"Regina madre" chiude egregiamente la stagione del TAU
Era il 1984 quando Manlio Santanelli, uno dei più grandi drammaturghi italiani viventi, pubblicava il suo testo a due personaggi “Regina madre”, dramma fortunato e rappresentato in tutto il mondo. Un testo “extraordinarie”, come lo definì Eugene Ionesco, che ancora oggi vive in chiavi e riletture diverse rimanendo sempre di un’attualità sconvolgente.
L’ultimo riuscito adattamento è quello di Carlo Cerciello, nello spettacolo prodotto da Elledieffe e Teatro Elicantropo, con due interpreti che sulla scena vivono in perfetta simbiosi: Imma Villa, nei panni della madre, e Fausto Russo Alesi, che interpreta il ruolo del figlio.
Tutto il dramma si svolge all’interno di una stanza, un ambiente immacolato e claustrofobico al tempo stesso - funzionali ed evocative le scene costruite da Roberto Crea – che dona alla messa in scena una dimensione onirica e allucinata.
Quello che sembra inizialmente il classico rapporto madre/figlio costruito su toni grotteschi non tarda a rivelare il dramma inscindibile che si cela dietro a questa apparente leggerezza, trasformandosi in un vero e proprio duello fatto di accuse e rimorsi, in cui è impossibile distinguere le vittime dai carnefici.
I luoghi comuni della madre sulla nuora di cui “proprio il nome non gli entra”, il suo continuo paragonare il figlio con il padre, medico eccellente in tutto e ormai scomparso, le storie fantasiose che inventa sul suo amore perfetto e sul loro primo incontro, sembrano offrire allo spettatore un carico di leggerezza per prepararlo al dramma intrinseco di una delle coppie più intime dell’umanità, madre e figlio.
Il figlio dal suo canto va dalla madre a cercare un riscatto personale: con un matrimonio fallito non proprio ancora alle spalle, il lavoro di giornalista in cui non è riuscito ad emergere, cerca di recuperare, forse come ultima speranza, pezzi della sua vita personale e lavorativa tendando di scrivere un libro che parli proprio della malattia della madre assistendola verso la morte.
In teatro, luogo autentico per eccellenza, si svolge questo dramma a due voci che gioca sulle verità costruite di ognuno, per scopi e motivi diversi. L’urgenza però, come in tutti i rapporti morbosi, è quella di cercare una verità, per scrollarsi di dosso le proprie responsabilità.
La madre si nega alla realtà, mentre il figlio che vive di ansiolitici, è in cerca di un capro espiatorio. È così che lentamente si finisce in un baratro che risucchia i protagonisti all’interno delle loro vite stesse, trascinandosi nel passato.
Da questo passato emerge anche la figura della sorella Lisa, che in un una scena sempre più allucinata, s’impossessa ora del corpo della Villa. Una figura, quella della sorella, che entra come novità nella messa in scena di Cerciello – nella scrittura originale di Santanelli questo personaggio viene solo evocato attraverso una telefonata, non comparendo mai fisicamente-.
Si entra così nel dramma psicologico che trascina nel vortice del fallimento madre e figlio. Una voluta perdita d’orientamento dettata da un esasperante bisogno di tornare indietro, fino alla culla materna.
Cerciello riesce a disegnare sulla scena quel sentimento di disperazione in cui soccombere al corso degli eventi sembra l’unica via d’uscita, in un vano tentativo di ricominciare da capo, dalla nascita, come figli, come persone.
Un testo denso per una resa teatrale che indaga su questo profondo legame, un rapporto che segna e plasma mentalmente le nostre vite, in uno spettacolo che ci guarda e ci riguarda. Una chiusura di stagione teatrale eccellente per “Meridiano Sud” al Teatro Auditorium Unical.
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