Abbazia di San Galgano
Il sito è costituito dall'eremo, detto "Rotonda di Montesiepi" e dalla grande Abbazia, ora completamente in rovina. Di San Galgano, titolare del luogo, si sa che morì nel 1181 e che, convertitosi dopo una giovinezza disordinata, si ritirò a vita eremitica. Momento culminante della conversione fu quando Galgano infisse nel terreno la sua spada, allo scopo di trasformare l'arma in una croce. Ancora oggi, presso la Rotonda, è possibile ammirare il masso dalle cui fessure spuntano un'elsa e il segmento di una spada. L'evidente analogia col mito arturiano solleva curiosità e ipotesi sulle possibili relazioni tra la mitologia della Tavola Rotonda e la storia del Santo di Chiusdino. Nel luogo della sua morte fu prima edificata una cappella e nel 1218 iniziarono i lavori di costruzione dell'Abbazia. I suoi monaci ebbero notevole importanza economica e culturale tanto nella Repubblica di Siena, ma già nella prima metà del Settecento il complesso risultava ormai crollato. Nel 1924 si iniziò il restauro conservativo ad opera di Gino Chierici. La Chiesa è orientata a est e presenta una facciata a doppio spiovente. L'ingresso è affidato a tre portali con arco a tutto sesto, il portale maggiore è decorato con un fregio a foglie di acanto. Le navate laterali sono aperte da monofore e nel fianco sinistro sono posti una piccola scala a chiocciola e il portale che immetteva al cimitero. Massima opera architettonica è l'abside. A destra si sviluppava il chiostro, attorno al quale ruotava tutta la vita dell'Abbazia. L'interno, oggi privo di copertura e pavimento, è a croce latina, diviso longitudinalmente in tre navate da pilastri cruciformi. Dal transetto destro si accede alla sagrestia; all'estremità meridionale si trovava lo Scriptorium, dove i monaci copiavano i manoscritti. È un ambiente molto vasto, diviso in due navate coperte da volte a crociera con decorazioni a girali. Il suggestivo sito dell'Abbazia è stato utilizzato per ambientare alcuni film, tra i quali anche "Il paziente inglese", di Anthony Minghella (1996).