Teatro Angelo Masini
L'Accademia dei Remoti, sorta nel 1673, ebbe molta importanza per la vita culturale ed artistica della citta' di Faenza. Furono gli accademici che nel 1674 chiesero in concessione alla Magistratura il salone del Palazzo del Podestà, per svolgervi le proprie attività e per avere una sede ove radunarsi. In detto salone fecero costruire nel 1714 un teatro a palchetti in legno con cavea suddivisa in tre ordini, su disegno di Carlo Cesare Scaletta. Il teatro fu inaugurato il 21 giugno 1723, ma essendo costruito con materiale deperibile, andò presto in rovina. Nel 1777 l'Accademia chiedeva al Consiglio Municipale di demolirlo e, in un primo momento, di ricostruirlo più ampio nello stesso salone del Podestà. L'architetto Giuseppe Pistocchi presentò un disegno di ristrutturazione (ora irreperibile) accompagnato da una relazione (reperibile presso l'Archivio di Stato di Faenza). Tale progetto non fu ritenuto adeguato allo scopo dell'Accademia, che era quello di assicurare una maggiore capienza di pubblico, per cui si chiese di erigere il nuovo teatro nella piazza detta della Molinella e precisamente occupandone tutto l'angolo sud-ovest. La concessione del luogo prescelto venne decisa dal Consiglio Generale e approvata dal cardinale legato, a condizione che venisse eseguito il progetto del Pistocchi: l'architetto faentino, già operante nelle Marche con la qualifica di architetto camerale, fu quindi imposto dall'autorità superiore. Il 19 agosto 1780, con atto notarile, venne consegnato all'Accademia il luogo suddetto con i vecchi fabbricati ivi situati. La costruzione del nuovo teatro inizi nello stesso 1780 e proseguì ininterrotta fino al 1783, quando si constatò che il primo finanziamento era esaurito. La Magistratura decise di finanziare direttamente l'impresa, rimanendo per il teatro in diretto dominio della Comunità. Nonostante molteplici difficoltà e traversie d'ordine amministrativo ed economico, la costruzione ebbe termine nel 1787. Il teatro progettato da Giuseppe Pistocchi (1744-1814) si compone di portico, atrio, sala dell'uditorio, con cavea formata da quatto ordini di palchi, più il loggione. La cavea presenta il consueto schema a ferro di cavallo, "pur nell'adozione del cerchio come matrice formate della pianta" (F. Farnetti - S. Van Riel, L'architettura teatrale in Romagna 1757-1857, Uniedit, Firenze 1975, p. 98): palchi, corridoi e platea sono iscritti in tre circonferenze concentriche. Ci che colpisce è la complessa ed elaborata articolazione compositiva e figurativa della parete perimetrale della platea, poiché all'uniformità tradizionale delle balconate continue il Pistocchi sostituisce una distinzione formale dei vari ordini dei palchi; la stessa differenziazione investe anche la configurazione morfologica delle colonne che scandiscono verticalmente i palchi. L'inaugurazione del teatro avvenne nel 1788 con la rappresentazione dell'opera Ciao Ostilio (replicata trenta volte dal 12 maggio al 6 luglio) e con due balletti. Nel 1826 si rese necessaria una ripulitura generale della sala a causa dell'annerimento provocato dai lumi ad olio e contemporaneamente l'autorità comunale propose di dimezzare il palco centrale e i due di proscenio che hanno doppia altezza. Richiesto il parere dell'architetto bolognese Filippo Antolini, riguardante anche il necessario allargamento del boccascena, la proposta di modifica fu giudicata negativa e si evitò di alterare l'architettura originale. In base alla perizia di Antonio Argnani il restauro comprese invece la ripulitura, il rafforzamento del soffitto, il risarcimento di alcune parti delle statue che coronavano il quarto ordine, il rinnovo completo della doratura e il rifacimento a stucco lucido delle pareti dei palchi. Pasquale Saviotti nel 1827 dipinse un nuovo sipario, attualmente conservato in altra sede. Nel 1838 si decise di prolungare il portico di facciata del teatro lungo tutto il lato sud della Molinella: da cinque intercolumni originali fu portato a nove. Nel 1845 furono necessari altri lavori di consolidamento del tetto, diretti da Pietro Tomba. Si giunge cosi ai grandi restauri degli anni 1850-53: preso atto nuovamente di una grave situazione di degrado e precarietà, la direzione degli spettacoli inviò al Comune la richiesta di un restauro generale e radicale di tutto l'edificio. La perizia dell'ingegnere Ignazio Bosi propose, tra gli interventi più decisivi, il rialzo e l'allargamento del soffitto, che poggiava sulla balaustra del loggione, per farlo poggiare sui muri perimetrali della corsia; fu così possibile ricavare sopra la sala dell'uditorio una sala per gli scenografi. Egli propose, inoltre, il rifacimento delle decorazioni e della pittura del soffitto nonché l'allargamento del boccascena, per la qual cosa si rese necessario l'abbattimento dei palchi di proscenio, che furono poi ricostruiti in posizione arretrata, e la demolizione del grande arcoscenico, sostituito da architrave rettilineo; fu ingrandito l'atrio, demolendo i muri brevi e sostituendoli con colonne doriche architravate. Un ulteriore restauro si deve all'ingegnere Achille Ubaldini, che nel 1869 restituì l'arcoscenico al suo aspetto originale, servendosi della collaborazione di Giovanni Collina. Altri interventi si ebbero nel 1908, ad opera dell'ingegnere Tramontani, riguardo ai vani di servizio e al sistema dei vari corridoi di disimpegno, e ancora dopo il conflitto del 1940-45. La dedica ad Angelo Masini fu decretata dal Comune nel 1903. L'attuale facciata del teatro è divisa in due registri: in quello superiore, a parete piena, si apre una serie di finestre timpanate. Il registro inferiore è costituito da dieci colonne ioniche sorreggenti una trabeazione recante in origine una epigrafe dedicatoria. Questo prospetto, che si articola in un volume cavo e uno piano, è una soluzione usata raramente negli edifici pistocchiani, che generalmente mostrano facciate a blocco unitario senza articolazione in profondità di volumi pieni e vuoti. Sotto il portico, nella parete d'ingresso, si aprono cinque porte architravate e sovrastate da lunette in origine aperte per dare luce all'atrio. La sala ha subito un'accentuazione della forma a ferro di cavallo in seguito ai lavori del 1850-53: si compone di quattro ordini di venti palchi, più quello centrale e i due di proscenio che hanno doppia altezza: questi ultimi tre decorati con statue che reggono cornucopie, cartigli e corone d'alloro. Ciascun ordine è estremamente caratterizzato: sopra l'alto basamento della platea si apre il primo ordine con palchi suddivisi da colonne "pestane". Il parapetto del secondo ordine è costituito da una sequenza di metope a bassorilievo di Antonio Trentanove (1742-1812) che non ha precedenti in Italia. I pannelli dei bassorilievi, realizzati in terracotta e fin dall'origine dorati, rappresentano alternativamente soggetti mitologici e soggetti di storia romana: la fuga di Enea da Troia, Apollo e le Camene, l'uccisione di Amulio, il ratto d'Europa, la morte di Didone, il ratto di Dejanira, Muzio Scevola, Polifemo, la continenza di Scipione, Panoplia, il ratto delle Sabine, Perseo e Andromeda, Orazio Coclite, Diana e Atteone, Curzio che si getta nella voragine, Apollo e Dafne, Cincinnato, la fucina di Vulcano, gli Orazi e i Curiazi. Il secondo e il terzo ordine sono inquadrati da colonnato corinzio con architrave. I palchi del terzo ordine sono invece caratterizzati da balaustrine. Al Quarto ordine i palchi sono suddivisi da una serie di statue addossate a pilastrini: anche le statue sono opera del Trentanove e rappresentano gli Dei dell'Olimpo ed alcune Muse (Orfeo, Proserpina, Mercurio, Tersicore, Giove, Minerva, Prometeo, Venere, Marte, Italia, Erato, Paride, Melpomene, Cupido, Giunone, Ercole, Euterpe. Nettuno, Diana, Apollo). A conclusione della cavea sta il loggione, sui cui muri perimetrali poggia attualmente il soffitto, tramite un sistema di archeggiature e sesto acuto. Ipotesi non appieno documentata è che la sala originariamente fosse di color bianco-avorio con decorazioni dorate, secondo il gusto affermatosi nell'ultimo ventennio del diciottesimo secolo, e che fossero di scagliola colorata solo le colonne corinzie. Il soffitto reca al centro un rosone con attorno figure allegoriche. L'edificio termina con il vasto palcoscenico di dimensioni uguali alla sala dell'uditorio, munito di vani di servizio nella parte finale: sono tuttora esistenti due arlecchini di differenti dimensioni. Attualmente conservati in altra sede alcuni scenari settecenteschi e la "camera da concerto" costituita da grandi pannelli di tela dipinta con una finta prospettiva architettonica. L'opera del Pistocchi rappresenta tuttora un organismo perfettamente funzionale e funzionante. Le graticciate e le attrezzerie di scena sono quelle originali ottocentesche. Alla fine della stagione 1983-84 il teatro è stato chiuso per riaprire alcuni anni dopo, nella stagione 1990-91. In questo lasso di tempo è stato sottoposto ad un complesso e delicato intervento di restauro, richiesto in primo luogo dall'applicazione della normativa di sicurezza, che ha comportato numerose modifiche il più possibile contenute dal punto di vista conservativo. Costituito in gran parte da strutture lignee originali, l'intero impianto era gravato da una considerevole quota di incendio che andava eliminata. Pertanto si rese indispensabile studiare l'ignifugazione più opportuna per dare sufficienti garanzie. L'adeguamento delle le uscite di sicurezza non ha creato danni alla soluzione architettonica d'origine, grazie alla presenza di una scala interna, costruita anticamente per l'ex alloggio del custode posto alla quota del loggione; predisponendo le uscite alle quote dei palchi è stato possibile evitare soluzioni assai più traumatiche, quale l'edificazione di una scala ex novo (che in questo caso avrebbe dovuto essere collocata sulla facciata o sul retro del teatro). L'architetto faentino Crispino Tabenelli, direttore dei lavori, quando pose mano al consolidamento generale si rese conto che la struttura era tesa al limite della statica: fu pertanto necessario intervenire opportunamente. I pavimenti in grave stato di degrado sono stati rifatti in legno nei palchi, in battuto alla veneziana nei corridoi perimetrali e in cotto nel loggione. Sulla volta in canniccio è stata fatta soltanto un'opera di ignifugazione; inoltre è stato creato un opportuno passaggio per raggiungere il lampadario (anche quest'ultimo è stato oggetto di un'opera di restauro e integrazione). Graticci e palcoscenico sono stati semplicemente rinforzati. Recuperando gli sgabuzzini un tempo utilizzati come dispensa dai palchettisti è stato possibile creare adeguati servizi igienici, fino a quel momento insufficienti, senza manomissioni. Anche i camerini sono stati forniti di adeguati servizi e tutta la parte relativa all'impiantistica (antincendi, riscaldamento, rilevamento fumi, impianti elettrico ) è stata rinnovata e portata a norma. In sala sono state restaurate le statue, i bassorilievi e i decori in cartapesta dell'arco scenico. Inoltre sono stati restaurati i palchi (liberati dai numerosi strati di carta da parati posta sul marmorino originale) che ora hanno assunto una colorazione rosata. Ove possibile è stato recuperato l'arredo originale dei palchi (fino a pochi anni fa ancora di proprietà privata tanto che il comune ha dovuto procedere ad un vero e proprio esproprio), adeguatamente ignifugato e integrato la' dove si è ritenuto necessario. Le tappezzerie sono attualmente di colore azzurro. Infine sono stati creati spazi accessori quali il bar, il guardaroba, l'office. (Nadia Ceroni)