Milano sono tutto tuo
Disegnare un’immagine con le parole è sempre una bella impresa. Suscitare un’emozione, come se la vivessi proprio in quel momento, è un dono che non tutti hanno; saper celebrare lo stato d’animo che ti trasmette un luogo e accostarne l’essenza del posto è un’arte che ben riesce a esplicare chi fa musica.
Molti sono stati, nella storia, gli elogi dei cantanti alle città a loro care: Venditti che canta Roma, con i pensieri che si fondono alle note producendo scene cerebrali nell’etere, Pino Daniele che dipinge “Napul’è”, e così via in un lungo elenco.
Milano è uno di quei posti che tramite musica e parole riesce a teletrasportarti nel centro pulsante del mondo e, nella mia personale playlist, due artisti ne evocano più degli altri un’istantanea fedele al mio immaginario: il primo è Alberto Fortis, con “Milano e Vincenzo”.
Lasciando da parte le polemiche che il brano scaturì all’epoca della sua pubblicazione, la canzone è in realtà un ringraziamento a Milano, dove la carriera di Fortis è di fatto decollata. Ne esce una città aperta e pronta ad accogliere il fermento che l’avrebbe portata, di lì a poco, a essere la “Milano da bere”, un posto dove ogni progetto poteva trovare la sua realizzazione, ma anche una bellezza patinata, superficiale e adulatrice.
“Milano sono tutto tuo/Vincenzo no non mi rinchiude più/oh Milano sii buona almeno, almeno tu […]/Mi piacciono i tuoi quadri grigi, le luci gialle,/i tuoi cortei, oh Milano, sono contento che ci sei […]/Ti devo tanto come uomo/lavoro insieme ai figli tuoi/oh Milano, fa’ di me quello che vuoi./Ti lascio tutti i miei progetti/le mie vendette e la mia età/oh non tradirmi sono vecchio e il tempo va”.
Il secondo cantautore che, con una semplicità inverosimile, riesce a tracciare la quotidianità di Milano in un giorno qualunque è Alex Britti, con “Milano”. Fotografia di una città bellissima che riesce ad alienare anche i turisti nel suo mood…
“In un giorno come tanti, con il traffico nel centro/con due suore che camminano vicine in una piazza con un grande monumento/con l’America nei bar, con la moda sempre in festa/con la gente che lavora sempre troppo e una strana atmosfera di conquista/con i taxi sempre un po’ incazzati e i turisti anche loro un po’ di fretta/con sempre quella strana voglia di andar via perché altrove, forse, c’è qualcuno che ci aspetta/è Milano, con i suoi 1.000 dialetti, con le settimane lunghe e con gli uffici,/con le abbronzature a 100.000 watt e con la vita appesa a 1.000 sacrifici”.
…ma che è anche cruda, con la faccia triste delle opportunità offerte in cambio di qualcosa:
“e se domenica non ho niente da fare farò i miei soliti due passi tra i palazzi […]/prenderò per mano l’ansia e anche la rabbia/le accompagnerò per un aperitivo al bar e al punto giusto le abbandono tra la nebbia/in un albergo verso il centro c’è una donna,/vive nel lusso ma con gli occhi tristi/anche stasera toglierà la gonna per regalarla ai soliti professionisti”.
Questa è Milano: una città infinitamente bella, a volte malinconica e dura, ma certamente consegnata al mito anche attraverso le parole degli artisti che l’hanno saputa cantare.
Domenico Casaleno