Le Persephoni di Bova, tra sacro e profano
A Bova, borgo grecanico della provincia di Reggio Calabria, durante la Domenica delle Palme si celebra qualcosa di insolito, un rito che poco ha a che fare con la tradizione cristiana: la sfilata delle Persephoni di Bova, tra sacro e profano.
Le Persephoni di Bova in processione
Ogni anno, in occasione della Domenica delle Palme, il borgo grecanico di Bova, omaggia i riti pagani della rinascita mediterranea e l’arrivo della primavera con la processione delle Persephoni, che racchiude in sé magia, suggestioni e il fascino di una sacralità antica e una cultura che ancora vive nell’identità locale.
Un rito dalle origini sfumate nel tempo quello delle Persephoni, o “Pupazze” di Bova, che certamente rimanda alla mitologia greca e alla leggenda di Persefone (Kora), la bella giovinetta discesa agli inferi come sposa di Ade che, con la sua assenza, condannò la Terra a sei mesi di gelo, salvo farla rifiorire nei sei mesi successivi, quando vi faceva ritorno per visitare la madre, Demetra.
Il mito della rinascita, insomma, che è facile accostare in questo periodo dell’anno alla Resurrezione e alla Pasqua cristiana.
Domenica delle Palme a Bova
La Domenica delle Palme, le viuzze di Bova, Chòra tu Vùa, si popolano di strane figure arboree dalle sembianze femminili: le foglie d’ulivo vengono intrecciate dalle mani sapienti dei contadini attorno a una canna di bambù, che funge da asse centrale, e sagomate in forma di "Pupazze" di varie dimensioni (madri e figlie, Demetra e Persefone), agghindate con frutta fresca e fiori di campo.
La processione di primavera raggiunge quindi la Chiesa di San Leo, dove si compie il vero passaggio dal sacro al profano: alle Persephoni pagane è concesso di entrare nella Casa del Signore per l’annuale benedizione. Qualche goccia d’acqua santa, una fumata di incenso e le parole del parroco rinnovano una fusione storico-culturale unica nel suo genere e le "Pupazze" si fanno cristiane.
All’uscita dalla chiesa le Persephoni vengono avvicinate dalla gente, che le spoglia pian piano dei loro ramoscelli benedetti, “steddhi”, per portarseli a casa e posizionarli in punti strategici, a propiziare abbondanza e fortuna o togliere il malocchio, ancora una volta in bilico tra sacro e profano:
“A menza a quattru cantuneri nci fu l’Arcangelu Gabrieli, dui occhi ti docchiaru, tri ti sanaru”.
La complessa simbologia che rimanda al paganesimo, ma al contempo evidenzia il suo stretto legame con le prime radici cristiane assume, in questo lembo di grecità calabra, il valore inestimabile della continuità culturale e identitaria.
Radici antiche che rivivono a Bova così come nell’intera enclave della Bovesìa, dove ancora si parla il grecanico, si suona e si balla una musica inconfondibile che ha il sapore dell’accoglienza, proprio come la “lestopitta” e i piatti tipici a base di granoturco, carni e bergamotto.
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