Destinazioni - Comune
Rumo
Luogo:
Rumo (Trento)
Rumo (Rum in nones) è un comune italiano di 857 abitanti.
Il comune fa parte della provincia autonoma di Trento ed è situato tra la sponda destra del torrente Pescara, e la sinistra del torrente Lavazzè (anticamente e fino ai primi anni del Novecento Rumès , vedi Lodo 1730) nella parte nord della Val di Non.
Nel 1946, in seguito all'Accordo De Gasperi-Gruber, la frazione di Sinablana, a maggioranza tedesca è stata annessa alla provincia di Bolzano ed è diventata frazione di Lauregno.
Storia
Dal Neolitico all'avvento dei Romani
La valle risulta frequentata già dal neolitico, lo testimoniano i numerosi ritrovamenti di materiale di scarto della lavorazione della selce presso il lago della Poinella.
I primi segni di stabile frequentazione si trovano a partire dal 1400- 1200 a.C. Numerosi sono i reperti e le testimonianze dell'influenza della cultura “Fritzens-Sanzeno” a partire dall'età del bronzo medio fino all'età del ferro.
Generalmente questa cultura si ritiene fosse propria delle popolazioni che le fonti antiche chiamano "Reti", e che erano insediate appunto in queste zone. Mentre Strabone parla dei Reti come di un unico popolo, Plinio precisa che erano divisi in vari gruppi, pur riconducibili a una comune appartenenza etnico-culturale.
La cultura di Fritzens-Sanzeno è attestata dal VI fino al I secolo a.C., quando le campagne militari di Tiberio e Druso nel 15 a.C. portarono le Alpi occidentali e certamente anche la nostra valle sotto il dominio romano; la guerra contro i Reti segna di fatto, per la val di Rumo, la fine dell'età del Ferro.
Le nostre antiche popolazioni ebbero, a partire dal VI secolo a.C., delle significative relazioni con gli Etruschi che in quel periodo raggiunsero la loro massima espansione nell'Italia settentrionale. Gli Etruschi svolsero in quel periodo un importante ruolo di mediazione tra il mondo mediterraneo e quello transalpino, in concomitanza con l'affermarsi dell'espansione commerciale dei Greci nell'alta Italia.
In questo periodo i traffici lungo la valle di Non dovevano già essere sviluppati, dato che essa era la via più breve, e meno malsana (rispetto alle paludi della valle dell'Adige) per arrivare ai due passi di Resia e del Brennero. Importante era certamente il percorso che idealmente congiungeva l'Alto Garda passando da Molveno, Mechel, Rumo passo Castrin (Castrum), passo Resia, ed ancor più importante il commercio dell'ambra che fioriva su questa via.
Gli importanti reperti in ferro (ascia, falcetto, attizzatoio) ed in rame (fibula ed ago crinale), databili al II-III secolo a.C. rinvenuti in loco testimoniano l'alto livello raggiunto dalla siderurgia locale, nonché il ragguardevole grado di civiltà raggiunto rispetto alle confinanti popolazioni delle Alpi. Importante e significativo è stato il ritrovamento casuale di una stele (ancora presente nel luogo del ritrovamento) recante incisa una doppia spirale, simbolo del sole e del tempo, della vita e della morte, essa è probabilmente una pietra tombale risalente ad alcuni secoli a.C.
Significativa misura del livello di civiltà raggiunto nel periodo preromano dalle popolazioni della nostra valle, ci viene dalla testimonianza ricavata dai reperti trovati in quel che rimane dei presunti roghi votivi (o con termine in tedesco Brandopferplatz, composto da Brand, rogo, Opfer, sacrificio, e Platz, luogo), luoghi di culto all'aperto esistenti nelle Alpi nell'età del ferro e con precedenti anche nell'età del bronzo.
Questi riti si svolgevano spesso in alta montagna e sono testimoniati dall'esistenza di terreno carbonizzato, resti di offerte ceramiche, sempre infrante ritualmente, resti vegetali quali leguminose e cereali, e ossa di animali, spesso capre e maiali. Un bellissimo esempio è il rogo ritrovato quasi intatto a Santa Gertrude d'Ultimo e conservato presso il museo archeologico di Bolzano.
L'età romana
Già nei primi decenni del I secolo d.C., la popolazione locale risulta totalmente integrata nel mondo romano, tanto che i suoi esponenti si comportavano, pur non avendone il diritto, da cittadini romani militando addirittura nella guardia personale dell'imperatore. Ciò viene confermato dalla Tavola Clesiana, l'editto con cui l'imperatore Claudio nel 46 d.C. conferì la cittadinanza romana agli Anauni.Poche sono le tracce dell'influenza di oltre quattro secoli di dominio dell'Impero romano, anche se il dialetto locale, di indubbia radice latina, ci ricorda l'importanza avuta nella valle da tale periodo storico. Lungo l'antica strada di accesso, che fino a tutto il XVII secolo, era la principale via di collegamento con la val di Non, troviamo ancora incisi, in due tratti dell'affiorante roccia porfirica, i segni delle carreggiate, che i Romani usavano talvolta tracciare lungo le loro vie di comunicazione. L'importanza di questa strada, che ci univa alla pieve di Revò, viene ricordata anche nella carta di regola della comunità di Rumo, ove si parla della manutenzione ordinaria e straordinaria, del ponte di Montagnana. Altra traccia, della presenza delle aquile di Roma, e certamente quello che rimane della torre di avvistamento, ora conglobata nei resti di Castel Placeri. Questa struttura (recante tra l'altro una pittura di Antonio Baschenis raffigurante una Madonna con bambino del 1479) ci mostra chiaramente i metodi costruttivi propri del periodo romano, con l'uso di blocchi consistenti di pietra e l'uso di barbacani, nelle vicinanze è stata ritrovata perfettamente conservata una punta di lancia del II - III secolo d.C.
L'attività mineraria
Le montagne a cavallo fra Trentino e Suedtirol conservano le cicatrici di attività minerarie importanti, che fecero venire specialisti fin dall'Europa centrale. In particolare, fra il XII e il XVI secolo fu l'argento il motivo di maggiore interesse, in quanto era un metallo strategico per la monetazione. Una delle realtà più significative era la Nonsberg, la miniera della Val di Non, che si estendeva fra Tregiovo, Rumo, Livo e Proves. Qui la documentazione più antica si riferisce alle sponde del torrente Lavazzè in Val di Rumo: la prima miniera, di rame, esisteva già nel Duecento. Successivamente si scavarono piombo e argento. La ricerca era stata affidata a minatori cèchi, in quanto nel 1475 la miniera si chiamava Künberg, come la signoria di Starà Vozice. Poco dopo, nel 1491, le venne affiancata la “Rumcan”, ovvero la galleria di Rum, Rumo. Rumo era già un presidio importante: anche il torrente Lavazzé, che solca la valle, originariamente si chiamava Rumés. Quanto ai torrenti, nel Quattrocento erano diffuse le macchine idrauliche a servizio delle attività artigianali. Qui, nei pressi di Mocenigo e sul confine con Livo, durante i sondaggi per la realizzazione di un percorso etnografico lungo il torrente è stata rinvenuta una grande struttura sotterranea, che certamente faceva uso delle ruote idrauliche. La memoria popolare dice che in questa zona “si faceva l'argento”. Da rilievi condotti parallelamente con esperti che si sono occupati di archeologia industriale in giro per il mondo (da Lucca al Galles, dall'Africa sub-sahariana all'India, ricordiamo solo Peter Claughton, Mark Pearce, Marco Morin), pare altamente probabile che questa sia effettivamente la struttura interna della fonderia per l'argento, destinata anche al recupero del piombo metallico in un complesso sistema di riduzione al fuoco che utilizzava il principio della condensazione. Se confermata a livello di prospezione al suolo, l'ipotesi della fonderia rappresenterebbe l'esempio più antico d'Europa, da mettere direttamente in relazione con il forno a riverbero di Lucca e l'argentiera di Montefondoli in Toscana. Si tratta di una lunga condotta, alta circa 1 metro e 20 per 80 di sviluppo orizzontale. È voltata in pietra con sfoghi per l'aria sul soffitto e disegna un'ampia doppia curva. Corre parallelamente al torrente Lavazzè, tanto in direzione che in profondità, e termina in due piccole stanze. Sopra la seconda fino al 1925 c'era una torretta quadrata, un camino esterno. Cinque traverse collegavano al torrente la condotta principale, che è corretto chiamare “manica”, in quanto serviva per veicolare verso il camino i fumi sviluppati vicino al torrente da una batteria di forni, che sfruttavano mantici azionati dall'energia idraulica. “Manica” è il nome assegnato a questo genere di strutture dal senese Vanoccio Biringuccio nel primo trattato a stampa di argomento metallurgico, il “De Pirothecnia” del 1540. Biringuccio spende parecchie pagine sulle maniche, segno della loro importanza per le lavorazioni sui minerali di piombo. All'interno delle due stanze ci sono numerosi reperti lignei, travi e assi sagomate. La prima stanza doveva funzionare come una camera di condensazione per i componenti più pesanti nei fumi e il recupero della lega piombo-argento. Siamo vicinissimi ai villaggi e ad altre vecchie costruzioni che stanno ancora sul torrente, mulini, fucine e altro. La rete viaria è particolarmente interessante, perché rispetta quella antica. Le antiche miniere - la maggior parte, in quanto solo poche gallerie vennero nuovamente esplorate nell'Ottocento – cessarono di operare prima del 1553.
Personalità
Giuseppe Bonamici
Nacque a Rumo (Placeri) il 06/01/1851. Dopo gli studi liceali compiuti a Trento si laureò in lettere e filosofia all'Università degli Studi di Padova il 13 maggio 1873, trascorse la propria vita lavorativa insegnando dapprima a Modica, in Sicilia, presso il Liceo classico Tommaso Campailla (1878), in seguito e lungamente presso il liceo di Vicenza, meritandosi l'ammirazione ed i rispetto della cittadinanza. Nella città veneta venne nominato cavaliere ed ufficiale. Grande fu il suo spirito italiano in quei tempi di dominio Austriaco nel nostro Trentino, convinzione che purtroppo lo obbligò a lunghi periodi di assenza dalla sua amata terra natale. Membro della Lega Nazionale, contribuì con generosi lasciti al sostentamento di vari gruppi filo italiani, come l'associazione di patronato a Firenze: la “Famiglia del volontario trentino” a cui volle devolvere l'intero ricavato del libro da lui scritto e dal titolo” Un grido d'ira, d'amore e di speranza”. Dopo il pensionamento, ed in seguito all'avvento dello stato italiano, trascorse i suoi ultimi anni di vita a Rumo. In questi anni donò alla chiesa parrocchiale di Marcena una campana fusa dalla ditta bolognese di Cesare Brighenti nel A.D. MCMXXX del peso di kg 918,00 che reca incisa nel bronzo la seguente dedica: ITALIAM LAETIS CLANGORIBUS AERA SALUTANT, GRATES CUM DOMINO REDDERE RITE IUBENT, JOSEPHUS BONAMICUS DOCTOR SUIS POPULARIBUS(Le campane salutano con lieti suoni l'Italia, ordinano di rendere grazie secondo il rito con il signore, Giuseppe Bonamici dottore ai suoi concittadini.); ed egli volle fosse collocata sul campanile della chiesa di Marcena rivolta ad est in vista della sua casa natale. Matrina della campana fu il 14 maggio 1931 Maria Martinelli di Placeri nipote di Giuseppe Bonamici. Morì nella casa che gli diede i natali il 06/08/1928.Il giornale di Vicenza che allora si chiamava "Vedetta fascista" pubblicò alla sua morte, un articolo che ne celebrava la vita. Riportiamo in seguito l'articolo: "Il giorno 6 corrente nel suo nativo paese di Rumo, nel trentino, moriva il prof. cav. uff. Giuseppe Bonamici. Vicenza apprenderà con dolore la triste notizia perché il Bonamici fu per molti anni valoroso insegnante di storia nel nostro liceo. Uomo antico per virtù e per carattere, patriotta sincero e per questo perseguitato dall'Austria, fu un educatore nobilissimo e i suoi scolari lo ricordano con affettuosa riverenza. Egli fece parte della benemerita "Lega Nazionale" che proteggeva con la difesa della lingua la nazionalità degli italiani soggetti all'Austria e ne sostenne l'opera con generosi aiuti pecuniari e si può dire che preparò colla parola e con gli scritti dalla cattedra e nella vita, la gioventù alla guerra contro l'Austria. Di lui dirà presto con meno fretta e più largamente uno de' suoi più fedeli amici. Vadano intanto alla sua famiglia di Rumo e ai suoi parenti di Albaredo d'Adige le nostre più vive condoglianze a espressione del profondo compianto della nostra città."
Evoluzione demografica
Abitanti censiti
Ripartizione linguistica
Nel censimento del 2001 il 7,77% della popolazione si è dichiarato "ladino".
Amministrazione
Note
^ Dato Istat - Popolazione residente al 31 dicembre 2010.
^ Quaresima, Enrico (1964; rist. 1991). Vocabolario anaunico e solandro. Firenze: Leo S. Olschki. ISBN 88-222-0754-8
^ Statistiche I.Stat - ISTAT; URL consultato in data 28-12-2012.
^ Nel 2001 erano il 17,54% dei residenti | Trentino