Un valzer nella Palermo del Gattopardo
Oggi indossiamo abiti sontuosi, di foggia ottocentesca: abbiamo appena ricevuto un invito esclusivo al Gran Ballo dei Pantaleone, i nuovi ricchi che, come “sciacalli e iene” hanno ormai sostituito “leoni e gattopardi”. Angelica fa il suo ingresso in rosa, i capelli intrecciati; Tancredi, in frac, l’accompagna al centro della sala dorata. Ci uniamo al loro valzer, storditi da specchi, cristalli, pannelli rococò, arazzi, pesanti lampadari e divinità greche dipinte sui soffitti.
Ci troviamo a Palermo, nello sfarzoso Palazzo Valguarnera-Gangi, dove Luchino Visconti girò la famosa scena del ballo ne “Il Gattopardo” (film del 1963, Palma d’Oro a Cannes, tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa). Il Palazzo, annoverato tra le dieci dimore private più belle al mondo, è visitabile su prenotazione.
Ma il racconto ha inizio altrove – ispirato alla storia familiare dell’Autore e alla figura del bisnonno, alias il Principe Salina – proprio nel grande palazzo che ospitava la sua numerosa famiglia. E allora, lasciamo per un attimo l’affollato salone delle feste e dirigiamoci verso San Lorenzo Colli, alla scoperta delle ville “fuoriporta” dell’aristocrazia palermitana, in particolare, Villa Lampedusa (di cui si conserva solo un muro perimetrale), sostituita nelle riprese viscontiane dalla vicina Villa Boscogrande, per affacciarci sulla splendida terrazza e ammirarne saloni e giardini.
La Sicilia è in subbuglio. Persino nell’incanto di questi luoghi, siamo raggiunti dall’eco delle battaglie che infuriano tra l’esercito borbonico e le Camicie Rosse. Tornando nel cuore di Palermo, nello storico quartiere della Kalsa, veniamo coinvolti in uno scontro proprio nei pressi della Chiesa di Santa Maria della Catena. Con chi schierarsi? Tancredi non ha dubbi e, da buon doppiogiochista, suggerisce:
“Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
(“Il Gattopardo”, 1958)
Molte pagine di questo capolavoro furono scritte a mano, su fogli di quaderno, ai tavoli della Pasticceria Mazzara di Palermo, tra una pasta di mandorla e un cannolo alla ricotta. I vestiti d’epoca indossati nel film, un fono-documento con la voce del Tomasi, manifesti e cere dei personaggi sono conservati presso Palazzo Filangeri di Cutò, a Santa Margherita Belice, dove l’Autore del romanzo trascorse le estati più felici dell’infanzia, divenuto oggi Parco Letterario del Gattopardo.
Eliana Iorfida