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La strina calabrese: il canto augurale della Calabria

Scritto da Redazione , 05/12/18

Ogni angolo della Calabria ha la sua strina, un canto augurale folkloristico d’origini antiche, un rito, una tradizione che pian piano rischia di dissolversi nell’oblio. 

 

Strumenti, regole, testi, melodie e usanze cambiano da paese in paese. Eppure questa tradizione è diffusa a macchia di leopardo in tutta Italia, in modi molto diversi, ma la più viva e particolare è quella calabrese

La strina natalizia è un canto di questua e le sue origini risalgono alla notte dei tempi, non abbiamo quindi certezze sulla sua provenienza ma diverse sono le assonanze legate al mito. 

Generalmente in Calabria la strina veniva cantata da Capodanno all’Epifania, in alcuni paesi oggi si canta addirittura dall’Immacolata e in altri ancora nel mese che precede il primo giorno di Carnevale. 

Non esiste una strina calabrese vera e propria, ma diverse strine identificabili per aree geografiche, ognuno ha la sua e il testo di questo canto cambia sempre in base al luogo. 

Nel Mezzogiorno è un rituale folkloristico legato al tempo del Capodanno, infatti l’etimologia del termine “strenna” - (in dialetto strina) per gli antichi romani (strèna) - indicava i regali di buon augurio che ci si scambiava nelle calende di gennaio, all’inizio dell’anno.

 

nui vi cantamu ëa strina è Capudannu,
ohi è Capudannu
e ví aguramu cientu buoni anni. 

 

strina calabrese
'I Zampugnari - Ph Angelo Maggio 

 

A strina calabrese

Un modo quindi per esorcizzare la fine dell’anno e un augurio di prosperità per quello avvenire, quasi un canto propiziatorio che aveva regole ben precise.

Si partiva per andare da amici con un numeroso gruppo di persone, tra “sonaturi” e “cantature” (colui che intonava le strofe) e si andava in giro per le case o le botteghe, intonando la strina di Natale per ricevere in cambio doni.

Man mano che si andava in giro per le case veniva coinvolta altra gente, fino all’alba. Dalle famiglie che avevano subito un lutto, in segno di rispetto, non si poteva portare la strina per due anni.

 

chi Diu vi manni tanti buoni anni,
tanti buoni anni,
quantu a ru munnu si spannanu panni. […]

nun vi spagnati ca nun simu assai,
ca nun simu assai,
ca simu trentatrie e ru cantature.

 

Fino ad una determinata strofa si cantava davanti la porta di casa, fin quando i “sonaturi” (suonatori) non incitavano il padrone di casa ad aprire loro le porte per entrare a far festa mangiando e bevendo. Chi si rifiutava di aprire la porta riceveva in cambio una strenna di sdegno, d’offesa con stornelli calabresi. 

 

ma nui restamu finu a ra matina,
finu a ra matina,
si prima nuímangiamu e nun vivimu.

 

Usi e costumi calabresi

La più nota per via dell’efficace folk-marketing è la strina della provincia di Cosenza (a strina cusentina) che si suona prevalentemente con accordi minori, un canto calabrese melodico molto lungo con ripetizione del coro al “cantaturi” che scandiva la frase e cominciava a “strinare”.

A Nicastro, quartiere di Lamezia Terme, la struttura di questo canto è simile ma la ritmica è molto più allegra, più gioiosa. 

La più insolita, tra tutti i canti popolari calabresi, strine calabresi invece è quella di Lago, paese a nord della Calabria, in provincia di Cosenza. A questa strenna Ottavio Cavalcanti, docente dell’Università della Calabria, ha dedicato un libro, “Le strine atipiche di Lago” (Rubbettino, 2005).

La particolarità di queste strina sono i testi originali che trattano diversi temi: dalla critica sociale a quella politica, dal moralismo alla contestazione e alla denuncia. Basti pensare che nel periodo fascista queste strenne furono bandite. 

 

Massimo Ferrante canta una delle strenne atipiche di Lago: la "Strina d'u judeo" di Francesco Martillotto

 

Anche gli strumenti della strina cambiano di zona in zona. Il più utilizzato è la fisarmonica, ma ci sono strumenti della tradizione agropastorale, utensili o strumenti creati appositamente.

A Crotone è diffusa ad esempio la chitarra battente, altri invece utilizzano ancora  "u' murtali”  detto anche “ammacca sale”, un utensile che serve per pestare il sale o le spezie. Si trova ancora nei mercati ed è in pietra, in legno o in ottone, quest’ultimo è quello utilizzato per la strenna. 

Un particolare strumento diffuso nella Sila e nella Presila calabrese è lo zugghi. Questo termine veniva utilizzato anche per indicare il canto augurale natalizio di San Giovanni in Fiore, molto simile alla strenna.

Lo zugghi è uno strumento a frizione utilizzato per dare ritmo e veniva realizzato con un barattolo di latta o di coccio, ricoperto di pelle al cui centro veniva inserita una canna di bambù. 

Ma il più famoso strumento del Natale calabrese resta la zampogna, diffusa ancora in centro Italia e in tutto il Meridione. 

La strenna o strina è un’antica tradizione natalizia ricca di infinite sfumature. Ancora alcuni, in forme e modi diversi, usano portare la strina casa per casa. Alessio Bressi, ricercatore di musica popolare, dal giorno dell’Immacolata inizia a portare il suono delle zampogne nel capoluogo calabrese, a Catanzaro.

Un’antica usanza, quella dell’arrivo degli zampognari dalla montagna alla Città, che lui e Giuseppe Muraca ancora proseguono portando avanti l’antica tradizione. 

 

'A solita zampugna colarusa,

Ccu ra nive, è scinnuta a ra marina;

E, mmo, de vientu e dde lamientu chjna,

Sona ra ninna ad ogne pporta chiusa.

Vittorio Butera  (poesie natalizie in dialetto calabrese)

 

ViaggiArt ringrazia Gianfranco Donadio, Angelo Maggio, Alessio Bressi, Armando Orlando, Enzo Ruffolo, Nando Brusco. 

 

Riproduzione riservata © Copyright Altrama Italia

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