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Giornata della Memoria 2016: viaggio nell’oblio dei campi italiani

Scritto da Redazione , 27/01/16

In occasione della “Giornata della Memoria” ViaggiArt vi racconta una storia colpevolmente dimenticata, di cui si è persa memoria, appunto, e lo fa accompagnandovi per mano nei luoghi che hanno visto consumarsi tragedie silenziose.

Era il 1941, l’Italia invadeva la Jugoslavia annettendo parte delle attuali Slovenia e Croazia. La popolazione locale si ribellava organizzando un’intensa guerriglia partigiana, prontamente soffocata da rastrellamenti, fucilazioni e deportazioni. Queste ultime danno vita a una vera e propria rete di campi di internamento, che a partire dalle regioni balcaniche e dalla vergogna di Arbe, l’Isola di Rab in Croazia, trasformata in “isola di morte”, si allunga fino a casa nostra.

Quanti hanno sentito parlare dei campi di internamento di Renicci, Gonars e Monigo? Ebbene questi posti, sconosciuti ai più, evocano nella memoria delle vittime, dei familiari e delle popolazioni che li abitano e ne conoscono le vicende da vicino, una macabra pagina di storia italiana.

 

Versi dal campo di Renicci

Puntiamo la nostra “Bussola della Memoria” in direzione di Anghiari, oggi uno dei Borghi più belli d’Italia in provincia di Arezzo, e addentriamoci nella frazione Motina, località Renicci. È qui che incrociamo le storie dei deportati della Provincia di Lubiana, i cui resti sono oggi conservati nel cosiddetto “Sacrario degli Slavi”, presso il Cimitero di Sansepolcro. In soli due mesi a partire dal 10 ottobre 1942, data di inizio delle deportazioni, i prigionieri di Renicci raggiungevano la cifra di 3.800, mescolandosi ben presto anche a molti confinati politici trasferiti da Ustica, Ventotene e Ponza. Da quel campo, diventato Parco della Memoria, ci giunge l’eco di queste parole:

“Ti scrivo amore mio/Con un pezzo di carbone/Salvato da questo fango/Di questa prigione./Mi hanno portato via/Dopo la loro invasione/Colpevole di resistenza/Perché non voglio un padrone”.

(Marco Valdo M.I., 2008)

La memoria di Gonars

Il nostro viaggio sulle tracce della Storia dimenticata prosegue verso Gonars, in provincia di Udine. Il campo di concentramento spalanca i suoi cancelli nell’estate del 1942 per ospitare ancora una volta i rastrellati di Lubiana: un posto allestito per 3.000 persone ne conteneva in realtà più del doppio, in pessime condizioni igienico-sanitarie. Tra le fila di intellettuali, insegnanti e operai, anche i membri del Fronte di Liberazione sloveno, responsabili di una rocambolesca fuga attraverso un tunnel scavato sotto la Baracca XXII. Oltre 500 persone morirono di fame e malattie a Gonars, di cui 70 bambini sotto un anno di età. A memoria delle vittime, nel 1973 lo scultore Miodrag Živković realizzò un Sacrario nel cimitero cittadino, che custodisce i resti di 453 cittadini sloveni e croati internati e morti in questo luogo.

 

 

Monigo: la “piccola Buchenwald”

 

“La piccola Buchenwald di Monigo è passata inosservata per molto tempo, anche se è costata la vita a 187 cittadini jugoslavi, tra cui 54 bambini morti di torture, di fame e di stenti”.

 

Così Giuseppe Taffarel, partigiano e cineasta, commenta l’orrore del campo di concentramento di Monigo, sobborgo di Treviso. Il numero totale degli internati non è computabile con esattezza, ma oscilla attorno alle diecimila unità, con una presenza media di 2582 persone. Tra le testimonianze dirette, quella del Dr. Menemio Bortolozzi, autore di molte autopsie che documentarono come la fame fosse una delle prime cause di morte, accanto alla tubercolosi e altre malattie favorite dal freddo e dal sovraffollamento: “Non erano cadaveri normali, sembravano delle mummie o dei corpi riesumati”. Il campo per slavi cessò di esistere nel settembre del 1943.

Di queste testimonianze e di questi luoghi non deve mai cessare memoria!

 

PhCredits

Immagine descrittiva - CC BY c
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