in saor che perfino Carlo Goldoni nella sua opera “Le donne de casa soa” lo menziona.

La storia delle sarde in saor

Si pensa che le sarde in saor ebbero origine attorno al 1300, quando, per conservare il pesce in assenza di frigoriferi, i veneziani usavano riporre le sarde - e non solo quelle - in terrine e a strati. Tra uno strato e l’altro ne veniva posto anche uno di cipolle cotte in padella a fiamma molto bassa con l’aggiunta di aceto di vino e, a volte, vino bianco, uvetta e pinoli. 
L’aggiunta della cipolla in questo metodo di conservazione del pesce era fondamentale, in quanto la cipolla eliminava o comunque limitava l’aggressione dei batteri, responsabili del fatto che il cibo andasse a male. 

Le sarde in saor sono considerate il cibo per antonomasia dei pescatori della laguna. Si racconta che, un tempo, questi avessero la necessità di nutrirsi a bordo delle loro imbarcazioni e che, proprio il pesce pescato con le loro mani, fosse la loro fonte di alimentazione. Pesce che quindi doveva mantenersi il più a lungo possibile. Quale metodo quindi più efficace di utilizzare l’aceto e le cipolle – che tra l’altro si dice evitassero anche l’insorgere dello scorbuto – per lo loro conservazione nel tempo?

Polenta e schie

La polenta è un altro alimento principe delle tavole venete, consumata come da tradizione anche nel periodo di Carnevale. Le schie invece, non sono altro che dei piccoli gamberetti tipici della laguna che, in tempi non molto lontani, erano uno dei cibi consumati dalle povere famiglie che non potevano permettersi grandi lussi. 

La sua preparazione è semplicissima: le schie vanno bollite in acqua con l’aggiunta di limone, sale, pepe e aglio e a cottura ultimata servite con l’aggiunta di una gustosissima polenta. Il suo costo non è esagerato ma neanche economicissimo, ma per una piccola vacanza da quelle parti vale la pena assaggiarlo.
 

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