Il romanzo di Roma Capitale
Sempre sotto i riflettori, che siano quelli di Cinecittà o della cronaca in ogni sfumatura di colore, il romanzo di Roma Capitale – Lupa generosa che accoglie tutti sotto le sue mammelle – stordisce, divide, incanta e ispira il racconto tormentato della sua “grande bellezza” e…bruttezza.
Era il 1946, per strada si respirava ancora il sapore nero e acre della guerra appena finita, quando l’editore Poli pubblicava per la prima volta “Ladri di biciclette” (ripubblicato nel ’48 da Longanesi), il romanzo di Luigi Bartolini da cui scaturì l’omonimo film, capolavoro di De Sica. Nella Roma affamata e disoccupata del neorealismo, dove per un tozzo di pane si impegnava persino una bicicletta al Monte di Pietà, Antonio, il protagonista, attraversa Piazza Vittorio Emanuele II e Porta Portese alla disperata ricerca della sua, rubatagli nottetempo. E nell’inseguire una bici, incontra i poveri alla mensa, “dame di carità” dell’alta borghesia, disgraziate veggenti e, infine, anche i ladri di biciclette.
Nel Tevere scorre un decennio e arriviamo al 1955. Garzanti pubblica “Ragazzi di vita”, perla del grande Pier Paolo Pasolini. Roma è le sue borgate, raccontate da un manipolo di ladruncoli imberbi che spiazzano il lettore con atti tanto violenti quanto generosi. Gli adolescenti crescono e dalle bravate a Villa Borghese passano alla delinquenza vera, quella che dalla periferia di Pietralata li condurrà al carcere e al dramma.
La vita di strada, la borgata, le prostitute, i traffici illeciti e tutto quel sottoproletariato che nello sguardo di Pasolini era ancora impastato di un codice morale, negli anni ’70 si trasforma in un’entità che fa davvero paura: l’abbraccio mortale tra pezzi malati dello Stato e le organizzazioni terroristico-mafiose. È la Roma “di piombo” del sequestro Moro e della banda della Magliana, descritta nelle pagine avvincenti di “Romanzo criminale” (Einaudi, 2002), il fortunato lavoro di De Cataldo portato sul grande schermo da Michele Placido.
L’excursus sul volto nero della Capitale si conclude al cinema con “Suburra”, film di Stefano Sollima sugli scandali romani della speculazione edilizia.
Nota da archeologa: la Subura (sub-urbe), già dai tempi dell’antica Roma era un quartiere suburbano, appunto, dove si viveva in condizioni penose. Nel medioevo vi sorsero le case-torri dell’aristocrazia; oggi, un muraglione alto trentatré metri ci ricorda che Roma è Eterna, nella miseria come nel suo fulgido e ineguagliabile splendore.
Eliana Iorfida
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