Genova, dalla voce di Faber ai racconti Noir
Oggi “Luoghi di Carta” si fa un po’… “Luoghi di note”. Ne vale la pena e l’operazione non è poi così impropria se il “luogo” in questione è Genova e le “note” quelle di Fabrizio De André, tra i nostri poeti più intensi e ispirati.
Chi meglio di Faber ha saputo cantare, scrivere e descrivere la Genova dei caruggi, delle piazze larghe quanto un ritaglio di stoffa, delle crêuze (scalinate e piccole salite) che s’inerpicano verso scorci panoramici dai colori accesi, a picco sul mare? Un labirinto di dialetti e personaggi che, dalla “Città Vecchia” a “Via del Campo”, passando per “Crêuza de mä” e “Bocca di Rosa”, ci restituisce l’odore, il sapore e la vita palpitante di una città dal fascino controverso:
“Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli / In quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori / lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano / quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano”
(“La Città Vecchia”, F. De André)
Proprio il volto ambiguo e nascosto di Genova, negli ultimi anni, ha ispirato diverse e importanti “penne del Noir” italiano, che negli stessi caruggi bui hanno fatto scorrere fiumi di sangue e inchiostro, tinteggiando efferati delitti e inchieste dai tratti inquietanti. È tra questi vicoli, infatti, che Mario Paternostro sguinzaglia il suo commissario Falsopepe (“Troppe buone ragioni”, 2011) a indagare sul rapimento di un bambino, e Antonio Tabucchi vi ambienta “Il filo dell’orizzonte” (Feltrinelli, 1991), tetro racconto di un misfatto.
Tanti i luoghi narrativi di Genova, città che, come poche, ammalia, protegge e nasconde, tra luce e buio, tra abrigu (solare) e cupo, per citare in chiusura anche il Maestro Calvino che, non a caso, nella sua sintetica biografia rivendica fieramente natali liguri, anziché cubani.
Eliana Iorfida
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